Capitolo uno-1

1479 Words
Capitolo uno Sasha Gli uomini di mio padre dissero che gli rimanevano solo pochi giorni di vita. Forse ore. Eravamo a casa sua a Mosca, una residenza in cui non mi era mai stato permesso di entrare. Un posto che odiavo da quando ero piccola. Significava poco per me ora. Così come la sua morte imminente. Non potevo dire di amare quell'uomo. Era stato un padre terribile e un partner anche peggiore per mia madre. Partner, non marito, no, non aveva potuto sposarla. Era contro il codice bratva. Era stata la sua amante mantenuta per trent'anni, fino alla settimana scorsa, quando l'aveva informata che ora sarebbe stata l'amante di Vladimir, il suo braccio destro. Esatto: aveva letteralmente assegnato la sua amante a un altro uomo. Come se fosse stata una puttana in suo possesso. No, peggio di una puttana: come se fosse stata la sua schiava. Lei non aveva avuto scelta in merito. Come dicevo non era un brav'uomo, mio ​​padre. «Vieni, Sasha, tuo padre vuole vederti» disse mia madre a bassa voce. Mia madre, una volta bellissima, appariva improvvisamente vecchia. Era pallida, il viso tirato e solcato dal dolore. Nonostante tutto, amava ancora profondamente mio padre. La seguii nella stanza. Non voleva morire in ospedale, quindi la sua grande camera da letto era stata convertita. Le macchine mediche lo circondavano; c’erano infermieri in servizio ventiquattr’ore su ventiquattro e sette giorni su sette. Le tende erano aperte, e lasciavano entrare il sole estivo attraverso le grandi finestre. «Aleksandra.» Mi chiamò con il mio nome completo. Sussultai. Era ancora formidabile come sempre, persino magro e fragile nella veste a righe cremisi. Il suo viso era di un mortale pallore grigio. «Vieni.» Mi chiamò al suo fianco. Mi avvicinai a malincuore. Potevo anche avere ventitré anni, ma qualcosa in quell'uomo mi faceva sentire ancora una bambina errante. Mi prese la mano e io dovetti impegnarmi per non rabbrividire alla sensazione delle sue dita secche e ossute che tenevano le mie. «Sasha, provvederò a te» disse. Tossì. Deglutii. Provvedere a noi era stata l'unica cosa buona che aveva fatto per me e mia madre. Avrei dovuto essere grata. Avevamo vissuto nel lusso per tutta la vita. Avevo anche potuto frequentare un college di mia scelta negli Stati Uniti, la University of Southern California, dove avevo studiato recitazione. Ma ovviamente mi aveva richiamata indietro nel momento in cui mi ero laureata. Ed ero tornata perché teneva lui i cordoni della borsa. Se mi avesse lasciato abbastanza soldi nel testamento, avevo intenzione di tornare in America per seguire i miei sogni. «Tuo marito arriva oggi.» All'inizio non capii nemmeno le sue parole. Sbattei le palpebre. Guardai mia madre alle mie spalle. «Scusa?» Sicuramente avevo sentito male. «L'uomo che ti sposerà. Per proteggerti e gestire i tuoi interessi finanziari.» Ritirai la mano. «Scusa, cosa?» La rabbia tremolò sul viso di mio padre e il mio corpo rispose istantaneamente con un tremito. Non importava quanto provassi a non preoccuparmene, ero ancora la bambina che moriva dalla voglia di compiacerlo, di conquistarne l’amore. Di farsi notare e ottenere attenzione, per una volta. Ovviamente non lo avevo mai dimostrato. Ormai con lui interpretavo il ruolo dell'adolescente ribelle da molto. Scossi i capelli per metterci un po’ d’enfasi. «Io non sposo nessuno.» Mi puntò un dito contro. «Farai quello che ti dico di fare, e ringrazia che ho trovato un modo per proteggerti e provvedere a te dalla tomba.» Un po' di saliva gli scappò dalla bocca. Mi si agitò lo stomaco. Era troppo inquietante vedere la morte devastargli il corpo e non esserne colpita, ma non volevo che me ne importasse. Volevo solo odiarlo per tutto quanto. Lo odiavo. «Chi?» chiesi. «Chi dovrei sposare?» Bussarono alla porta e mio padre annuì, come soddisfatto. Entrò Vladimir. «Maxim è arrivato.» Mi si bloccò il respiro come se avessi ricevuto un pugno nello stomaco. Maxim. Certo, come no. Che razza di piano malato e contorto era quello? Maxim, l'affascinante e potente ex protetto di mio padre? Quello che avevo fatto esiliare con le mie bugie? Maxim entrò, e io indietreggiai da mio padre verso l'angolo in ombra, lì dove se ne stava mia madre in piedi a torcersi le mani. «Lo sapevi» la accusai. Le lacrime le riempirono gli occhi. Ne fui contenta, perché mi aiutarono a ricacciare indietro le mie. «Maxim.» Mio padre gli tese la mano. Maxim guardò nella nostra direzione e feci per andarmene, ma mia madre mi afferrò per un braccio e mi tenne ferma. Vladimir, che era entrato anche lui nella stanza, si spostò davanti alla porta come per bloccarla. Come una guardia carceraria. Dal bel viso di Maxim non trasparì nulla. La sola vista di lui dopo sei anni mi fece battere forte il cuore. Indossava la stessa imperscrutabile maschera che ricordavo. Sicuramente mi odiava dopo quello che avevo fatto. Strinse la mano di mio padre, mettendosi in ginocchio accanto al letto. «Papà.» Papà. Era così che chiamavano mio padre, perché era il capo. In un certo senso, supponevo che fosse come un padre per Maxim, che ricordavo essere scappato da un orfanotrofio all'età di quattordici anni. Probabilmente era stato un padre migliore per lui di quanto non fosse mai stato per me, sangue del suo sangue. «Finalmente sei arrivato» gracchiò quello posandogli la mano libera sulla spalla come un prete intento a benedire. «Ho una richiesta in punto di morte, Maxim.» «Che cosa?» La voce di Maxim suonò bassa e rispettosa. Guardandoli, non sarebbe mai stato possibile dire che mio padre lo aveva bandito, e non solo dalla sua cellula ma anche dal Paese. «Hai seguito il Codice dei Ladri?» Maxim annuì. «Non hai preso moglie né ti sei fatto una famiglia?» «Net.» «Bene. Contravverrai ora per sposare Sasha» disse mio padre. Anche se in parte me lo aspettavo, le parole mi colpirono ancora come un'onda di marea: si infransero su di me gettandomi nel panico. Maxim mi dava la schiena dalle spalle larghe, quindi non riuscivo a vederlo in viso, ma doveva essere inorridito quanto me. Si alzò lentamente, fece scivolare le mani in tasca e aspettò, senza dare una risposta. «Le lascerò le mie quote di tutti i pozzi di petrolio solo finché sarà sposata con te. Ne gestirai gli interessi finanziari e la proteggerai dalle minacce. Se muore prima di avere figli, gli interessi saranno trasferiti a Vladimir, che è incaricato di guidare la cellula di Mosca e di prendersi cura di Galina, sua madre.» «Mi stai vendendo» soffocai dall'angolo. Certo che mi stava vendendo... proprio come aveva venduto mia madre. «Silenzio!» Mio padre alzò una mano nella mia direzione, senza nemmeno degnarsi di guardarmi. Maxim però si girò. Mi lanciò un'occhiata lunga e meditata, probabilmente ricordando a sé stesso come gli avevo rovinato la vita. Ormai avrebbe avuto il posto di Vladimir, al timone della bratva, non fosse stato per me. Strinsi le labbra, così non le avrebbe viste tremare. «Non è vergine» disse mio padre, come scusandosi per aver consegnato merce difettosa. Mi venne da vomitare. «Ha vissuto un periodo selvaggio fuori dal mio controllo quando è andata al college in America. Ma comunque sei abituato alle americane, no?» Eppure, Maxim non disse nulla. «Lo farai per me» disse mio padre. Non era una domanda, era un ordine, ma osservò attentamente il volto di Maxim, alla ricerca di indizi. «Riportala a Chicago con te. Tienila fuori dalla mischia, protetta e al sicuro. Goditi i suoi soldi.» Maxim si passò una mano sul viso. «Puoi punirla per la bugia che disse su di te. Nessun rancore, eh? Ti sei comportato bene in America. Ho sentito che Ravil vive come un re e tu ne godi i benefici.» Mi paralizzai al sentire che mio padre sapeva della mia menzogna. «E se muoio prima?» chiese Maxim. Meri affari. Era una transazione. Mio padre offriva una dote per la mia mano. «Chi sarà il beneficiario degli interessi di Sasha?» «Vladimir» disse mio padre. Scosse leggermente la testa. Vladimir era nella stanza, ma Maxim non guardò verso di lui. «Nomina Ravil» disse. Ravil era il capo della filiale di Chicago della bratva e il capo di Maxim fin dal suo esilio. Mio padre ci pensò su e poi guardò Vladimir. «Fai il cambiamento» ordinò. «E mandaci l'impiegato.» Vladimir uscì immediatamente dalla stanza. «Lo farai per me» ripeté guardando Maxim. Maxim chinò la testa. «Sì.» «Non mancare di rispetto al mio nome mancando di rispetto a mia figlia.» «Mai» rispose quello immediatamente. Si voltò di nuovo e mi studiò. Qualcosa nel mio basso ventre svolazzò al suo sguardo scuro. Se mio padre avesse ottenuto quello che voleva, sarei stata di proprietà di quell'uomo. Mi avrebbe controllata completamente. Tutto il mio destino era nelle sue mani. Ma non avevo intenzione di sdraiarmi per interpretare l'amante sottomessa, affettuosa e sempre disponibile come aveva fatto mia madre. Fanculo. Io avevo intenzione di opporre resistenza.
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