Capitolo VI

853 Words
Capitolo VI Bazàrov ritornò, si sedette a tavola e cominciò a bere in fretta il tè. Entrambi i fratelli lo guardavano in silenzio, mentre Arkàdij sbirciava ora il padre ora lo zio. “ È andato lontano?” chiese finalmente Nikolàj Petròvič. “ C'è una piccola palude vicino al boschetto delle tremule. Ho fatto alzare almeno cinque beccaccini. Potresti ucciderli, Arkàdij.” “ Lei non va a caccia?” “ No.” “ Si occupa di fisica, esattamente?” domandò a sua volta Pàvel Petròvič. “ Di fisica, sì, e, in generale, di scienze naturali.” “ Dicono che i germanici abbiano fatto grandi progressi in questo campo negli ultimi tempi.” “ Sì, i tedeschi sono i nostri maestri.” rispose con noncuranza Bazàrov. Pàvel Petròvič aveva usato la parola germanici, invece di tedeschi, con ironia, ma nessuno se n'era accorto. “ Ha un'opinione così alta dei tedeschi?” domandò ancora con studiata gentilezza. Cominciava a provare una segreta irritazione. La sua natura aristocratica era turbata dalla perfetta disinvoltura di Bazàrov. Il figlio del medico, non solo non arrossiva, ma rispondeva a scatti e svogliatamente, e nel tono della sua voce c'era qualcosa di rozzo, quasi d’insolente. “ I loro scienziati sono bravi.” “ Sì, sì. E degli scienziati russi, probabilmente, lei non ha un'opinione così lusinghiera?” “ Credo di no.” “ Lodevolissimo esempio di abnegazione.” commentò Pàvel Petròvič, con il busto eretto e buttando indietro la testa. “Ma perché Arkàdij Nicolàiè ci ha appena detto che lei non riconosce nessuna autorità? Non crede nel valore dell'autorità?” “ Ma perché dovrei riconoscere un'autorità? E in quale valore dovrei credere? Se mi parlano di fatti concreti, io mi trovo d'accordo. Ecco tutto.” “ E i tedeschi parlano solo di cose concrete?” domandò Pàvel Petròvič, e il suo viso assunse un'espressione così indifferente e distaccata, come se si fosse innalzato al di sopra dei presenti e si trovasse ora oltre le nuvole. “ Non tutti.” rispose Bazàrov con un breve sbadiglio. Era chiaro che non aveva voglia di continuare a discutere. Pàvel Petròvič lanciò un'occhiata ad Arkàdij come per dirgli: ″gentile il tuo amico, bisogna ammetterlo.″. “ Per quanto mi riguarda, - riprese, non senza sforzo - io sono un peccatore e ai tedeschi non voglio bene. Non parliamo dei tedeschi russi: si sa che gente sono, ma anche i tedeschi non mi sono simpatici. Una volta forse, quando avevano Šiller o Ghette... A mio fratello piacciono molto... Ma adesso ci sono solo chimici e materialisti...” “ Un bravo chimico è venti volte più utile che qualsiasi poeta.” lo interruppe Bazàrov. “ Ah, ecco. - proseguì Pàvel Petròvič, sollevando appena le sopracciglia come se si stesse addormentando - lei, quindi, non riconosce il valore dell'arte?” “ L'arte di far soldi e far scomparire le emorroidi!” esclamò Bazàrov con un risolino sprezzante. “ Va bene. Va bene. Se le piace fare questi scherzi... Insomma lei rinnega tutto, ammettiamolo. Crede solo nella scienza?” “ Le ho già detto che non credo in niente; e che cos'è la scienza, la scienza in generale? Esistono le scienze come esistono i mestieri e i diversi gradi nella società; ma la scienza in generale non esiste affatto.” “ Molto bene. E nei confronti delle altre convinzioni comuni al genere umano ha lo stesso atteggiamento negativo?” “ Che cos'è, un interrogatorio?” Pàvel Petròvič impallidì leggermente... Nikolàj Petròvič ritenne doveroso intromettersi nella conversazione. “ Un giorno approfondiremo insieme questo argomento, caro Evgènij Vasìl'iè, lei sosterrà la sua opinione e noi le diremo la nostra. Per quanto mi riguarda, sono molto contento che lei si occupi di scienze naturali. Ho sentito che Liebig ha fatto straordinarie scoperte sulla concimazione dei campi. Lei mi potrà aiutare nei miei lavori di agronomia. Potrà darmi qualche buon consiglio.” “ Sono ai suoi ordini, Nikolàj Petròvič, ma abbiamo molta strada da fare prima di arrivare a Liebig; bisogna imparare l'alfabeto prima di prender in mano il libro, e noi siamo solo all'inizio.” Sei proprio un nichilista, tu, pensò Nikolàj Petròvič. “ Mi permetta, però, di ricorrere a lei se si presenterà l'occasione. - aggiunse a voce alta. - E adesso, fratello, penso che per noi sia venuto il momento di andare a fare una chiacchierata con il fattore.” Pàvel Petròvič si alzò. “ Sì. - disse senza guardare nessuno - È una disgrazia essere vissuti cinque anni così, in campagna, lontano dalle grandi menti. Si diventa proprio stupidi. Cerchi di non dimenticare quel che ti hanno insegnato, e poi, guarda! Scopri che sono tutte sciocchezze e ti senti dire che le persone serie non se ne occupano più e che tu sei uno sciocco arretrato. Che fare! È evidente che i giovani sono molto più intelligenti di noi.” Pàvel Petròvič girò lentamente sui tacchi e lentamente uscì; Nikolàj Petròvič si avviò dietro di lui. “ Ma è sempre così?” domandò freddamente Bazàrov ad Arkàdij, appena la porta si chiuse alle spalle dei due fratelli. “ Evgènij, sei stato troppo aspro con lui. L'hai offeso.” “ Ma sì, adesso dovrei anche viziarli questi aristocratici di provincia! Non hanno che amor proprio, abitudini da rubacuori, fatuità. Che tuo zio continui le sue imprese a Pietroburgo, se questa è la sua vocazione... Mah, dopotutto, che Dio sia con lui! Ho trovato un esemplare abbastanza raro di scarabeo acquatico: un Dytiscus marginatus, sai? Te lo farò vedere.” “ Avevo promesso di raccontarti la sua storia.” proseguì Arkàdij. “ La storia dello scarabeo?” “ Basta, Evgènij. La storia di mio zio. Capiresti che non è la persona che credi e che merita di essere compatito, più che deriso.” “ Non discuto; ma perché ti sta tanto a cuore?” “ Bisogna essere giusti, Evgènij.” “ Da che cosa lo deduci?” “ Ascolta...” E Arkàdij gli raccontò la storia dello zio. Il lettore la troverà nel capitolo che segue.
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