CAPITOLO 1
L’Isola dei Mostri:
Il presente
Asahi riprese improvvisamente conoscenza. Si accigliò quando vide sopra di sé le fronde di alberi sconosciuti, non il cielo dell’Oregon. Chiuse le dita, prendendo nota che, invece della sabbia della spiaggia, stava toccando morbido muschio. Colori splendenti e alieni colmavano il suo campo visivo.
Esaminò lentamente l’area circostante, quindi costrinse il suo corpo a muoversi. Scoprì subito che mettersi seduto non era facile quando il mondo girava. Appoggiò la fronte alle ginocchia, puntini neri nuotavano nel suo campo visivo.
Trasse diversi respiri profondi fino ad avere la certezza che non sarebbe svenuto. Una volta sollevata la testa e dopo essersi guardato attorno, non gli ci volle molto ad avere conferma del sospetto che non si trovava più sulla spiaggia dello Yachats State Park – e nemmeno sulla Terra.
“Ruth,” chiamò a bassa voce.
Si sollevò da terra, barcollando quando una nuova ondata di vertigini lo colpì. Si piegò in avanti, appoggiando le mani sulle cosce, e aspettò che passasse. Ci vollero diversi minuti di respiri profondi prima che fosse abbastanza saldo sulle gambe da stare in piedi.
L’incantesimo aveva funzionato. Ora, Asahi si trovava in una strana foresta. Alberi alti, molti delle dimensioni delle sequoie e delle sequoie giganti terrestri, torreggiavano sopra di lui. A differenza degli alberi di casa sua, quelli avevano lunghi rami a spirale con foglie rosso sangue che crescevano verso l’alto e si diramavano a formare grandi sezioni. I tronchi rosso scuro davano l’impressione che dozzine di alberi più piccoli si fossero avviluppati gli uni attorno agli altri mentre crescevano. Nel complesso, l’effetto era mozzafiato – e decisamente alieno.
Asahi aveva raggiunto il mondo dei Sette Regni. Ma sembrava che Ruth non fosse con lui. Magna, un tempo abitante dei Sette Regni, aveva dato l’incantesimo a Ruth, ed era stata quest’ultima a lanciarlo, ma era innegabile che lui fosse solo.
Liane blu, verdi e gialle penzolavano dai tronchi degli alberi; da alcune pendevano dei frutti. Asahi indietreggiò barcollando quando vide un piccolo mammifero peloso viola-bluastro schizzare fuori da un buco nel tronco e afferrare un frutto giallo con due delle sei appendici. La creatura pelosa si voltò e lo osservò guardinga. Sbatté alternativamente le palpebre dei sei occhi prima di portarsi il frutto al petto. L’animale mosse la lunga coda sottile, coperta da una serie di morbidi ciuffi di pelo viola, quindi tornò al suo nido. Asahi sorrise ricordando il nome dell’animale.
“Topo arboreo dalla coda viola,” mormorò.
Infilò una mano nella tasca laterale dei pantaloni cargo neri e sfiorò il suo diario. Esso conteneva le informazioni che suo nonno gli aveva trasmesso nel corso degli anni. Abbassato lo sguardo sul terreno, trasse un sospiro di sollievo quando vide il borsone nero che aveva tenuto in spalla prima di ricomparire lì. Non era sicuro che sarebbe sopravvissuto al viaggio.
Posò un ginocchio a terra e aprì il borsone. Un rapido inventario rivelò che tutto ciò che aveva portato con sé era ancora al suo posto. La prima cosa che tirò fuori fu la pistola 9mm con la fondina da spalla. Asahi indossò la fondina, quindi controllò che il caricatore della pistola fosse pieno e che la sicura fosse inserita prima di infilare l’arma nella fondina e chiuderla con la linguetta.
In seguito, tirò fuori dal borsone un sacco per la spazzatura di plastica bianca. All’interno del sacco c’era uno strofinaccio sporco avvolto attorno al pugnale che Asahi aveva nascosto ventisei anni prima. Disfece l’involto e fissò il pugnale. Sembrava immacolato come il giorno in cui lui lo aveva nascosto.
Una serie di squittii attirò la sua attenzione verso l’albero vicino. Quasi una dozzina di topi arborei dalla coda viola si stava abbuffando con il frutto giallo.
Asahi passò nuovamente lo sguardo sulla zona, cercando eventuali segni di Ruth. Non c’era traccia di impronte. E pur conoscendo la donna solo da poco, Asahi era certo che, se fosse stata lì, sarebbe rimasta nei paraggi.
Tenne il pugnale in mano, rimise lo strofinaccio e il sacco di plastica nel borsone, chiuse il borsone e si rialzò.
Prima le cose importanti: doveva trovare un riparo, capire dove si trovava e decidere il da farsi. Se ci aveva visto giusto e le creature sull’albero erano topi arborei dalla coda viola, era sull’Isola dei Mostri. Il suo diario conteneva una rozza mappa dell’isola. Suo nonno aveva visitato quel regno, ma non si era mai spinto fuori dalla capitale.
Asahi si chinò, prese il borsone e se lo mise a tracolla. A giudicare dall’angolazione dei raggi del sole che filtravano dalle fronde, doveva essere passato da poco mezzogiorno. Aveva alcune ore di tempo a disposizione per trovare un luogo sicuro dove trascorrere la notte. La temperatura era mite, ma lui sospettava che sarebbe precipitata al calare del sole.
“Credo che sia il caso di evitare gli alberi… o almeno quello,” rifletté ad alta voce, scuotendo la testa mentre guardava la colonia di piccole creature viola.
Chiuse gli occhi e ascoltò con attenzione i suoni dell’ambiente circostante. Il cinguettio degli uccelli si mescolava con il ronzio degli insetti e il chiacchiericcio dei topi arborei dalla coda viola. Un suono proveniente dalla sua destra filtrò attraverso gli altri: un suono di acqua corrente.
Asahi aprì gli occhi e si voltò in quella direzione. L’acqua significava un fiume o un lago, che avrebbero potuto condurlo a un villaggio o alla costa. Si slacciò la cintura e infilò l’estremità attraverso l’anello nel fodero del pugnale. Riallacciò la fibbia e sciolse le spalle per allentare la tensione prima di incamminarsi verso il suono dell’acqua che scorreva. Se Ruth era nei paraggi, lui sperava che avrebbe fatto lo stesso.