I
Così parlavano, mentre alla misera dimora
riportavano a sera i ben pasciuti porci;
spinsero poi nei numerosi porcili le bestie recalcitranti
che, ribelli, alzavano alti grugniti.
(Omero, Odissea )
In quella deliziosa parte dell’Inghilterra bagnata dal fiume Don si estendeva, nei tempi antichi, una grande foresta che ricopriva molte delle belle valli e colline che si trovavano tra Sheffield e la graziosa cittadina di Doncaster. I resti di questa grande foresta si possono ancora vedere nelle nobili residenze di Wentworth, di Warncliffe e nei dintorni di Rotherham. Proprio qui imperversava il mitico drago di Wantley e proprio in queste regioni furono combattute molte tra le più cruente battaglie della Guerra delle Due Rose [26] . Qui ancora, in tempi remoti, prosperavano bande di intrepidi fuorilegge, le cui gesta sono narrate da popolari ballate inglesi.
Questo sarà lo scenario principale della nostra storia e il periodo storico sarà quello verso la fine del regno di Riccardo I, quando il suo ritorno dalla lunga prigionia era diventato più un sogno che una vera e propria speranza per i suoi sudditi sventurati, che erano soggiogati da ogni sorta di oppressione feudale. La nobiltà, il cui potere era diventato enorme durante il regno di Stefano, ma che invece la prudenza del suo successore Enrico II l’aveva per lo più ridotta ad uno stato di sottomissione alla corona, aveva riacquistato la sua antica autorità. Tutto ciò ignorando i flebili interventi del Consiglio di Stato inglese. I nobili, infatti, avevano fortificato i propri castelli, aumentato il numero dei propri dipendenti e ridotto tutte le terre nelle vicinanze ad uno stato di vassallaggio. Il loro scopo era quello di creare, con ogni mezzo possibile, forze tali da renderli potenti protagonisti nelle guerre intestine che stavano per scatenarsi nel paese.
La situazione dei piccoli proprietari terrieri, chiamati franklins , i quali, in base alla legge e allo spirito della costituzione inglese, avevano il diritto di mantenersi indipendenti dalla tirannia feudale, era diventata estremamente precaria. Se, come di solito avveniva, si ponevano sotto la protezione di qualche signorotto locale, accettavano incarichi feudali nella sua proprietà o si impegnavano con accordi reciproci di alleanza e di protezione a supportarlo nelle sue imprese, potevano ottenere una temporanea tranquillità; ma questo era a scapito della propria indipendenza, così cara a ogni cuore inglese, e rischiando di essere coinvolti in qualche sconsiderata avventura che il loro protettore avesse deciso di intraprendere per ambizione. D’altra parte, tali e tanti erano i mezzi di vessazione e oppressione di cui disponevano i grandi baroni che non mancava mai loro il pretesto, e raramente la volontà, di perseguitare e tiranneggiare, perfino quasi eliminare, chiunque fra i loro meno potenti vicini avesse tentato di staccarsi dalla loro autorità, affidandosi, in quei tempi pericolosi, alla propria condotta inoffensiva e sulle leggi del paese. Una circostanza che contribuì enormemente a favorire questa situazione di tirannia della nobiltà, e alla sottomissione delle classi sociali più basse sorse dalle conseguenze della conquista di Guglielmo, Duca di Normandia [27] . Quattro generazioni non sono state sufficienti a mescolare il sangue ostile dei normanni e degli anglosassoni, né tantomeno a unire sotto un comune linguaggio e interessi comuni le due razze ostili, una delle quali si sentiva ancora euforica per il trionfo, mentre l’altra gemeva sotto le conseguenze della sconfitta. Dopo la battaglia di Hastings, tutto il potere era passato nelle mani della nobiltà normanna e questo venne usato, come confermano le cronache storiche, senza moderazione. L’intera stirpe dei principi e nobili sassoni era stata annientata ed espropriata, con poche o nessuna eccezione. Molto pochi, come i piccoli proprietari terrieri dei ceti inferiori, possedevano terre nel paese dei loro padri.
La politica della monarchia aveva lo scopo, già da tempo, di indebolire con ogni mezzo, in modo legale o illegale, le forze di quella parte di popolazione che era considerata mossa da una insopprimibile ostilità nei confronti del vincitore. Tutti i sovrani di stirpe normanna avevano sempre mostrato una spiccata predilezione per i loro sudditi normanni: le leggi sulla caccia e molte altre del tutto estranee allo spirito mite e liberale della costituzione erano state imposte agli abitanti soggiogati per rendere ancora più pesanti le catene feudali da cui erano piegati. A corte e nei castelli dei grandi nobili, dove si emulavano lo sfarzo e i cerimoniali di una reggia, il franconormanno era l’unica lingua utilizzata, così come nei tribunali per le arringhe e per le sentenze. In poche parole, il francese era la lingua dell’onore, della cavalleria e anche della giustizia; mentre l’uso del più virile ed espressivo anglosassone era lasciato ai contadini, che non conoscevano altra lingua. Tuttavia, i rapporti inevitabili tra i padroni della terra e gli esseri oppressi che la coltivavano, diedero gradualmente origine a un dialetto composto dal francese e dall’anglosassone, tramite il quale potevano comprendersi reciprocamente e da questa necessità sorse per gradi la struttura dell’attuale inglese, in cui l’idioma dei vincitori e dei vinti fu felicemente mescolata insieme. Dopo di allora, essa si è arricchita di alcuni prestiti delle lingue classiche e di quelle parlate nel sud dell’Europa.
Ho pensato fosse necessario premettere queste informazioni affinché il lettore non dimenticasse come essi abbiano continuato, dopo il regno di Guglielmo II [28] , e nonostante l’assenza di grandi eventi storici come guerre o insurrezioni nella storia degli anglosassoni così come le profonde disparità nazionali tra loro e i conquistatori, a tenere aperte le ferite che la conquista gli aveva inflitto e a mantenere separati i discendenti sassoni conquistati dai normanni vincitori. Inoltre, come se non bastasse, il ricordo di ciò che erano stati e della condizione in cui erano ridotti, fino al regno di Edoardo III [29] , si sommava a quello che è stato appena illustrato.
Il sole stava calando su un’erbosa radura della foresta di cui parlavamo all’inizio del capitolo. Centinaia di querce frondose, dal tronco corto e dai grandi rami, che forse erano state testimoni della marcia trionfale dei soldati romani, stendevano i loro lunghi rami nodosi sopra un folto tappeto della più tenera erba verde. In alcuni punti si alternavano ai faggi, ad agrifogli e ad altre piante del sottobosco, tanto intrecciati da bloccare i raggi obliqui del sole al tramonto. In altri, invece, si distanziavano l’un l’altra tanto da formare quegli scorci spaziosi dentro cui lo sguardo ama perdersi, mentre l’immaginazione li trasforma in sentieri per scenari selvaggi di solitudine silvestre. Qui i raggi rossi del sole mandavano una luce spezzata e pallida in parte trattenuta dai rami contorti e dai tronchi muschiosi degli alberi, illuminando di macchie brillanti quelle parti di prato che riuscivano a raggiungere. Un grande spazio aperto, nel mezzo della radura, sembrava quasi esser stato dedicato ai riti della superstizione druidica, dato che, sulla sommità di una collina così regolare da sembrare artificiale, rimaneva ancora una parte del cerchio di enormi pietre grezze. Sette erano ancora dritte, mentre le altre, forse spostate dallo zelo di un convertito al Cristianesimo, giacevano a terra accanto alle prime oppure lungo il fianco della collinetta. Soltanto una delle grandi pietre era scivolata fino in fondo andando a ostruire il corso di un ruscelletto che scorreva ai piedi dell’altura. Essa donava al placido corso d’acqua, altrove silenzioso, una tranquilla voce mormorante.
Due figure umane completavano il paesaggio e con le loro vesti e il loro aspetto ben si accordavano al carattere rustico e selvaggio tipico a quei tempi lontani delle foreste del West-Riding, nello Yorkshire. Il più anziano dei due aveva un aspetto duro e selvaggio vestiva in modo semplice con una giacca chiusa di pelle conciata, con le maniche, e sulla quale originariamente doveva esserci stato il pelo, ma ormai così consunta che sarebbe stato difficile distinguere dai ciuffi rimasti a quale animale fosse appartenuto. Questa veste primitiva, che lo ricopriva dalla gola alle ginocchia, serviva da sola tutte le funzioni di ogni altro capo di vestiario. L’apertura sul collo era grande quanto bastava a far passare la testa e da ciò si poteva dedurre che la si indossava facendola scivolare sulla testa e sulle spalle, come una camicia moderna o un’antica cotta di maglia. Ai piedi indossava dei sandali, legati da lacci di pelle di cinghiale e una fascia di cuoio sottile era avvolta intorno alle gambe fino al polpaccio, lasciando scoperte le ginocchia alla maniera dei montanari scozzesi. Per essere più aderente al corpo, la tunica era stretta in vita da una grossa cintura di pelle con una fibbia d’ottone . Da un lato era appesa una specie di bisaccia mentre dall’altro pendeva un corno di montone dotato di un’imboccatura per poterlo suonare. Nella stessa cintura era infilato uno di quei coltelli lunghi, appuntiti e a due tagli, dal manico di corno di cervo, che erano fabbricati nella zona e che già all’epoca venivano chiamati coltelli di Sheffield. L’uomo non portava nulla sulla testa, che era riparata esclusivamente dai folti capelli arruffati, bruciati dal sole a tal punto da apparire di colore rosso ruggine, che faceva contrasto con la barba biondiccia sulle guance. Rimane da descrivere un’ultima parte del suo abbigliamento che è troppo importante per essere tralasciata: un anello di ottone, simile al collare di un cane, ma senza apertura e ben saldato intorno al collo, abbastanza largo da permettergli di respirare, ma al tempo stesso così stretto da non poter essere tolto salvo che per mezzo di una lima. Sull’insolito collare era incisa, in caratteri sassoni, la seguente iscrizione: “Gurth, figlio di Beowulph, è nato servo di Cedric di Rotherwood”.
Accanto al guardiano dei porci, perché questa era l’occupazione di Gurth, seduto sopra uno dei massi druidici caduti a terra, si trovava un uomo di una decina d’anni più giovane i cui abiti, sebbene simili nella fattura a quelli del compagno, erano di materiale migliore e di forma più stravagante. La giacca era di un brillante color porpora e su di essa si era cercato di dipingere grottesche decorazioni di diversi colori. Oltre alla giacca, indossava un corto mantello di stoffa rossa che gli arrivava appena a metà coscia, pieno di macchie e bordato in giallo brillante. Il mantello, molto più largo che lungo, per passarlo da una spalla all'altra, oppure avvolgerlo intorno al corpo, era indumento alquanto bizzarro. Sulle braccia portava dei sottili braccialetti d’argento e al collo un collare dello stesso metallo con la scritta: “Wamba, figlio di Witless, è servo di Cedric di Rotherwood”. Questo personaggio calzava lo stesso tipo di sandali del compagno, ma al posto di strisce di cuoio, le sue gambe erano inguainate in una sorta di gambali, uno rosso e l’altro giallo. Indossava anche un berretto con numerosi campanelli tutto attorno, come quelli che si mettono ai falconi, che tintinnavano ogni volta che girava la testa da una parte e dall’altra; e poiché raramente restava nella stessa posizione per molto tempo, si può dire che il loro suono era incessante. Sul bordo del copricapo era attaccata una fascia di cuoio rigido tagliata in alto come fosse una piccola corona, mentre la sua punta si prolungava e scendeva fin sulla spalla, come un vecchio berretto da notte o un sacchetto per le conserve oppure ancora come il copricapo di un ussaro moderno. Proprio a questa parte del berretto erano fissati i campanelli, e questo particolare, insieme alla forma stessa del berretto e all’espressione un po’ folle e metà furba, lo indicavano come uno di quei buffoni di corte o giullari mantenuti nelle case dei ricchi per allontanare la noia delle ore che erano obbligati a trascorrere in casa. Come il suo compagno, portava una bisaccia appesa alla cintura, ma non aveva né corno né coltello, probabilmente perché era considerato pericoloso affidare armi da taglio a gente di quel tipo. Al loro posto portava una spada di legno, simile a quella con cui Arlecchino fa le sue scenette sui palcoscenici di oggi. L’espressione e il comportamento dei due uomini differiva quanto il loro aspetto. Il servo, o schiavo, appariva triste e cupo; manteneva lo sguardo fisso a terra con un’espressione avvilita, che sarebbe potuta sembrare apatia, se non fosse stato per una scintilla che ogni tanto s’accendeva nei suoi occhi arrossati facendo intendere che, sotto l’apparenza di una totale demoralizzazione, si celava il senso dell’oppressione e un desiderio di rivolta. L’espressione di Wamba, d’altra parte, indicava, come in tutti quelli della sua classe sociale, una sorta di vacua curiosità e di nervosa irrequietezza in ogni posizione di riposo, insieme a una totale soddisfazione per ciò che era e per l’aspetto che mostrava. La loro conversazione era in lingua anglosassone che, come ho detto in precedenza, era parlata da tutti nelle classi inferiori, fatta eccezione per i soldati normanni e per gli stretti dipendenti dei grandi signori feudali. Ma riportare la loro conversazione nella lingua originale avrebbe scarso significato per il lettore di oggi, al quale per comodità offriamo la seguente traduzione:
« La maledizione di San Withold ricada su quei porci maledetti!», disse il guardiano dei maiali, dopo aver soffiato nel corno con tutto il suo fiato per radunare il branco sparpagliato dei suini, che, pur rispondendo al richiamo con suoni altrettanto melodiosi, non si affrettavano ad abbandonare il ricco banchetto di ghiande di faggio di cui si stavano rimpinzando o ad abbandonare le rive del ruscelletto dove alcuni di essi sguazzavano nel fango, del tutto indifferenti alla voce del loro guardiano. «S an Withold li maledica e maledica anche me! - strillò ancora Gurth - Se il lupo a due gambe non ne azzanna qualcuno prima di notte, non sono più un vero uomo. Qui, Zanne! Zanne!», urlò con quanta voce aveva in corpo verso un cane dal pelo di lupo, in apparenza da caccia, metà mastino e metà levriero, che correva zoppicando in giro come se volesse aiutare il padrone a radunare i maiali disubbidienti, ma che, di fatto, forse perché non capiva i segnali del guardiano di maiali, forse perché ignorava i propri compiti, o forse di proposito, si limitava a spingere di qua e di là, peggiorando la situazione a cui avrebbe dovuto rimediare. «Il diavolo gli strappi tutti i denti! - imprecò Gurth - E la madre di tutti i mali si porti via il guardaboschi che taglia le unghie delle zampe anteriori ai nostri cani e li rende inutili per i loro compiti! [30] Wamba, alzati e aiutami se sei un uomo; fa' un giro intorno alla collina in modo da aver il vento a tuo favore; in questo modo li potrai spingere davanti a te come tanti docili agnellini».
«In verità», rispose Wamba senza muovere un dito, «Ho consultato le mie gambe a riguardo ed esse sono del parere che portare i miei eleganti vestiti in quel pantano sarebbe un atto di scortesia verso la mia regale persona e verso il mio guardaroba. Perciò, Gurth, ti consiglio di richiamare Zanne e di lasciare quei maiali al loro destino e se incontreranno, con tuo sollievo e consolazione, una banda di soldati in marcia, o di fuorilegge o di pellegrini erranti, tutto quello che potrà loro capitare sarà di essere trasformati in normanni prima del mattino».
«I maiali trasformati in normanni per mio sollievo!», esclamò Gurth, «Spiegamelo, Wamba, il mio cervello è troppo stupido e la mia mente troppo affaticata per poter capire i giochi di parole».
«Perché? Come le chiami tu quelle bestie che camminano a quattro zampe e grugniscono?», domandò Wamba.
«Maiali, stupido, maiali», rispose il guardiano di maiali, «Persino uno sciocco lo sa».
«E maiale è una buona parola sassone», replicò il giullare, «Ma come chiami la carne di scrofa quando è scuoiata, squartata e appesa per le zampe come un traditore?»
«Porco», rispose ancora Gurth. [31]
«Sono contento che anche gli stupidi lo sappiano - replicò Wamba - E la parola porco mi pare sia franconormanna; perciò quando la bestia è viva ed è affidata alle cure di uno servo sassone, porta il nome sassone, ma diventa normanna ed è chiamata porco quando è portata nella sala del castello per il banchetto dei nobili. Che ne pensi, amico Gurth?»
«È una teoria molto giusta, amico Wamba, nonostante sia nata nella tua testa matta».
«E posso dirti di più? - disse Wamba nello stesso tono - C’è il vecchio sig. Bue che continua a tenere il suo nome sassone fin tanto che è accudito dai servi e agli schiavi come te, ma diventa Beef, un vero gentiluomo francese, quando arriva alle onorevoli mascelle che dovranno mangiarlo. Anche il sig. Vitello diventa Monsieur de Veau allo stesso modo: è sassone quando deve essere accudito, ma prende un nome normanno quando diventa una questione di palato».
«Per San Dustan [32] - esclamò Gurth - Tu dici delle tristi verità: non c’è lasciato altro che l’aria che respiriamo e anche quella sembra che ce la diano dopo lunghe esitazioni, al solo scopo di permetterci di sopportare i pesi che caricano sulle nostre spalle. I cibi più buoni e saporiti sono per la loro tavola, le donne più belle per il loro letto; gli uomini migliori e più coraggiosi combattono per padroni stranieri e imbiancano con le loro ossa terre lontane, lasciandone ben pochi qui disposti o capaci di difendere gli infelici sassoni. Dio benedica il nostro padrone Cedric che si è comportato da uomo cercando di resistere, ma Reginald Front-de-Boeuf sta per venire di persona in questo paese e ben presto si vedrà quanto saranno serviti a Cedric i suoi sforzi. Qui, qui», esclamò ancora alzando la voce, «Così, così! Bravo Zanne! E ora che li hai radunati tutti, spingili avanti, da bravo!»
«Gurth - osservò il giullare - So bene che mi prendi per uno sciocco, altrimenti non saresti così imprudente da infilare la testa nella mia bocca. Una sola parola a Reginald Front-de-Boeuf, o a Philip de Malvoisin che hai parlato contro i normanni, e non saresti altro che un ex guardiano e penzoleresti da uno di quegli alberi, come monito per coloro che criticano le autorità».
«Cane! Vorresti tradirmi - disse Gurth - dopo avermi spinto a compromettermi?»
«Tradirti! - rispose il giullare - No, questi sono scherzi dei furbi; uno sciocco buffone non è neanche capace di pensare a se stesso. Ma… zitto, chi sta arrivando?», domandò udendo il rumore di parecchi cavalli che cominciava a farsi sentire.
«Non è importante chi sia», rispose Gurth che aveva nel frattempo radunato il branco di maiali davanti a sé e, con l’aiuto di Zanne, lo stava spingendo lungo uno dei lunghi e scuri sentieri che abbiamo cercato di descrivere.
«No, devo vedere i cavalieri - disse Wamba - Forse vengono dal Paese delle Fate con un messaggio di re Oberon [33] ».
«La peste ti colga! - rispose il guardiano dei porci - Vuoi parlare di queste cose mentre un terribile temporale con tuoni e fulmini infuria a poche miglia da qui? Ascolta che tuono! Non ho mai visto cadere dalle nuvole gocce così grosse in un acquazzone estivo; persino le querce, nonostante non ci sia vento, gemono e scricchiolano con i loro grandi rami come per annunciare la tempesta. Pensa pure tutto quello che vuoi, ma ascoltami per una volta: torniamo a casa prima che si scateni il temporale. Sarà una notte tremenda».
Wamba sembrò essersi convinto dell’argomento e seguì Gurth, che si mise in cammino dopo aver raccolto un lungo bastone che giaceva sull’erba lì vicino. Questo novello Eumeo [34] , si affrettò giù per la radura della foresta spingendo davanti a sé, con l'aiuto di Zanne, l’intero gregge che gli era stato affidato.