A RomaTre settimane dopo
Erano trascorse alcune settimane dall’entrata in coma di Fra Pasquale e la vita doveva continuare, quella del Risolutore in particolar modo. Santini aveva impegni urgenti e inderogabili in seno alla Santa Sede, per cui a malincuore prese il primo volo della mattinata per Roma. Doveva incontrare il Papa, e non era certo uno di quegli appuntamenti che si potevano rimandare, inoltre ne avrebbe approfittato per abbracciare i suoi amici di sempre: Andrea Baresi, Sonia Casoni e Mauro Donoletti.
Lasciò il suo maestro nelle mani amorevoli di Mali, dei suoi allievi del Consiglio e dei frati, questi ultimi tutti abili infermieri. Aveva la certezza che lo avrebbero accudito come meritava. Le attrezzature di cui era dotato il Rifugio garantivano il massimo dell’efficienza sanitaria, mentre la conoscenza e l’abilità medica di Mali lo rasserenavano al punto tale da permettergli di tornare concentrato e di dedicarsi completamente al suo delicato compito.
Era addestrato a non farsi prevaricare da alcuna emozione, men che meno dai sensi di colpa o dai rimorsi. Non si faceva influenzare dalle proprie questioni private né da quelle di chiunque altro, ma era altrettanto vero che i suoi pensieri correnti non erano frivoli. Neppure il suo decennale addestramento lo stava sostenendo, benché gli garantisse lucidità e determinazione in ogni occasione, anche la più assurda e coinvolgente.
La sua freddezza, che tanto timore incuteva agli altri, in quella circostanza lo stava abbandonando. A volte si lasciava andare a labili sorrisi quando pensava ai bei ricordi passati, quando da bambino giocava e compiva un numero indefinito di marachelle, sempre puntualmente riprese e punite dal prozio, fino ai combattimenti con quel vecchio maestro che gliele suonava di santa ragione in modo inspiegabile, considerato che, a quel tempo, Fra Pasquale era già in età avanzata e lui un giovane colmo di vitalità e nel pieno delle forze.
Non avrebbe voluto allontanarsi dal capezzale del suo amato maestro, ma non aveva alternativa se non proseguire la sua vita al servizio della Chiesa come aveva sempre fatto, anche in momenti dolorosi, quando il pensiero di mollare tutto era ricorrente e forte. Anche Fra Pasquale, era certo, avrebbe condiviso tale decisione, le grevi incombenze in capo al Risolutore non potevano venire limitate neppure dalla perdita di una persona cara o, come nel suo caso, così vicina alla fine dei suoi giorni.
Il frate era entrato in coma profondo e irreversibile, una condizione che non dava speranza alcuna in merito a una sua ripresa. A sentire Mali le funzioni vitali erano stabili, ma il quadro clinico faceva emergere chiaramente che il fisico si stava degradando man mano che i giorni passavano.
Purtroppo era ormai certo che l’anziano monaco si stava spegnendo lentamente. Era vero che in tanti avrebbero voluto godere di una longevità pari alla sua e spegnersi così, senza dolore o sofferenza, dopo aver vissuto una vita intensa e piena senza mai incappare in una qualsiasi malattia, ma quel pensiero non gli era di conforto. Per il sommo maestro, ormai, nessuno avrebbe potuto fare più nulla. Restava solo la preghiera, nella speranza che Iddio ascoltasse tale supplica facendo riprendere coscienza a Fra Pasquale. Santini ci sperava, non che ci credesse davvero, però si sottopose per settimane a lunghe veglie assieme ai frati e ai componenti del Consiglio.
Solo un miracolo avrebbe salvato Fra Pasquale, e in quello confidava Santini, per cui pregava incessantemente, senza risparmiarsi, senza mangiare e bere se non un po’ di pane e acqua a giorni alterni, in una sorta di punizione e pentimento. Tutti fecero delle pause, ma non lui, che continuò imperterrito a pregare finché, dopo una settimana di tormento, iniziò sempre più di frequente a crollare a terra nella piccola Chiesa del monastero da quanto era stremato. I frati furono colpiti dalla determinazione di Santini nella orazione, dalla resistenza incessante a cui nemmeno loro erano abituati, tanto da convincerli a intercedere non solo per l’adorato fratello, bensì anche a favore di quell’uomo martoriato da un dolore silenzioso ma, in quanto a intensità, assordante. Arrivarono persino a dovergli curare le ferite alle ginocchia sanguinanti per la posizione mantenuta per giorni interi, finché riuscirono a convincerlo a recitare le sue preghiere stando seduto o supino. Santini aveva scelto di mantenere il silenzio, si limitò a fare avanti e indietro dalla Chiesa alla sala rianimazione dove restava accanto al suo maestro, accarezzandogli i capelli e la lunga barba.
I suoi allievi soffrirono e pregarono con e per lui, anch’essi traboccanti di un dolore indicibile, tangibile. Ma non osarono mai avvicinarsi al maestro, in timoroso rispetto della sofferenza che si leggeva sul suo volto.
Soltanto i frati e Mali interagivano con lui, ma solo per assisterlo e curarlo quando stramazzava al suolo. Il maestro a volte si guardava intorno con lo sguardo perso nel vuoto, vedeva i suoi allievi sempre presenti e sembrava che questo pensiero lo rasserenasse. Perciò i Consiglieri fecero a turno per non lasciarlo mai solo, pur mantenendosi a debita distanza. Se il maestro avesse avuto bisogno di loro, non dovevano mancare. La loro vita era stata donata e affidata a quell’uomo affinché ne disponesse liberamente.
Questo, e solo questo, era il loro compito.
Mai e poi mai sarebbero venuti meno al loro dovere.
L’aereo atterrò a Roma Fiumicino con qualche sobbalzo di troppo. Santini si svegliò di soprassalto, non si era accorto di essersi addormentato. Colpa certo delle estenuanti giornate passate a pregare e alla conseguente carenza di sonno. Anche se negli ultimi giorni aveva recuperato le forze e ripreso ad allenarsi e ad alimentarsi correttamente, il riposo mancato sembrava non fosse riscattabile. Stiracchiò i muscoli indolenziti e ruotò il collo, sentendo un numero considerevole di scricchiolii anomali.
“Inizia la vecchiaia, caro mio”, si disse. Scese dall’aereo assieme agli altri passeggeri e, invece di prendere il bus come tutti, si diresse verso due uomini in divisa, chiaramente agenti della Gendarmeria Vaticana, che lo attendevano accanto a un’auto nera senza alcuna effige, ma con il lampeggiante blu bene in evidenza. Lo salutarono ponendosi sull’attenti, essendo uno dei componenti della Pontificia commissione per la Città del Vaticano, l’organismo deputato a gestire l’intero Stato dal punto di vista amministrativo e militare, Santini era considerato un influente funzionario governativo, per cui il saluto militare era d’obbligo.
«Benvenuto Eccellenza, il Generale Baresi la attende fuori dai cancelli dell’aeroporto», precisò l’agente più alto in grado.
Il Risolutore ringraziò i due che lo fecero accomodare sul sedile posteriore. Percorsero pochi metri, uscirono da un cancello di servizio e si fermarono nel parcheggio riservato ai dirigenti dell’aeroporto. Ad aspettarlo c’era Andrea Baresi, il potentissimo e rispettato Ispettore Generale della Gendarmeria Vaticana, grande amico e allievo di Santini. Baresi era stato un dirigente della Polizia italiana fino a qualche anno prima, assistente della dottoressa Sonia Casoni, ex magistrato da anni distaccata presso la Santa Sede. Il rapporto tra Baresi e Santini aveva avuto inizio durante una movimentata e sanguinosa operazione, in cui Baresi, non essendo a conoscenza del suo ruolo, lo aveva creduto il criminale di turno, tanto da convincere la Casoni a mettersi sulle sue tracce per poterlo arrestare. I due si erano trovati nel bel mezzo di una pericolosa e riservatissima missione per conto del Papa, condotta da Santini e dalla sua squadra contro una potente setta religiosa denominata ‘Crepuscolo’. I due, una volta resisi conto del grossolano errore, si erano alleati con il Risolutore e avevano gestito una delle operazioni d’intelligence più importanti a livello internazionale.
Dopo quei fatti la vita dei tre era cambiata radicalmente, Santini e la Casoni avevano avuto una relazione, complicata per mille motivi, con Baresi era nata invece una profonda stima e amicizia. Era stato lo stesso Santini a farlo nominare nuovo Ispettore Generale della Gendarmeria Vaticana e, in seguito, a prenderlo sotto la sua ala protettrice concedendogli il privilegio di diventare suo personale allievo, come se fosse un componente del Consiglio. Naturalmente Baresi ne era stato entusiasta e onorato a tal punto che lo aveva riconosciuto non solo come maestro, bensì quale sua prima guida spirituale.
Qualche anno più tardi Santini lo aveva affidato alle cure di Fra Pasquale affinché affrontasse un livello mistico superiore, oltre quello che lui poteva garantirgli. E Fra Pasquale era la miglior guida che si potesse mai sperare. Baresi aveva accettato quello che riteneva un immenso dono, ma anche un grande sacrificio di Santini. Infatti, per regola imposta dall’Ordine della Milizia Aurata di cui anche Baresi faceva parte, ogni maestro poteva essere la guida spirituale di un solo allievo. Fra Pasquale era sempre stato il mentore di Santini e lui aveva rinunciato a questo privilegio.
Per questi motivi l’incontro fra i due fu struggente.
Appena si videro si abbracciarono forte, rimanendo stretti per qualche minuto senza proferire parola alcuna. Il dolore li accumunava, non servivano esternazioni. Piansero insieme, entrambi erano uomini forti e dal carattere duro e solo la notizia dello stato di salute del loro mentore poteva sciogliere quei cuori solitamente gelidi e determinati. Non si trattennero nemmeno davanti agli uomini di Baresi, non provavano vergogna, volevano solo abbandonarsi al sostegno umano di quel contatto fisico. Dal canto loro i gendarmi ben conoscevano il valore e il coraggio di entrambi, per cui rimasero in attesa, attenti e vigili al fine di tutelare l’incolumità di quei due importanti personaggi, ma rispettarono il momento restando a debita distanza.
Una volta saliti nell’auto blindata di Baresi, Santini gli spiegò per filo e per segno gli avvenimenti che avevano determinato l’entrata in coma di Fra Pasquale.
Ma non fece parola di ciò che aveva discusso con il frate, men che meno delle valutazioni maturate in quell’occasione. Le tenne per sé, quasi a voler custodire un segreto. Lo considerava un ricordo indelebile, ma anche l’aspirazione a cui ambiva con tutto se stesso. L’idea che il suo amato prozio avesse incontrato Dio alla fine di un’esistenza così particolare, che lui stesso stava ricalcando, gli faceva sperare di essere, a sua volta, il destinatario della medesima possibilità. Un incontro con Dio sarebbe stato meraviglioso, un desiderio assoluto. Dopo averlo servito con così tanto amore e dedizione, un tale rilevante segno divino sarebbe stato il coronamento di un ideale inseguito da una vita intera. Credeva questo Santini, ormai ne era fermamente persuaso. Si stava sempre più convincendo che una ripresa di Fra Pasquale poteva non rappresentare la soluzione migliore, ma il frutto di un desiderio egoistico. Sarebbe stato come spezzare e inibire l’avverarsi del desiderio del frate di finire i propri giorni terreni per approdare a nuova vita in una dimensione diversa, sicuramente migliore: in Cielo, accanto al Dio che tanto aveva amato e al quale si era completamente offerto quando era in Terra. Sorrise a quel pensiero e, di colpo, ritrovò un po’ di serenità. Si disse nuovamente pronto a ripercorrere la strada del prozio, continuando nei suoi compiti e doveri, servendo il Signore fino alla fine dei suoi giorni.
«Sbaglio o è un sorriso quello stampato sulla tua faccia?», gli chiese Baresi.
Fino a quell’attimo l’amico aveva rispettato il silenzio di Santini, in evidente stato meditativo.
Lui gli sorrise.
«Stavo pensando a Fra Pasquale, ai bei tempi andati, quando ancora ero un bimbo tremendo e lui mi riprendeva dandomele di santa ragione», non volle farlo partecipe dei suoi reali pensieri.
«Maestro», Baresi era in evidente imbarazzo a iniziare quell’argomento, «per lungo tempo non ci siamo visti e non sono mai riuscito a parlarti prima di oggi. So che il momento non è dei migliori, ma non posso tergiversare oltre, per cui ho la necessità di chiarire i fatti. Volevo scusarmi con te per la storia fra me e Sonia. Entrambi non sappiamo come comportarci, e ci sentiamo tremendamente in colpa. Sai bene quanto teniamo a te, eppure la situazione ci è sfuggita di mano e non abbiamo riflettuto sulle conseguenze. Abbiamo sbagliato, ce ne rendiamo conto, è successo tutto in un attimo, in un momento di debolezza per entrambi e…», fece una breve pausa come per riordinare le idee, poi proseguì, «…beh, non serve che dica altro, solo che tu non meriti che proprio noi due ci si renda responsabili nel provocarti un dolore. Ne abbiamo discusso a lungo e abbiamo deciso: faremo qualunque cosa per superare questa spiacevole situazione, anche troncare il nostro rapporto.»
La Casoni, all’inizio della loro conoscenza, si era innamorata di Santini che si era lasciato andare a quel sentimento, condividendolo con trasporto e convinzione, pensando che fosse stato il destino a farli incontrare. Il Risolutore era un prete nel pieno svolgimento del suo ministero, ma non era obbligato al sacerdozio e, tanto meno, alla castità. Era pur vero, però, che la temperanza{20} per Santini era una scelta di vita, ben ponderata e irrinunciabile. D’altronde aveva sempre convinto la Casoni che la moderazione non avrebbe influenzato la sua capacità di amare, anche con maggior intensità. Un’affermazione sempre confermata nei fatti e la Casoni non aveva mai avuto ragione di dubitarne. Anzi, era talmente forte il suo amore per quell’uomo così straordinario, che si era convertita volentieri alla castità, facendo sua quella filosofia di vita e condividendo con il suo amato tale virtù. Quel rapporto, tanto inusuale quanto intenso e coinvolgente, però, aveva iniziato a scemare nel tempo. Santini aveva iniziato a comprendere che la sua amata Sonia non si sentiva completamente realizzata, non tanto per l’assenza di rapporti carnali, pratica ben compensata da attenzioni altrettanto appassionanti, bensì perché si sentiva limitata come donna. Sposarsi in Chiesa, l’abito bianco, diventare moglie di un uomo normale e provare così la gioia di formarsi una famiglia classica con tanto di bambini al seguito erano istinti primordiali in capo a ogni donna, e lei non faceva eccezione.
Era giunto un momento in cui avevano deciso, di comune accordo, di prendersi un periodo di riflessione. L’esito della Casoni, però, era stato di innamorarsi di Andrea Baresi, il fidato amico di una vita, ma pure l’allievo di Santini. In effetti poteva essere alquanto imbarazzante spiegare proprio a Santini che la pausa di riflessione aveva preso una piega inaspettata. Quest’ultimo, in verità, non ne era rimasto sorpreso e aveva benedetto senza indugio quell’unione, lasciando i due nel caos più totale e non volendo più tornare sull’argomento. Baresi e la Casoni l’avevano interpretato come una sofferenza silenziosa che Santini non voleva far trasparire. In realtà lui un po’ se l’aspettava e, nella sua mente, aveva già paventato che potesse capitare, per cui non ne era rimasto particolarmente colpito. Baresi era la scelta più naturale, considerato che i due si conoscevano da molto più tempo.
«Ho benedetto quell’unione», rispose Santini all’amico, «perché è la scelta più logica. Tu sei accanto a Sonia da molti anni, e lei ti ha sempre voluto bene. Io penso che tu sia un buon amico e allievo, oltre a una persona per bene come non ce ne sono molte. Sonia merita un uomo come te e io non posso che esserne veramente felice, credimi.»
«Ne sei certo? Dì una sola parola ed esaudiremo ogni tuo desiderio.»
Santini rise a quell’affermazione, il volto di Baresi esprimeva davvero un serio imbarazzo e quasi un pentimento.
«A che pro, Andrea?» gli domandò. «Per non vedere Sonia con te, credendo che io la preferisca fra le braccia di un altro uomo? No, Andrea, non sono geloso e la cosa l’ho già digerita da tempo, né sono così stupido da pensare che lei possa tornare da me. È destino che io rimanga così come sono sempre stato, cioè solo. Non sono in grado di garantire o promettere a chicchessia una vita normale, perché io non ho una normalità da esprimere. Per cui benedico una volta di più la vostra unione, adesso spetta a te prenderti cura di lei. Ecco quello che ti chiedo di fare: offri a Sonia il meglio delle tue possibilità. E so per certo che sarai un buon marito e padre.»
Santini gli prese il volto fra le mani. «Usami il privilegio di non menzionare mai più questa storia, né che possa mai essere argomento di discussione fra te e Sonia. Vivete felici e non pensate a me.»
Baresi accennò un sorriso.
Un po’ smorto, ma pur sempre un sorriso.
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