CAPITOLO III

836 Words
CAPITOLO III L’allodola Ma non basta essere cattivi, per prosperare; e la bettola andava male. In grazia dei cinquantasette franchi della viaggiatrice, Thénardier aveva potuto evitare un protesto e fare onore alla propria firma. Il mese seguente, ebbero ancora bisogno di denaro: la donna portò a Parigi il corredo di Cosette e l’impegnò al Monte di Pietà per sessanta franchi. Da quando quella somma fu spesa, i Thénardier s’avvezzarono a vedere nella bambina un essere ch’essi avevano accolto per carità e la trattarono in conseguenza. Siccome non aveva più corredo, la vestirono colle vecchie sottane e le vecchie camicie delle piccole Thénardier, vale a dire di cenci e la nutrirono cogli avanzi di tutti, un po’ meglio del cane, un po’ peggio del gatto. Del resto, il cane e il gatto erano i suoi commensali consueti, poichè Cosette mangiava con essi sotto la tavola, in una scodella di legno simile alla loro. La madre (che s’era sistemata, come vedremo più tardi, a Montreuil a mare) scriveva o, per dir meglio, faceva scrivere ogni mese per aver notizie della bimba; ed i Thénardier rispondevano invariabilmente: Cosette sta benone. Trascorsi i primi sei mesi, la madre mandò sette franchi per il settimo mese, e continuò abbastanza puntualmente i suoi invii di mese in mese. L’anno non era ancora finito, quando la Thénardier disse: “Quanta degnazione, da parte sua! Che cosa vuole che facciamo, con sette franchi?” E scrisse per esigere dodici franchi. La madre, persuasa da loro che sua figlia era felice e “cresceva bene”, si sottomise a mandare i dodici franchi. Vi sono nature che non possono amare da un lato senza odiare dall’altro. La madre Thénardier amava appassionatamente le sue figlie: in conseguenza detestò la straniera. È triste pensare che l’amore d’una madre possa avere brutti aspetti; pure, per quanto poco posto occupasse Cosette in lei, le sembrava ch’esso fosse preso alle sue creature, e quella piccola diminuisse la quantità d’aria che le sue figlie respiravano. Quella donna, come tant’altre di quella specie, aveva una somma di carezze ed una di percosse e d’ingiurie da spendere ogni giorno. Se non avesse avuto Cosette, certo le sue figlie, per idolatrate che fossero, avrebbero ricevuto tutto, ma l’estranea rese loro il servizio di stornare le percosse su sé e le figlie ebbero solo carezze. Cosette non faceva un movimento senza far piovere sul suo capo una gragnuola di castighi violenti ed immeritati. Oh, dolce essere debole, che non doveva nulla comprendere del mondo e di Dio, punita continuamente, sgridata, strapazzata e battuta, mentre vedeva al suo fianco due creaturine come lei, vivere in un raggio d’aurora! Come la Thénardier era cattiva con Cosette anche Eponina ed Azelma lo furono. I fanciulli a quell’età sono soltanto copie della madre; solo, il formato è più piccolo. Trascorse un anno, un altro. Nel villaggio si diceva: “Che brava gente, quei Thénardier! Non sono ricchi, eppure allevano una povera bambina che è stata abbandonata in casa loro.” Infatti, si credeva che Cosette fosse stata dimenticata dalla madre. Intanto la Thénardier, saputo per non so quali vie oscure che la figlia era probabilmente una bastarda e che la madre non poteva confessarlo, pretese quindici franchi al mese, dicendo che la “creatura” cresceva e “mangiava”, e minacciando di rimandarla alla madre. “Non mi faccia andare in bestia,” diceva “o io le scaravento la sua marmocchia nel bel mezzo dei suoi segreti. Mi occorre un aumento.” E la madre pagò i quindici franchi. D’anno in anno, la bimba cresceva e la miseria pure Finché Cosette fu piccola, fu lo zimbello delle altre due bimbe; ma quando incominciò a svilupparsi un poco, cioè ancor prima che compiesse il quinto anno, diventò la serva di casa. È inverosimile, si dirà. A cinque anni! Ahimè! È vero. La sofferenza sociale incomincia a qualunque età; non abbiam forse visto, recentemente, il processo d’un certo Dumolard, orfano diventato bandito, che fin dall’età di cinque anni, come dicono i documenti ufficiali, essendo solo al mondo, “lavorava per vivere, e rubava”? Cosette fu incaricata delle commissioni, di scopare le stanze, la corte e la strada, di lavare i piatti ed anche di portare grossi pesi. I Thénardier si credettero tanto più autorizzati ad agire così, in quanto la madre, che era sempre a Montreuil a mare, incominciò a non pagare puntualmente, tanto che alcuni mesi rimasero in arretrato. Se, in capo a quei tre anni, quella madre fosse ritornata a Montfermeil, non avrebbe riconosciuto la propria figlia. Cosette, tanto graziosa e fresca al suo arrivo in quella casa, era ora magra, slavata ed aveva un aspetto inquieto: “Sorniona!” dicevano i Thénardier. L’ingiustizia l’aveva resa permalosa e la miseria brutta. Le rimanevano solo gli occhioni, che facevan pena perché, così grandi, vi si scorgeva una enorme tristezza. Era straziante vedere, d’inverno, quella povera bimba, che non aveva ancora sei anni, tremante sotto i vecchi cenci di tela, tutti buchi, scopare la strada all’alba, con un’enorme scopa nelle manine rosse ed una lagrima nei grandi occhi. In paese la chiamavano l’Allodola. Il popolino, che ama i traslati, s’era preso il gusto di dar quel nome a quel piccolo essere, non più grosso d’un uccello, tremante, sveglio per primo nella casa e nel villaggio, sempre in istrada e per i campi, prima dell’alba. Soltanto, la povera Allodola non cantava mai.
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