II. Il primo giorno di viaggio e le avventure della prima sera con le relative conseguenze
Quel servo fedele di ogni lavoro, che è il sole, s’era appunto levato ed avea incominciato a spandere la sua luce sul tredicesimo giorno di maggio milleottocentoventisette, quando il signor Samuele Pickwick sorse come un altro sole dai suoi riposi; e spalancata che ebbe la finestra di camera sua, gettò uno sguardo collettivo sul mondo sottoposto. La via Goswell gli stava ai piedi, la via Goswell si stendeva alla sua destra, la via Goswell si sviluppava verso sinistra per quanto l’occhio portava, e di faccia a lui si apriva appunto e si dilungava la via Goswell. “Tali sono” pensò il signor Pickwick “gli angusti criteri di quei filosofi i quali tenendosi paghi all’esame delle cose direttamente tangibili, non guardano alle verità che vi si nascondono. Allo stesso modo, io potrei esser soddisfatto di contemplare per sempre questa via, senza fare alcuno sforzo per penetrare nelle misteriose regioni che da ogni lato la circondano.” E così, dato sfogo a questa bella riflessione, il signor Pickwick procedette alla duplice operazione di metter la propria persona nei suoi vestiti e i suoi vestiti nella valigia. Ben di rado i grandi uomini sono molto scrupolosi nella cura della persona; sicchè il radersi, il vestirsi e il sorbire del caffè fu fatto in men che non si dica; e di lì ad un’ora, il signor Pickwick, con la valigia in una mano, il cannocchiale nella tasca del soprabito, il libro degli appunti nel taschino della sottoveste a ricevere tutte quelle scoperte che fossero degne di particolare menzione, era arrivato alla piazza delle vetture di San Martino il Grande.
– Ehi, cocchiere! – chiamò il signor Pickwick.
– Eccoci qua, signore, – rispose uno strano esemplare della razza umana, in giacca e grembiule di tela, e con al collo una piastra di rame numerata, che lo facea parere classificato in una collezione di rarità. Era il fattorino di piazza. – Eccoci qua, signore. Ehi, a te, prima carrozzella!
Il primo cocchiere della riga fu subito scovato dalla bettola dove se ne stava fumando la sua prima pipa, e il signor Pickwick e la relativa valigia furono caricati nel veicolo.
– Golden Cross, – disse il signor Pickwick.
– Corsa d’uno scellino, Tommy, – gridò il cocchiere di malumore per informazione speciale dell’amico fattorino, mentre la vettura partiva.
– Che età può avere cotesto cavallo? – domandò il signor Pickwick, strofinandosi il naso con lo scellino che teneva pronto per pagar la corsa.
– Quarantadue anni, – rispose il fiaccheraio, sbirciando di traverso il suo passeggiero.
– Come! – esclamò il signor Pickwick correndo subito con la mano al suo libro degli appunti. Il cocchiere ripetette la sua affermazione. Il signor Pickwick lo guardò fiso, ma la faccia di quell’uomo rimase impassibile, sicchè la singolare informazione fu subito registrata.
– E quanto tempo alla volta lo tenete attaccato? – domandò il signor Pickwick, cercando sempre di accrescere il tesoro delle sue cognizioni.
– Tre o quattro settimane, – rispose il cocchiere,
– Settimane! – esclamò stupefatto il signor Pickwick; e da capo tirò fuori il libro degli appunti.
– Quando sta a casa sua a Pentonville, alla stalla, – disse il cocchiere con la massima calma, – ma a casa lo si porta di rado, a motivo della debolezza.
– Della debolezza! – ripetette il signor Pickwick sempre più perplesso.
– Non c’è caso! quando lo si stacca, cade di sicuro. Ma quando è sotto, lo tengo su stretto e con la briglia corta, di cadere non se ne parla; poi di ruote come queste non se ne trovano, che vanno sole, appena le si toccano; sicchè, capite, quando il cavallo si muove gli corrono dietro, e la bestia ha da andare avanti per forza.
Il signor Pickwick registrò parola per parola questa comunicazione, con l’idea di darne parte al Circolo come un singolare esempio della vitalità dei cavalli in circostanze tutt’altro che favorevoli. Aveva appena terminato di scrivere quando arrivò a Golden Cross. Il cocchiere balzò dalla cassetta, mentre il signor Pickwick scendeva dalla vettura. I signori Tupman, Snodgrass e Winkle, i quali erano lì ad aspettare l’arrivo del loro illustre condottiero, gli si strinsero intorno per fargli festa.
– Ecco per voi, – disse il signor Pickwick porgendo lo scellino al cocchiere.
Ma quale fu lo stupore dell’insigne uomo, quando quell’essere indefinibile, gettando a terra la moneta, dichiarò in termini figurati ch’egli voleva soltanto avere il piacere di vedersela un po’ con lui, e di scontare a pugni il suo scellino.
– Siete matto, – disse il signor Snodgrass
– O ubbriaco, – disse il signor Winkle.
– O l’uno e l’altro, – disse il signor Tupman.
– Andiamo via, fatevi avanti, – gridava il cocchiere allargando le gambe e tirando in aria vari pugni preparatori, – fatevi avanti tutti e quattro.
– Bravo, bravo! – gridarono una mezza dozzina di fiaccherai. – Piglia, Sam, piglia! – e fecero cerchio intorno alla brigata.
– Che c’è, Sam? – domandò un signore vestito di nero.
– Che c’è, che c’è! e perchè ha voluto il mio numero, eh?
– Io non v’ho domandato il vostro numero, – disse l’attonito signor Pickwick.
– E perchè ve lo siete pigliato allora?
– Ma io non l’ho pigliato niente affatto!
– Potreste mai credere, – proseguì il fiaccheraio, appellandosi alla folla, – potreste mai credere che uno di cotesti spioni se ne vada attorno nella vettura di un galantuomo, e non solo se ne pigli e se ne scriva il numero, ma scriva poi per giunta tutte le parole che gli escono di bocca? – (Un lampo rischiarò la mente del signor Pickwick; si trattava del libro degli appunti).
– Come! questo ha fatto? – domandò un altro cocchiere.
– Altro se l’ha fatto! e poi dopo avermi provocato perchè gli dessi addosso, fa trovare quei tre testimoni per provarlo. Ma gliela faccio vedere io, avesse anche a costarmi sei mesi di gattabuia. Orsù, a noi! – e il vetturino, fuori di sè, con uno sprezzo eroico pei suoi effetti privati, scaraventò il cappello a terra, fece saltare in aria gli occhiali del signor Pickwick, e seguitò l’attacco con un colpo sul naso del signor Pickwick, e poi con un altro colpo in petto al signor Pickwick, e con un terzo nell’occhio del signor Snodgrass, e con un quarto, per amor di varietà, nel panciotto del signor Tupman, e poi saltò in mezzo alla strada, e poi di nuovo con un balzo tornò sul marciapiedi, e finalmente s’afferrò al signor Winkle in maniera da fargli uscir lo spirito dai polmoni – e tutto questo in una mezza dozzina di minuti secondi.
– Non c’è nemmeno una guardia? – disse il signor Snodgrass.
– Sotto la pompa, sotto la pompa, – suggerì un pasticciere, – metteteli sotto la pompa.
– Me la pagherete cara, – gridò quasi soffocato il signor Pickwick.
– Spie, spie! – gridò la folla.
– Avanti, fatevi avanti! – sbraitava il cocchiere, che non avea smesso intanto di tirar pugni in aria.
La folla aveva fino a questo punto assistito passivamente alla scena; ma non appena fu sparsa la voce che i Pickwickiani erano delle spie, s’incominciò a ventilare con molto calore l’opportunità di tradurre in atto la proposta del violento pasticciere; e non si può dire a quali atti di personale aggressione si sarebbe trasceso, se alla disputa non avesse inaspettatamente messo termine l’intromissione di un nuovo venuto.
– Che diamine succede qui? – domandò un giovane lungo e secco, vestito di verde, sbucando all’improvviso dall’ufficio delle vetture.
– Spie, spie! – urlò di nuovo la folla.
– Non è vero! – gridò il signor Pickwick in un tono che avrebbe subito convinto qualunque spassionato ascoltatore.
– Non è vero, eh? proprio non è vero? – domandò il giovane, parlando al signor Pickwick ed aprendosi una via fra la folla col processo infallibile degli spintoni e delle gomitate.
Quell’uomo insigne in brevi ed affrettate parole espose lo stato reale delle cose.
– Venite via, dunque, – disse quegli dal vestito verde, traendosi dietro a forza il signor Pickwick, e senza smettere di parlare. – Qui, a voi, numero 924, questa è la corsa, prendete, levatevi dai piedi. Persona rispettabile. Lo conosco io. Non facciamo sciocchezze. Di qua, signore, di qua. Dove sono i vostri amici? Vedo, vedo, non è che un equivoco – poco male – cose che accadono a tutti – nelle famiglie più regolate – a tutto c’è rimedio meno che alla morte – bisogna farsi animo. Citatelo, per bacco. Pigli questa e se la fumi, se gli va. Canaglia.
E spifferando una coroncina interminabile di simili sentenze a singhiozzi, il giovane introdusse il signor Pickwick e i compagni suoi nel salotto dei viaggiatori.
– Cameriere! – gridò poi, dando una fiera strappata al cordone del campanello, – dei bicchieri per tutti; ponce caldo, forte, bene inzuccherato, e in abbondanza. Avete male all’occhio, signore? Cameriere! una bistecca cruda per l’occhio del signore. Eccellenti le bistecche per le contusioni. Anche il freddo del fanale è ottimo, ma un po’ incomodo. Strana posizione quella di stare nella pubblica via per mezz’ora con un occhio attaccato alla colonna di un lampione. Ah, ah! davvero non ci si può pensare senza ridere. Ah, ah!
E il giovane, senza ripigliar fiato, ingollò d’un tratto un mezzo litro di ponce scottante, e si sdraiò in una seggiola con tanto abbandono e tanta disinvoltura come se niente di strano fosse accaduto.
Mentre i suoi compagni andavano esprimendo la loro gratitudine alla nuova conoscenza, il signor Pickwick ebbe agio di esaminarne il costume e l’aspetto.
Non era che di mezzana statura, ma la magrezza della persona e la lunghezza delle gambe lo facevano parere molto più alto di quel che in effetto non era. L’abito verde era stato già una giubba elegante al tempo dei vestiti a coda di rondine, ma disgraziatamente aveva dovuto servire ad un uomo molto più piccolo del nostro sconosciuto, visto che le maniche maculate e sbiadite gli giungevano appena ai polsi. Era gelosamente abbottonato fin sotto al mento, a rischio di creparsi da un momento all’altro nella schiena. Un vecchio fazzoletto, senza alcun indizio di solino, gli circondava il collo. Un par di calzoni tra il nero e il rossastro mostravano qua e là di quelle magagne che rivelano il lungo e fedele servizio, ed erano per via delle staffe bene stirati sopra un paio di scarpe rattoppate, come per nascondere le calze non affatto pulite, le quali nondimeno erano visibilissime. I capelli lunghi e neri sfuggivano in ciocche ribelli di sotto ad un cappellaccio posto di sghembo. Tra l’orlo dei guanti e le rivolte delle maniche si aveva di tratto in tratto una rapida visione di polsi nudi. Aveva il viso magro e sparuto; ma un’aria ineffabile di allegra impudenza e di perfetta sicurezza emanava da tutto lui.
Tale era l’uomo, al quale guardava il signor Pickwick di dietro gli occhiali (che per buona sorte avea potuto ricuperare), e al quale volle rendere in termini scelti, quando già gli amici suoi s’erano profusi in espressioni di gratitudine, le sue più calde grazie pel soccorso recente che aveva loro prestato.
– Niente, niente, – disse il giovane tagliando corto. – Basta così. Canaglia quel cocchiere. Che pugni, perbacco! Fossi stato nei panni del vostro amico verde! l’avrei stritolato; altro se l’avrei! ed anche il pasticciere. Una sola schiacciata, un boccone.
Questo discorso molto coerente fu interrotto dalla comparsa del vetturino di Rochester, il quale veniva ad annunziare che Il Commodoro era pronto a partire.
– Commodoro! – esclamò il giovane sconosciuto balzando in piedi. – La carrozza mia. Posto già preso. Imperiale. Pensino lor signori a pagare il ponce. Dovrei barattare un pezzo da cinque. Non c’è prudenza che basti. Tanto d’occhi. Monete false a staia. Non mi ci pigliano, non è affare che va, eh?
E crollò la testa con aria di persona accorta.
Ora il caso volle che il signor Pickwick e i tre suoi compagni avessero appunto pensato a Rochester come prima fermata; sicchè avendo accennata questa avventurata coincidenza al loro novello amico, si accordarono di occupare il posto dietro la diligenza, dove si poteva star tutti insieme.
– A noi, su! – disse il giovane sconosciuto, aiutando il signor Pickwick a montar sull’imperiale con tanta fretta e violenza, da danneggiare materialmente la gravità di quell’uomo insigne.
– C’è bagaglio? – domandò il vetturino.
– Chi, io? Nient’altro che un fagotto. Tutto l’altro bagaglio spedito per mare. Cassoni legati e inchiodati, alti come case. Pesano un buscherio, – rispose il giovane, cercando di cacciarsi in tasca un suo fagotto che presentava molti indizi sospetti di non contenere che una camicia e un fazzoletto.
– La testa, la testa, badate alla testa! – gridò il loquace viaggiatore, mentre la diligenza passava sotto l’arco del cortile. – Un orrore; non si celia mica. L’altro giorno per la più corta. Cinque bambini e una madre. Un pezzo di donna, capite. Mangiando biscottini, non badò all’arco. Crak! Che è, che non è? I bambini si guardano intorno. Spiccato il netto il capo della mamma. Col biscottino in mano e senza più bocca per mangiarlo. Un capo di famiglia a terra. Orribile, spaventevole. Guardate a Whitchall, signore? Bel palazzo, piccola finestra. Anche lì un altro capo spiccato dal busto, eh? E nemmeno lui era stato attento. Eh, non vi pare?