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CAPITOLO UNO
Un anno prima
All’interno del negozio non c’era nessuno. Kerry sfogliò una rivista, più che altro guardando le foto di celebrità scintillanti nei loro abiti eleganti, e cercò di non sprofondare nella noia. Era tutto ben allestito esattamente come doveva essere, e comunque la galleria non era mai molto frequentata.
E nell’ultima settimana non era passato nessuno dei collaboratori di suo padre.
Grazie al cielo.
Una corrente d’aria le scompigliò i capelli mentre entrava qualcuno. Era un uomo bianco sulla quarantina che indossava un bel completo senza cravatta e aveva un taglio di capelli il cui costo probabilmente si avvicinava ai mille dollari. Lei aveva imparato a individuare potenziali clienti facoltosi fin da bambina, e sebbene questo tizio fosse certamente facoltoso, non era un cliente.
Non lanciò neanche un’occhiata alle opere d’arte sui muri, dirigendosi invece direttamente al banco di Kerry, estraendo un piccolo biglietto da visita e posandolo senza una parola.
Non sembrava uno dei clienti di suo padre. Ma i numeri non mentivano.
“Allora?” la sollecitò l’uomo, secondo il quale evidentemente lei non si stava muovendo abbastanza in fretta.
Kerry stava già per alzarsi, ma fu tentata di rimettere il sedere sulla sedia e far attendere l’uomo un altro po’. Non aveva molto spazio di manovra, ma poteva sempre farlo innervosire.
Anche se innervosire tizi facoltosi con tagli di capelli da mille dollari non si era mai rivelata una tattica vincente.
“Venga con me,” disse invece, prendendo il biglietto e riponendolo in un cassetto chiuso a chiave prima di condurre l’uomo verso il fondo della galleria.
Le sembrava di sentire su di sé gli occhi di uno dei personaggi di un dipinto, che la seguivano mentre lo accompagnava sul retro. Osservandola e giudicandola. E se Kerry fosse stata sola, avrebbe detto al soggetto del quadro di farsi gli affari suoi. Ma non voleva che l’uomo pensasse che era pazza.
Si sentiva sola a stare tutto il giorno seduta nella galleria deserta. E a volte le sembrava che quei dipinti le fossero amici.
Aprì l’armadio nel retro del locale ed estrasse la scatola solitaria che era in attesa da più di una settimana. Quella stupida scatola le faceva battere il cuore ogni volta che sentiva una sirena della polizia nelle vicinanze. Non sapeva cosa contenesse e non lo avrebbe mai chiesto.
Ma i fondi per la galleria da qualche parte dovevano arrivare. E lei di sicuro non stava vendendo abbastanza dipinti da permettersi un immobile a Manhattan.
Un numero scarabocchiato a pennarello su un foglietto adesivo era l’unica etichetta della scatola. Kerry prese il foglietto, facendo attenzione a non toccare la scatola, e la indicò con un cenno. “È per questa che è venuto.”
L’uomo la guardò. “Beh, prendila.” Girò sui tacchi e fece per allontanarsi.
“Io non tocco le scatole.” Kerry rimase ferma dov’era. “Ed è meglio che lei la porti via dalla porta laterale. Non c’è videosorveglianza.” Non si apriva su un vicolo, naturalmente. New York non aveva vicoli. Ma la strada laterale era meno trafficata e nessuno avrebbe curiosato.
L’uomo si fermò, si girò verso di lei e le lanciò un’occhiata penetrante. Ma non era il primo uomo a squadrarla, e Kerry era perfettamente in grado di gestire la cosa. Fece un gesto verso la scatola e poi indicò la porta con un cenno della testa.
Si fissarono l’un l’altra per diversi lunghi secondi finché l’uomo non si accigliò, avvicinandosi e sollevando la scatola come se fosse senza peso. Kerry sentì sbattere qualcosa all’interno e sperò che non ci fosse nulla di fragile.
“La porta la puoi toccare?” chiese l’uomo, con una voce grondante disprezzo.
Kerry sfoderò il suo miglior finto sorriso da servizio clienti, l’unica cosa che aveva imparato da una settimana di lavoro in un negozio di abbigliamento al dettaglio, e lo condusse all’uscita. Aprì la porta con una spinta e con il piede spostò un mattoncino a fermarla, in modo che restasse spalancata mentre l’uomo passava.
Dall’altra parte della strada c’era un piccolo parco, dove un tempo aveva immaginato di sedersi a consumare il pranzo. Ma uomini spaventosi con biglietti da visita numerati potevano arrivare in qualsiasi momento, e lei non era mai riuscita a lasciare il negozio a lungo. Lanciò un’occhiata di rimpianto in direzione del parco e trasalì quando le sembrò di vedere qualcosa di grosso muoversi tra gli alberi.
Un coyote? Un cervo? Un cane? Cercò di guardare con più attenzione, ma il suo ospite la raggiunse alle spalle con passo pesante e lei perse di vista l’animale.
Lui posò la scatola e tirò fuori il telefono, digitando velocemente qualcosa prima di rimetterlo in tasca. “Il mio autista sta facendo il giro dell’isolato.”
Kerry avrebbe potuto lasciarlo lì, ma qualcosa la trattenne. Suo padre voleva che lei si assicurasse che i pacchi lasciassero il negozio. E questo significava verificare che i clienti raggiungessero indenni i loro veicoli. Non che potesse fare molto per fermare un’aggressione, ma questo non significava che le fosse permesso battere in ritirata.
Aveva già fatto la stessa cosa un centinaio di volte o più, prima di quel momento. Non era mai successo niente di brutto. E con quel tizio non sarebbe stato diverso.
Ma per qualche ragione il cuore le batteva velocemente e non vedeva l’ora di tornare dentro il negozio. Aveva la stranissima sensazione che una volta rientrata sarebbe stata al sicuro. Ma la galleria era solo marginalmente più sicura della strada. Non poteva certo chiudere a chiave la porta di ingresso, aveva pur sempre un’attività da gestire.
L’uomo sbuffò, frustrato, e lei poté quasi capirlo. Probabilmente non aveva mai dovuto aspettare o portarsi da solo le sue cose. Ma non aveva il potere di controllare i semafori ai quali il suo autista avrebbe dovuto fermarsi.
Si sentì un gran botto quando il motore di un’auto di passaggio ebbe un ritorno di fiamma e Kerry sobbalzò, cercando con gli occhi il pericolo anche se il suo cervello cercava di assicurarle che era tutto a posto.
Delle gomme stridettero mentre due auto nere imboccavano la stretta strada, e l’uomo alle sue spalle imprecò. Una delle auto tamponò l’altra e Kerry sbarrò gli occhi.
“Ma che diavolo…?” Per un attimo non le venne in mente che ciò che stava accadendo riguardasse la scatola. Ma l’uomo stava già correndo, con la scatola stretta sotto un braccio mentre si precipitava verso la sua macchina. Un buon samaritano avrebbe chiamato la polizia per segnalare l’incidente, ma Kerry voleva solo che quella giornata finisse.
Poi si sentì un altro botto e lei si rese conto che non si era verificato nessun ritorno di fiamma. Qualcuno aveva una pistola.
Kerry indietreggiò e cercò di rientrare, ma qualcosa aveva spostato il mattoncino che la teneva aperta e adesso era la porta era chiusa dall’interno. Si sforzò di concentrarsi mentre si accovacciava, facendosi più piccola possibile, e cercò di capire cosa stesse succedendo.
L’uomo in giacca e cravatta aveva raggiunto la sua auto e si stava riparando dietro di essa. Aveva aperto la scatola e teneva qualcosa in mano dondolando avanti e indietro. La macchina che aveva tamponato la sua aveva entrambe le portiere aperte con due uomini in piedi che sparavano come se fossero nel bel mezzo di un film d’azione. L’autista stava rispondendo al fuoco.
Nessuno prestava attenzione a Kerry e lei voleva che le cose restassero così. Ma se fosse rimasta ferma lì le probabilità di essere colpita da un proiettile vagante erano piuttosto alte. E lei non voleva che le sparassero. Ma fuggendo avrebbe solo attirato l’attenzione.
Si mosse lungo il muro, cercando di raggiungere il cassonetto della spazzatura poco lontano. La puzza sarebbe stata tremenda ma era l’unica cosa nei dintorni che assomigliasse a un vero riparo. E una volta che si fosse allontanata a sufficienza, avrebbe potuto darsi alla fuga. Avrebbe fatto il giro, sarebbe rientrata dalla porta principale chiudendola poi a chiave, e avrebbe chiamato suo padre perché risolvesse quella faccenda.
Le pulsavano le tempie e c’era qualcosa appena fuori dalla portata dei suoi sensi, parole che non riusciva a sentire e che chiedevano di entrare nella sua testa. Kerry si tappò le orecchie con le mani, ma la cosa non servì a fermare l’intrusione. Non fu utile nemmeno chiudere gli occhi.
Non sapeva quanto tempo fosse rimasta accovacciata a cercare di respingere qualcosa che non esisteva; forse solo un minuto. Poi i suoi sensi la resero consapevole di un pericolo reale, una cosa che si trovava proprio di fronte a lei e alla quale non poteva sfuggire.
Un alito umido e ripugnante che la stava colpendo in pieno viso. Un ringhio di gola. Un mostro.
Kerry si sforzò di aprire gli occhi, certa che si trattasse di un’altra illusione. Non fu così fortunata. Vide una folta pelliccia e occhi gialli. Un cane, anzi, no, un lupo, più grande di qualunque altro avesse mai visto, stava proprio di fronte a lei e la studiava come se fosse una specie di cavia da laboratorio.
In qualche modo la cantilena nella sua testa divenne ancora più forte. Il lupo si immobilizzò, e per un momento lei ebbe l’assurda impressione che si fosse trasformato in pietra. Invece no, respirava ancora, in attesa.
Non poteva fuggire. Il lupo era un predatore e la sparatoria non si era fermata. Perché l’animale non stava scappando da tutto quel rumore?
Kerry perse la concentrazione per un secondo e il lupo balzò in avanti, affondando i denti affilati nel suo braccio, lacerando la pelle e facendola urlare mentre una fitta incandescente di dolore la attraversava.
Cadde, mentre il lupo la trascinava e lei si dibatteva per sfuggirgli. La stava portando verso lo scontro a fuoco e lei non aveva idea del perché. Quello non era un lupo normale. Erano nel bel mezzo di Manhattan. Non poteva essere qualcosa di reale.
Il sangue che le colava dal polso diceva il contrario.
Cercò di ignorare il dolore, ma chiunque avesse sostenuto che fosse possibile non era mai stato morso da un lupo, evidentemente. Se non avesse fatto qualcosa, tuttavia, si sarebbe presto trovata sotto il fuoco incrociato, sanguinante, e senza sapere cosa stesse succedendo.
Allungò la mano libera a cercare qualsiasi cosa potesse essere usata come arma. Non erano lontani dal cassonetto e le sue dita si chiusero attorno al collo di una bottiglia di birra in vetro.
Kerry cominciò a tirare in direzione inversa rispetto a ciò che faceva il lupo, anche se temeva che le affondasse i denti ancora più in profondità e finisse per strapparle via il braccio. Ma c’era anche qualcosa di quasi gentile, nell’animale. Lei era ferita, sanguinava e probabilmente aveva bisogno di punti, ma riteneva che un lupo potesse fare ben di peggio.
Allora perché non era così?
Non c’era tempo per chiederselo.
Fece roteare la bottiglia e la sbatté sul muso del lupo, che lasciò la presa.
Kerry scattò in piedi, mentre un’incredibile esplosione di adrenalina le dava nuova energia. Qualsiasi pensiero sull’opportunità di non fuggire davanti a un predatore fu annientato dalla paura. Si strinse al petto il braccio sanguinante e girò l’angolo, chiedendo aiuto a pieni polmoni e sperando che qualcuno la sentisse.
I colpi di pistola si erano diradati e le giungevano attutiti, ma lei se ne accorse a malapena.
Vide dei lampeggianti rossi e blu e un’auto della polizia si fermò così vicino a lei che quasi ci finì contro. Gli agenti scesero in un batter d’occhio, con le pistole spianate e puntate su di lei.
“A terra!” gridarono, come se lei non stesse piangendo, sanguinando, e correndo per salvarsi la vita.
Kerry si lasciò cadere a terra. Almeno non vide più il lupo.