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Dee scese dalla macchina e si affrettò verso l’ingresso del centro congressi. Nei pochi metri che la separavano dalle porte girevoli il vento le sollevò la gonna e le scompigliò i capelli.
Il Queen Elisabeth II Conference Centre era un edificio dalle dimensioni mostruose, in pieno Westminster, con un numero di sale che Dee non era mai riuscita a quantificare. Era anche una sorta di dedalo e si sarebbe persa di sicuro se Rory Williams, l’addetta stampa del convegno, non le fosse corsa incontro nel gigantesco atrio, in equilibrio instabile su un paio di decolté che non sapeva portare.
«Grazie per avermi messaggiata!» ansimò, cercando di aggiustarsi la camicia senza mollare il cellulare. «Vieni, ti accompagno subito alla Mountbatten Room».
Dee la seguì a lunghi passi verso un ascensore. «Mi dispiace per il ritardo» disse. «Il traffico aereo è nel caos più completo a causa delle raffiche di vento». Si guardò nello specchio. Come prevedeva, i capelli biondi le stavano dritti in testa come quelli di una punk.
L’altra borbottò qualche parola di comprensione, allungandole una cartelletta con il programma. «Non importa. Hanno iniziato da dieci minuti. Hoover sta parlando della proposta di legge sull’integrazione femminile dei laburisti, che prevede...»
«So che cosa prevede» la interruppe Dee. L’avevano invitata a quella conferenza come esperta di diritto del lavoro, se avesse ignorato le proposte di legge del partito d’opposizione che cavolo di esperta sarebbe stata? Cercò di scacciare l’irritazione e seguì Rory lungo un corridoio dalla folta moquette.
L’addetta stampa aprì le porte di una conference room e la lasciò passare per prima.
Dee si diresse verso il tavolo degli ospiti a passo veloce. Represse un sorriso sarcastico. Per essere una conferenza dal pomposo titolo “Women in the Labour Force: The State of the Art” non spiccava per rappresentanza femminile. C’erano Hector Hoover, il già citato MP dei labour, James Rutherford, un giuslavorista di area sfumatamente conservatrice, e Trenton Kelly, un economista lib-dem. Nemmeno il conduttore contribuiva alla femminilità dell’iniziativa, visto che era il giornalista politico Miles Peppersmith.
Fu Miles a sventolare allegramente la mano e a interrompere Hoover per annunciare che era arrivata Edith Stein, avvocato del lavoro.
Dee si arrampicò sul palco e si andò a sedere nel posto dietro al cartellino con il suo nome, tra Hoover e Rutherford. «Vi porto in dono una coppia di cromosomi X» sorrise, aggiustando il microfono in modo che arrivasse alla sua bocca.
Miles sembrò un po’ imbarazzato. «In effetti ci mancavano. Ridarei la parola a Hector, che ci stava finendo di spiegare come i laburisti intendono incentivare la parità tra i sessi nel mondo del lavoro».
Hoover riprese prontamente la parola, dimostrando che le previsioni del moderatore su una prossima fine del suo intervento erano un po’ troppo ottimiste.
Dee lo ascoltò solo con mezzo orecchio, facendo vagare lo sguardo sulla platea. Le prime due file erano prese dalla stampa e dai posti per gli altri relatori, mentre il pubblico sembrava composto per lo più da professionisti di mezza età e da giovani avvocati rampanti.
Hoover continuò a parlare per altri cinque minuti abbondanti, in quel tono simpatico e aperto che, unito all’aspetto gradevole, gli aveva dato una certa visibilità mediatica. A Dee, che pure era dichiaratamente vicina al partito laburista, Hector non stava particolarmente simpatico. Per qualche motivo le sembrava sempre travestito da giovane, invece che giovane e basta. Come se sfoggiasse l’abbigliamento informale e la parlata piena di neologismi per impressionare gli elettori tra i venti e i trent’anni.
«Dee, se non sbaglio il tuo libro parla delle difficoltà che le donne hanno nel mondo del lavoro. Sottolinei come una reale parità sia ancora lontana. Pensi che una proposta come quella dei laburisti possa essere un passo in avanti verso questa parità?» la riportò sulla terra la domanda di Miles.
Dee si strinse appena nelle spalle. «Mi sembra che possa migliorare la situazione, sì. Risolverla? Non credo. Solo un diverso atteggiamento mentale la risolverà per sempre». Prese fiato e si voltò leggermente verso il moderatore. «Come ricordavi, il mio libro ripercorre alcuni dei casi che lo studio Stein & Partners ha seguito nel corso degli ultimi anni. Quando si parla di discriminazioni sessuali, a molti di noi vengono in mente esempi eclatanti di licenziamenti ingiustificati, molestie o mobbing. Esistono e sono molti più di quelli che crediamo comunemente, ma ci sono molte altre forme di discriminazione, forme più sottili e difficili da provare. Guarda questo tavolo».
Di nuovo, Miles sembrò in imbarazzo.
Dee sorrise. «Uomo, uomo, uomo e ancora uomo, Miles» infierì. «E guarda che so benissimo di essere stata invitata per... be’, non voglio buttarmi giù. Diciamo che al 70% sono stata invitata per il lavoro degli ultimi dieci anni, ma un 30% almeno dovuto al fatto che un tavolo di relatori tutto maschile sembrava brutto credo che possiamo mettercelo».
«Oh, via...» borbottò Hoover, ma Rutherford assunse un’espressione divertita di tutt’altro tipo, più simile a un’implicita conferma.
Dee lanciò un’occhiataccia al primo. «Vedi, Hector... che cosa mai posso rispondere al tuo bonario “oh, via”? Dico: che cosa mai posso rispondere senza sembrare un’isterica? Allora esaminiamo freddamente questo tavolo. Visto che sono stati così gentili da invitarmi credo di dovermi spendere al meglio per chiarire quello che intendo. Guarda questo tavolo, ripeto. C’è un MP, cioè tu. E, okay, un membro del parlamento deve esserci per parlare della proposta di legge... in parlamento le donne sono il 22%...».
«Però non è una questione di percentuali» obbiettò Hoover. Alzò una mano. «E sono d’accordo che il 22% è una percentuale troppo bassa, eh? Ma ci sono qua io perché sono quello che ha redatto la proposta».
«Certo. Qualcuno doveva ben redarla... un uomo, nel 78% dei casi. Vorrei che fosse chiaro che non sto mettendo in discussione il tuo lavoro, Hector. Sto solo facendo notare questa cosa. Poi c’è il professor Rutherford, che è un giuslavorista di fama internazionale. Ehi, ho studiato sui suoi libri... non dico che non sia bravo».
Rutherford inarcò le sopracciglia, aspettando il seguito.
«Ci sono delle giuslavoriste donne della stessa levatura? Mh, può darsi... me ne vengono in mente un paio. Giuslavoristi uomini della stessa levatura? Almeno dieci, in Gran Bretagna. Oh, suvvia, non faccia quell’espressione offesa. Diciamo otto, okay?».
«No, no, anche quindici» sorrise l’altro, in modo piuttosto mite. E falsamente modesto. Nonostante questo, e nonostante il fatto che fosse un po’ troppo liberista per i suoi gusti, a Dee Rutherford non stava antipatico. Era la quintessenza della distinzione: folti capelli grigiastri dall’impeccabile taglio sfumato, completo in giacca di lana pettinata, cravatta tradizionale... Parlava sempre in modo appropriato e formale, non alzava mai la voce... Nonostante questo sapeva essere un bastardo tagliente. Dee l’aveva visto alla TV, qualche volta, e le era sembrato imbarazzato di essere lì. Cosa che andava a suo vantaggio, probabilmente.
«In ogni caso, la percentuale è sempre più o meno quella, no? Se doveste fare una cena di professori in diritto del lavoro... contando solo le università del Russel Group, diciamo... quante donne ci sarebbero?».
Rutherford si strinse nelle spalle. «Probabilmente sarebbe meglio portarsi le signore» ammise. Ci pensò un attimo. «Probabilmente dovremmo attaccarci anche alle ex-mogli» precisò.
«Già» concordò Dee. «E credo che lo stesso varrebbe per gli economisti del suo livello, signor Kelly. Non mi risulta che i vertici della finanza siano in mano alle donne, giusto?».
«Giusto» ammise Kelly, di buon grado. Era un individuo distinto dello stesso stampo di Rutherford, solo più anziano di una decina d’anni, più pesante di una ventina di chili e molto più gioviale.Se Dee non ricordava male era stato in lizza come governatore della Bank of England.
«Quindi, per rispondere alla tua domanda, Miles, il punto è che le discriminazioni di genere assumono una miriade di forme. C’è la discriminazione semplice e brutale, immediatamente riconoscibile come tale, e poi c’è una discriminazione più sottile, più difficile da mettere a fuoco, che fa sì che in parlamento, nella finanza, nel mondo universitario... insomma, in tutte le posizioni apicali... il numero delle donne sia notevolmente inferiore a quello degli uomini. Il famoso soffitto di cristallo. La proposta di legge laburista è un’ottima cosa per arginare il primo tipo di discriminazione, per il secondo è richiesto uno sforzo in più a tutta la società».
Miles la guardò per qualche istante, come a sincerarsi che avesse finito, poi diede un’occhiata alla propria scaletta e continuò, rivolgendosi a Rutherford.
«Professor Rutherford, lei ha scritto un saggio sul mercato del lavoro in Gran Bretagna. Nel suo saggio c’è un capitolo dedicato alle differenze di genere nei diversi settori produttivi. Per inciso... concorda con l’analisi della signora Stein?».
«A grandi linee, certamente» rispose lui. Si voltò verso Dee. «Sa, in realtà il mio intervento è largamente sovrapponibile al suo, con la differenza che io ho portato con me una pila di noiosi dati... il che mi fa temere che, dopo tutto, lei abbia sottostimato l’importanza dei suoi due cromosomi X».
«Lo credo anch’io» borbottò Dee.
Rutherford le rivolse un altro dei suoi sorrisi miti. «O forse temevano che il pubblico si sarebbe addormentato, con il mio intervento. Bene...» voltò un paio di fogli nella sua cartelletta «...in realtà dobbiamo evidenziare anche qualche trend positivo...»
Dee si distrasse e iniziò ad aspettare il primo coffee break.
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«Spero di non aver gettato una luce negativa sulla conferenza» disse Dee, versandosi una tazza di tè, un’oretta più tardi.
Erano in una sala rinfreschi del QEIICC e ospiti e relatori si stavano ritemprando prima del secondo panel del pomeriggio. Dee non avrebbe partecipato, ma andarsene non sarebbe stato educato. Inoltre, il secondo panel le interessava davvero.
«Oh, non preoccuparti» la rassicurò Gilles. «Hai fatto benissimo a farlo notare. In realtà, volevamo Cecilia Martin... ma ci ha dato buca una quindicina di giorni fa». Sospirò. «Siamo stati fortunati che Rutherford fosse disponibile. Credo che se la sia cavata benissimo, tutto considerato».
Dee si chiese perché Miles esprimesse tutto quel sollievo. Poi le tornò in mente. Rutherford era stato un consulente del governo fino a non molti mesi prima. Poi c’era stato un scandalo di qualche tipo e lui si era dimesso.
«Non credo di aver seguito molto bene la vicenda» ammise.
«Conflitto di interessi» riassunse Miles. «Che poi non c’era nemmeno, a mio avviso, ma sono venute fuori delle possibili pressioni... io credo che l’abbiano silurato gli stessi conservatori. Ovviamente non ama parlarne».
Dee sorrise. «Ovviamente. Be’, immagino che sia molto infelice, con solo un dipartimento tutto suo a Oxford».
L’altro ridacchiò, finendo il suo caffè e buttando via il bicchiere vuoto. «Già. Sta venendo da questa parte, cambiamo argomento. Come sta Olivier?».
Dee fece una smorfia. «Stai parlando del mio ex-marito?».
«Oh, cielo. Che gaffe. Professore, spero che non si sia fatto un’impressione troppo negativa del convegno» aggiunse, con un cenno della testa nei confronti dell’altro.
Rutherford gli rivolse un sottile sorriso, allungandosi verso i biscotti. «Negativa? Per niente. Però avrebbe dovuto dirlo, che sono stato chiamato in sostituzione di Martin. Avrebbe mitigato le impressioni sulla stampa».
Miles diede un colpo di tosse imbarazzato, Dee rise.
Rutherford inarcò le sopracciglia. «Non faccia così. Si dà il caso che Cecilia sia una mia buona amica, oltre che una delle due giuslavoriste che nominava l’avvocato Stein, e che mi abbia telefonato quando ha rinunciato alla propria partecipazione».
«Non ne avevo idea» disse Miles, ancora piuttosto imbarazzato.
L’altro diede un morso a un biscotto. «Be’, almeno c’è qualcuno con una vita matrimoniale decente» archiviò il discorso. Miles lo guardò con aria perplessa e Rutherford spiegò sinteticamente che Cecilia Martin aveva dato buca per via della sua gravidanza. Visto che Miles sembrava all’oscuro di tutto, non scese in dettagli.
«Quindi» cambiò argomento Dee «si ferma anche per il secondo round?».
«Certo. E per cena. Mi hanno prenotato persino una camera d’albergo, perché evidentemente non si fidavano a lasciarmi tornare a Oxford con il buio, alla mia età».
Miles rise nervosamente e Dee iniziò a dubitare della sua intelligenza. «È inevitabile» disse, tutta seria, «spero che le abbiano anche fornito un paio di pannoloni».
«Naa. Un pitale. Mh, voglio che sia messo agli atti che è stata lei a iniziare a parlare di piscio».
Dee sorrise. «È solo un coffee break. Le cose davvero disgustose me le tengo per la cena».
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Fu lui a sedersi accanto a lei nei posti in prima fila riservati ai relatori, durante il secondo panel. «Lei sembra l’unica a non trattarmi con i guanti di velluto» spiegò Rutherford, accavallando le gambe.
«Credo di essere anche l’unica ad aver letto davvero i suoi libri, se è per questo».
Lui sorrise lievemente. «Dio, spero che non ci sia una correlazione».
«No, no. Lei è liberista da pazzi, ma la sua analisi del mercato del lavoro è sempre lucidissima. Non potrei mai avercela con lei solo perché ha delle idee diverse dalle mie. E a quanto pare non so un cazzo dello –aehm- scandalo».
«Fantastico» borbottò Rutherford.
«Mi ricordo solo che quando è scoppiato ho pensato che fosse una stronzata. Era una stronzata?».
Lui le lanciò un’occhiata divertita. «Dipende. Se con “stronzata” intende che non c’era chissà quale conflitto di interessi, sì. Se con “stronzata” intende che non mi è costata un sacco di soldi e una fetta di reputazione... be’, no».