Chapter 4

2026 Words
– Pensavo, – disse il signor Pickwick, – alla strana mutabilità delle cose umane. – Ah, vedo, vedo! Oggi sul portone, domani alla finestra. Filosofo? – Un semplice osservatore della natura umana, mio caro signore. – Io pure; come lo sono molti quando hanno poco da fare e meno da guadagnare. Poeta, signore? – Il mio amico Snodgrass ha una pronunciata disposizione alla poesia, – rispose il signor Pickwick. – Come me, come me. Poema epico; diecimila versi; rivoluzione di luglio; composto sopra luogo. Marte di giorno, Apollo di notte. Il fucile e la lira, uno sparo e un accordo. – Vi trovaste a quella scena gloriosa? – domandò il signor Snodgrass. – Se mi ci trovai! altro che! Un colpo di moschetto e un’idea. Corro nella cantina, la scrivo, di nuovo al fuoco, pin pan! un’altra idea, da capo la cantina, calamaio e penna, fuori, fendenti e stragi, bell’epoca, caro signore, bell’epoca quella lì. Cacciatore? – volgendosi di botto al signor Winkle. – Un poco, – rispose questi. – Bell’esercizio, signore, bell’esercizio. Cani, eh? – Proprio in questo momento, no. – Ah! dovreste tener dei cani. Bell’animale, intelligente, sagace. Ne avevo uno io. Un cane di punta. Un istinto da sbalordire. Un giorno vado a caccia. Entro in una difesa. Fischio. Il cane non si muove. Rifischio: Ponto! Niente. Ponto ha messo radici. Lo chiamo ancora: Ponto, Ponto! Tutto inutile. Cane pietrificato, fisso davanti una scritta. Alzo gli occhi, leggo: “Il guardacaccia ha ordine di tirare a qualunque cane si troverà in questa difesa.” Ponto non voleva passare. Bestia sorprendente. Inapprezzabile, unica. – Davvero che il caso è straordinario, – disse il signor Pickwick. – Permettete che ne pigli appunto? – Fate, fate, servitevi. Cento altri aneddoti dello stesso animale. Bella ragazza, signore! – proseguì il forestiero volgendosi al signor Tupman, il quale andava lanciando certe sue occhiate tutt’altro che pickwickiane ad una giovanetta che passava da un lato della via. – Bellissima, – rispose il signor Tupman. – Le Inglesi non valgono le Spagnuole: nobili creature, capelli d’ebano, pupille di fuoco, forme scultorie; creature dolci, irresistibili! – Siete stato in Ispagna, signore? domandò il signor Tracy Tupman. – Dei secoli, dei secoli. – Molte conquiste, signore? – domandò il signor Tupman. – Conquiste? a migliaia. Don Bolaro Fizzgig. Grande di Spagna. Figlia unica, donna Cristina, creatura splendida. Innamorata cotta di me, padre geloso, ragazza ostinata, bell’Inglese. Come si fa? Disperazione di donna Cristina. Acido prussico. Piglio una pompa aspirante, che ho nel mio bagaglio. Detto fatto, l’operazione riesce. Il vecchio don Bolaro, in estasi. Consente alle nozze, congiunge le mani, torrenti di lagrime. Una storia romanticissima. – E la signora trovasi ora in Inghilterra? – domandò il signor Tupman, sul quale la descrizione di quelle grazie aveva prodotto una profonda impressione. – Morta, signore, morta! – esclamò in un gemito il giovane viaggiatore, applicandosi all’occhio diritto l’avanzo di un vecchio fazzoletto di battista. – Non si riebbe più dalla operazione. Costituzione minata. Vittima. – E suo padre? – domandò il poetico Snodgrass. – Rimorso e miseria, – rispose il giovane. – Sparizione improvvisa. Che è, che non è, tutti ne parlano, si cerca dappertutto, niente. Di botto la fontana pubblica nella piazza non dà più acqua. Passano delle settimane. Altra fermata. Si mandano degli operai a pulir la vasca, si vuota. Trovano mio suocero nel condotto maestro, col capo in giù, e una piena confessione nello stivale destro. Lo tirano fuori, e dalla fontana zampilla meglio che mai. – Permettete che pigli nota di questo piccolo romanzo? – disse il signor Snodgrass, vivamente commosso. – Servitevi, signore, servitevi. Altri cinquanta, se vi piace. Una strana vita la mia, curiosa anzi che no, niente di straordinario, ma singolare, molto singolare. Su questo tono seguitò a discorrere il loquace viaggiatore, interrompendosi solo per ingurgitare un bicchiere di birra, a guisa di parentesi, alle varie poste di cavalli; sicchè quando furono giunti al ponte di Rochester, i libri di appunti così del signor Pickwick come del signor Snodgrass erano completamente riempiti di una scelta delle sue avventure. – Magnifiche rovine! – esclamò il signor Augusto Snodgrass con quella foga poetica ch’era tutta sua, quando ebbero davanti il vecchio castello. – Che studio per un antiquario! – furono le precise parole che il signor Pickwick, adattandosi all’occhio il suo telescopio, si fece sfuggire dalle labbra. – Ah! un bel posto, – soggiunse lo sconosciuto. – Splendido edifizio, mura accigliate, archi cadenti, biechi nascondigli, scale crollanti. Vecchia cattedrale anche, odore terrigno, i gradini consumati dai piedi dei pellegrini, porticine sassoni, confessionali, come il botteghino di un teatro. Curiosi cotesti frati, papi e tesorieri, e altro vecchio ciarpame, facce rosse e nasi smozzicati; ne dissotterrano tutti i giorni. Dei giachi di pelle anche, degli archibugi, sarcofaghi, bel posto, antiche leggende, storie curiosissime, magnifico! E lo sconosciuto continuò il suo monologo fino a che la diligenza non si fermò, sulla via maestra, davanti all’Albergo del Toro. – Rimanete qui, signore? – domandò il signor Nataniele Winkle. – Qui? no davvero. Voi sì, farete bene. Buona casa, letti eccellenti. Troppo caro l’albergo accanto. Mezza lira di più sul conto, soltanto per aver guardato in viso il cameriere. Conto più salato se vi permettete di desinare da un amico che se non uscite dall’albergo. Bei tipi, davvero. Il signor Winkle si accostò al signor Pickwick e gli bisbigliò qualche parola all’orecchio. Un mormorio passò dal signor Pickwick al signor Snodgrass, dal signor Snodgrass al signor Tupman, e dei segni di assenso furono scambiati. Allora il signor Pickwick, volgendosi al forestiero: – Voi ci avete reso stamane un grande servigio, caro signore, – disse; – vorreste permetterci di offrirvi un lieve attestato della nostra gratitudine domandandovi il favore della vostra compagnia a pranzo? – Volentierissimo. Non pretendo mica imporre i miei gusti, ma polli arrosto, funghi, squisito! A che ora? – Vediamo, – disse il signor Pickwick, tirando fuori l’orologio. – Adesso son le tre. Vi accomoda per le cinque? – Egregiamente. Cinque in punto. Fino allora, vi lascio in libertà; – e sollevatosi di qualche pollice il cappello dalla testa in segno di saluto e aggiustatolo sulle ventiquattro, lo sconosciuto traversò svelto svelto il cortile e voltò nella via, avendo sempre fuori della tasca metà del suo fagotto di carta grigia. – Un gran viaggiatore, senza dubbio, ed un arguto osservatore degli uomini e delle cose. – disse il signor Pickwick. – Mi piacerebbe dare un’occhiata al suo poema, – disse il signor Snodgrass. – Quanto avrei voluto vedere quel suo cane! – disse il signor Winkle. Il signor Tupman non disse niente; ma pensava a donna Cristina, alla pompa, alla fontana, e gli si empivano gli occhi di lagrime. Dopo aver fissato una camera da pranzo privata, esaminati i letti, e ordinato il desinare, i nostri viaggiatori uscirono per visitare la città e le sue vicinanze. Noi non troviamo, da un’attenta lettura delle note del signor Pickwick sulle quattro città, Stroud, Rochester, Chatham e Brompton, che le sue impressioni in proposito differiscano gran fatto da quelle di altri viaggiatori che abbiano percorso le medesime regioni. Si può riassumere in poche parole la sua descrizione. “I prodotti principali di queste città” scrive il signor Pickwick “pare che siano soldati, marinai, Ebrei, calce, gamberi, ufficiali e impiegati della marina. Le merci poste in vendita sulla pubblica via sono specialmente roba marinaresca, biscotto, mele, baccalà ed ostriche. Le vie presentano un aspetto animatissimo, in grazia soprattutto del buon umore dei militari. È veramente uno spettacolo delizioso per un animo filantropico il vedere quei bravi soldati, presi da un accesso combinato di spiriti animali ed artifiziali, andar qua e là ciondoloni come battagli; tanto più quando si pensi che divertimento innocente e poco dispendioso essi offrano alla popolazione dei ragazzi che corre loro dietro e scherza con essi. Non c’è nulla (aggiunge il signor Pickwick) che possa agguagliare la loro allegria. Appunto il giorno prima del mio arrivo, uno di essi era stato villanamente insultato in una bettola. La ragazza che faceva da tavoleggiante gli avea negato chiaro e tondo dell’altro vino. Al che, per semplice scherzo, egli avea tratto la sua baionetta; ed avea ferito la ragazza alla spalla. E nondimeno, questo bravo ragazzo si presentò la mattina appresso alla bettola, e fu il primo a dichiarare di esser pronto a non pensarci più e a dimenticare quanto era accaduto! “Il consumo del tabacco in queste città (continua il signor Pickwick) dev’essere straordinario; e l’odore che invade le strade non può riuscire che deliziosissimo agli amatori del fumo. Un viaggiatore superficiale potrebbe trovare a ridire sulla mota costante che è la speciale caratteristica di quelle; ma per coloro che la guardano come un indizio del traffico e della prosperità commerciale, la cosa è assolutamente consolante.” Alle cinque in punto si presentò il giovane invitato, e poco dopo fu servito in tavola. Il fagotto di carta grigia non c’era più, ma nessun mutamento era avvenuto nei vestiti del viaggiatore, e tanto meno nella sua loquacità che era anzi divenuta più notevole che mai. – Che roba è questa? – domandò mentre il cameriere sollevava uno dei coperchi. – Sogliole, signore. – Sogliole? ah! Stupende. Tutte le sogliole vengono da Londra. I proprietari di diligenze mettono su a posta dei banchetti politici; pel trasporto, capite. Carichi di sogliole, canestri a dozzine. Gente che sa il fatto suo. Un bicchier di vino, signore? – Grazie, volentieri, – rispose il signor Pickwick; – e il forestiero prese del vino; prima con lui, e poi col signor Snodgrass, e poi col signor Tupman, e poi col signor Winkle, e poi con tutta la brigata, con quella medesima rapidità con la quale parlava. – C’è un vero diavoleto per le scale, cameriere, – disse lo sconosciuto. – Seggiole, panche vanno su e giù, falegnami, lumi, bicchieri, strumenti, un’arpa. Che diamine succede? – Un ballo, signore, – rispose il cameriere. – Per s************e? – Signor no, signore. Un ballo di beneficenza, signore. – Sapete che vi siano molte belle donne in questa città? – domandò con vivo interesse il signor Tupman. – Splendide, magnifiche. Kent, caro signore. Tutti conoscono Kent: mele, ciliege, luppoli e donne. Un bicchiere di vino? – Volentieri, – rispose il signor Tupman Lo sconosciuto empì e vuotò in meno di niente. – Ci andrei con molto piacere, – disse il signor Tupman, ripigliando a parlare del ballo, – con moltissimo piacere. – I biglietti si vendono su, alla porta, signore, – disse il cameriere; – mezza ghinea, signore. Il signor Tupman manifestò nuovamente un gran desiderio di assistere alla festa; ma non incontrando alcuna risposta nell’occhio velato dell’amico Snodgrass o nello sguardo astratto del signor Pickwick, si diè con molta forza al vino di porto e alle frutta che appunto erano state portate in tavola. Il cameriere si ritirò, e la brigata fu lasciata a godersi quel paio d’ore di dolce abbandono che sogliono succedere al desinare. – Domando scusa, signore, – disse lo sconosciuto. – La bottiglia sta in ozio, fatela girare, come il sole, una corsa, Giosuè a rovescio, – e vuotò il bicchiere che due minuti prima aveva riempito; e se ne versò subito un altro col fare di chi è abituato a questa specie di lavoro. Il vino passò e disparve, e se n’ordinò dell’altro. Lo sconosciuto discorreva, i Pickwickiani ascoltavano. Il signor Tupman si sentiva sempre più disposto pel ballo. Sulla fisionomia del signor Pickwick brillava una certa luce di filantropia universale; e i signori Winkle e Snodgrass dormivano saporitamente. – Incominciano lassù, – disse lo sconosciuto. – Sentite il calpestio; accordano i violini; questa è l’arpa; eccoli che si slanciano. I suoni svariati che venivano dalle scale annunziavano in fatti che la prima contradanza era incominciata. – Come ci vorrei andare! – ripetette il signor Tupman. – Ed anch’io, – disse lo sconosciuto. – Maledetto bagaglio; ritardo del postale; nulla da mettere; curiosa, eh? Ora, la benevolenza universale era uno dei tratti principali della teoria pickwickiana, e nessuno più del signor Tupman era dotato di una così nobile qualità. Scorrendo i processi verbali del Circolo, si è vivamente sorpresi in vedere quante volte questo dabben’uomo mandò dai suoi colleghi quegli sventurati che si rivolgevano a lui per averne dei vestiti usati o dei soccorsi pecuniari. – Sarei lietissimo di prestarvi un abito per quest’occasione, – disse al suo interlocutore, – voi siete piuttosto magro, ed io... – Piuttosto grasso. Bacco al riposo, senza pampini, lasciata la botte e infilati i calzoni. Bellina, eh? non mi dispiace. Ah, ah! Passate il vino. Non è ancora un fatto bene assodato se il signor Tupman fosse alquanto indignato al tono perentorio col quale lo sconosciuto lo pregava di passare il vino, che poi in effetto facea passare così rapidamente, o se giustamente si sentisse scandalizzato in vedere applicato ad un membro influente del Circolo Pickwick quell’ignominioso paragone di un Bacco smontato dalla botte. Passò il vino, tossì due volte, e guardò fiso allo sconosciuto con un certo contegno severo; ma visto che lo sconosciuto non si commoveva punto sotto quello sguardo scrutatore, s’andò calmando a grado a grado, e tornò all’argomento del ballo.
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