1.
Il divorzio di Christian Keller era stato a dir poco fetido. Cynthia, la sua ex, si era messa con un tizio che Chris disprezzava e avevano dovuto lottare per tutto, dalla casa, alle macchine, al bambino.
Anzi, specialmente per il bambino.
Come nei peggiori drammi televisivi, era su Ian che avevano litigato di più. Sul suo affidamento e sulla scuola che doveva frequentare, sulla sua educazione religiosa (Chris era contrario) e sugli sport che doveva o non doveva praticare.
Alla fine erano riusciti a trovare una specie di traballante accordo. Ian non avrebbe frequentato la scuola religiosa iper-conservatrice che caldeggiava Neil, il nuovo marito di Cynthia, ma avrebbe frequentato i corsi della parrocchia la domenica mattina. Non avrebbe fatto break-dance, ma non sarebbe neppure stato costretto ad azzuffarsi su un campo da football: poteva fare nuoto. Sarebbe stato con Chris i primi tre giorni della settimana, mentre per i sabati avrebbero fatto a turno.
Ian aveva cinque anni quando avevano divorziato. I suoi primi mesi di scuola erano passati tra continue telefonate in cui Chris e Cynthia si rinfacciavano ogni sua minima difficoltà, ma a un certo punto le cose si erano assestate.
L’anno seguente erano riusciti quasi a mantenere dei rapporti civili.
La routine di Chris era accettabile. Dal lunedì al mercoledì accompagnava lui Ian a scuola, a Brooklyn, per poi andare al lavoro a Manhattan. All’uscita lo andava a prendere Chantal, la baby-sitter, che lo portava a nuoto, al parco, o direttamente a casa. Chris cercava di non rientrare mai dopo le sei di sera, quando c’era suo figlio. Mercoledì, dopo cena, lo accompagnava a casa di Cynthia, che era non troppo distante dalla sua. Le settimane in cui lo vedeva il sabato, lo andava a prendere e passavano tutta la giornata insieme. La domenica sera era Cynthia ad accompagnarlo da lui.
Ovviamente Chris aveva un milione di dubbi su quella soluzione. Temeva che Ian fosse troppo sballottato e sotto-sotto continuava a pensare che la vicinanza di un tizio conservatore e bigotto come Neil non gli facesse bene. Ma era la miglior soluzione possibile, almeno per il momento.
In quanto a lui, dopo il divorzio aveva deciso di non avere altre relazioni. Scopava – era belloccio e lo sapeva, certo che scopava – ma erano tutte storielle estemporanee, nulla di serio. Era la prima cosa che diceva alle ragazze con cui usciva, e per lo più sembrava stare benissimo anche a loro.
Inoltre c’era la sua segretaria, Angie, che lo usava per compensare a un matrimonio avaro di soddisfazioni carnali. In realtà Chris la scopava sporadicamente fin da prima del proprio divorzio. Angie era innamorata di suo marito, ma a letto le cose non andavano bene. Chris non aveva mai chiesto chiarimenti, non gli sarebbe sembrato delicato. Non le aveva mai neppure chiesto se Gerard sapesse della cosa, ma era quasi sicuro di sì.
Le cose nel complesso avrebbero potuto andare peggio.
Poi conobbe Alexis.
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Era giovedì e non sarebbe stato neppure il suo turno, con Ian. La scuola aveva organizzato una mattinata in un teatro di Broadway. I bambini avrebbero assistito alle prove degli attori e poi avrebbero fatto una sorta di tour per scoprire come funzionava quel mondo. Era previsto che i genitori li accompagnassero, perché era importante che i bambini li vedessero interessati e coinvolti nella cultura.
In teoria Chris era d’accordo. Avrebbe voluto che, quand’era piccolo, suo padre lo portasse alle mostre, a teatro o a qualche evento culturale, invece che a vedere il baseball e basta. Ma doveva ammettere che era ancora più d’accordo perché la giornata della visita era giovedì, quindi l’avrebbe accompagnato Cynthia.
Ovviamente, Neil pensava che fosse una coglionata e una perdita di tempo, cosa che rendeva Chris ancora più a favore.
Finché giovedì mattina Cynthia non l’aveva chiamato all’alba per dirgli che aveva la febbre e che Neil si rifiutava di prendere mezza giornata di permesso per andare con Ian (Chris intuì che sulla cosa avevano litigato) e che quindi doveva accompagnarlo lui.
Chris quella mattina aveva una riunione con un cliente di media grandezza (era a capo dell’ufficio investimenti di una società nel ramo immobiliare), ma chiamò Dave, il suo assistente, e gli ordinò di rimandarla. Poi si vestì in fretta per andare a recuperare suo figlio e accompagnarlo a quella maledetta visita in quel cazzo di teatro.
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L’Ophelia Theatre era una vecchia leggenda di Broadway. Chris c’era stato due o tre volte, accompagnando questa o quella ragazza. Gli piacevano impegnate e complicate, quindi le serate a teatro di solito facevano parte del pacchetto.
All’Ophelia spaziavano dal musical al dramma, ma non cedevano mai completamente alla moda e ai titoli commerciali. In un certo senso avevano fatto del loro snobismo un marchio di fabbrica.
Chris accompagnò Ian al punto di incontro, all’ingresso, all’orario concordato. Per farlo fu costretto a lasciare la macchina in un costosissimo parcheggio coperto.
«Non voglio criticare» disse Sharon, la mamma di una bambina bionda “che mordeva” di nome Kelly, «ma potevano organizzare le cose diversamente. Potevamo vederci a scuola e poi venire qua in pullman. Kelly, non toccare».
Kelly era stata sul punto di infilare il dito in un agglomerato di natura imprecisata attaccato al muro. Gomma da masticare spiaccicata lì da qualcuno, probabilmente.
«Sì, ammetto che non è comodissimo» rispose Chris, in tono comprensivo. «Ma sarà una bella mattinata. Vero, Ian? Ti piace l’idea di vedere il backstage e tutte quelle altre cose?».
Ian si strinse nelle spalle. Era timido e Kelly lo metteva in soggezione, anche perché una volta l’aveva morso.
Alla fine arrivarono tutti i bambini, ognuno con un genitore piuttosto infelice appresso. Erano una quindicina, perché nella loro scuola credevano nei piccoli gruppi, e l’insegnante li guidò all’interno.
La visita andò un po’ come Chris si aspettava.
La regista dello spettacolo non dedicò loro molto tempo e le prove degli attori furono un po’ noiose.
Poi fu il turno del capo-attrezzista, che portò i bambini a fare un tour delle macchine di scena. Chris dovette ammettere che quello fu piuttosto avvincente. La costumista li fece immergere in camerini zeppi di abiti favolosi, cosa che attirò l’interesse più delle mamme che dei bambini. Un tecnico degli effetti speciali mostrò loro come la moderna tecnologia aveva trovato un suo posto anche nelle produzioni teatrali, oltre che al cinema. La scenografa spiegò loro come negli spettacoli ormai si utilizzassero raramente gli sfondi dipinti che andavano di moda all’inizio del secolo precedente e...
«A me sembra una vergogna» borbottò Sharon, a mezza voce, mentre lei spiegava.
Era rimasta appiccicata a Chris quasi tutto il tempo e lui stava iniziando a chiedersi se fosse un segno di interesse nei suoi confronti.
«Eh? Che cosa? I fondi dipinti?».
«Quella donna. Be’... “donna”... quella lì» spiegò lei, indicando la scenografa.
I bambini pendevano dalle sue labbra, in parte perché rendeva interessante l’argomento, in parte perché era davvero bella e i bambini sono sempre attratti dalla bellezza.
«Non ho capito» ammise Chris. «Che cos’ha che non va?».
Più la guardava più a lui sembrava davvero okay: lunghe gambe avvolte nei pantaloni di un completo dalla stoffa morbida, vita e fianchi stretti, i seni adolescenziali che si intuivano sotto la camicetta di seta, i capelli fluenti, di un color cioccolata dai riflessi biondi, occhi verdi e allungati, zigomi alti, labbra morbide... quella tizia era esattamente il suo tipo e Chris si stava pentendo di non essersi avvicinato di più per sentirla parlare.
Sharon emise una risatina velenosa. «Non te ne sei accorto? È un uomo».
Lui inarcò le sopracciglia. Osservò meglio.
Forse le spalle erano un filo troppo larghe, i fianchi un filo troppo stretti. C’erano modelle esattamente con la stessa conformazione, ma forse aveva ragione Sharon.
«E allora?» chiese.
Lei lo guardò male.
«Insomma, non voglio che mia figlia venga a contatto con un trans!».
L’ultima parola la disse a voce abbastanza alta e Chris fu quasi sicuro che la scenografa l’avesse sentita.
«Sì, certo, potrebbe guardarla e decidere di cambiare sesso anche lei» rispose, un po’ scocciato.
Per un istante si sentì addosso gli occhi della ipotetica transessuale e provò il desiderio di scomparire in una nuvola di fumo. Data la location, avrebbe avuto un senso.
«Dico solo che non mi sembra un esempio positivo da dare a dei bambini di sei anni».
«Fare fondali per un teatro. Uno dei teatri più in vista del mondo. Bah, posso pensare a realizzazioni professionali peggiori».
«Non parlo della professione! Parlo del fatto che un uomo vestito da donna sta parlando alla mia bambina! Le confonderà le idee. E non voglio che abbia a che fare con persone dalla dubbia moralità».
Chris sospirò.
«Avevo capito. Ti stavo lasciando un’ultima possibilità di non sembrare una bigotta idiota».
Sharon si voltò di scatto, oltraggiata.
Poi si allontanò ondeggiando sui chilometrici tacchi a spillo.
Chris sospirò e tornò a concentrarsi sul discorso della scenografa. Per quanto la guardasse non riuscì a escludere al cento percento che fosse nata donna e non lo fosse diventata in seguito.
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Quella sera la faccenda raggiunse il gruppo di w******p dei genitori. Chris non si stupì minimamente. Sul gruppo erano attive per lo più mamme, e alle mamme l’idea che i loro bambini fossero stati istruiti da una trans su come funzionavano le scenografie nei teatri non andava giù.
Fortuna che l’abbiamo iscritto in una scuola progressista e non nell’istituto religioso che caldeggiava Neil... pensò, un po’ sarcastico.
Il giorno dopo si era dimenticato della cosa, anche perché le chiacchere delle mamme su w******p si erano arenate nel tentativo di capire che cosa si fosse rifatta la scenografa dell’Ophelia per avere quell’aspetto. Il parere condiviso era stato: le palpebre, gli zigomi, le labbra, il pomo d’Adamo, le tette, la vita, il culo e probabilmente anche gli organi sessuali.
Chris andò al lavoro e incontrò il cliente con cui aveva dovuto disdire il giorno prima.
Alla fine dell’incontro chiese a Angie di portargli un latte macchiato e il giornale.
«Non avresti una mezz’ora da dedicarmi?» chiese lei.
Chris sorrise. «Sei la mia segretaria, conosci la mia agenda meglio di me».
«Già. E so che ce l’hai, ma forse non sei dell’umore».
Lui diede una scrollata di spalle e andò a chiudere la porta. «Sono quasi sempre dell’umore».
Era una delle cose più riposanti di quella loro abitudine: non c’erano strani sottintesi, era tutto chiaro ed esplicito.
Angie era una bella biondina più vicina ai quaranta che ai trenta, sempre impeccabile, con un visino pallido e a forma di cuore, le tette piccole e i fianchi larghi. Di solito portava delle scarpe scollate, delle gonne al ginocchio strette e delle camicie bianche. Quel giorno invece della camicia aveva una maglia a maniche lunghe con un disegno floreale e una profonda scollatura.
Chris si era tolto la giacca durante l’incontro della mattinata, ora si liberò anche della cravatta e si rimboccò le maniche. Poi le infilò una mano nella scollatura, fin dentro il reggiseno, e le palpò una tetta.
«Comodo» commentò.
Angie gli rivolse uno dei suoi sorrisi timidi. «L’idea era quella».
Lui si chinò per baciarle il collo. Non ne aveva del tutto voglia, ma sapeva che presto gli sarebbe venuta. Angie era piuttosto brava a motivarlo.
In quel momento iniziò ad accarezzargli il pacco al di sopra dei pantaloni. Gentile e delicata.
Lui le tirò su la gonna e le mise una mano dentro i collant e poi dentro le mutande. Quello lo motivava sempre, perché Angie di solito era fradicia.
Quella mattina non faceva eccezione. La sua fica era completamente rapata... e i suoi slip erano bagnati. Chris le infilò dentro un dito e lei emise un gemito soffocato, quasi sofferto.
«Mmm... ho voglia di leccartela» disse lui, continuando a penetrarla con calma.
«Wow. Oggi sono una ragazza fortunata» ridacchiò lei.
Si sfilò gli slip e i collant. Tenne le scarpe con il tacco, visto che sapeva che a lui piacevano.
Chris si inginocchiò ai suoi piedi, sulla moquette blu dell’ufficio. Accostò la bocca alla fichetta eccitata di lei. Aveva un odore... l’odore del suo desiderio. La baciò e la leccò all’esterno, sentendo già il suo gusto dolce, quasi floreale. Angie si aggrappò a lui, gli appoggiò un ginocchio su una spalla.
Chris non voleva tirarla troppo per le lunghe. Le infilò due dita nella fica e iniziò a succhiarle il clitoride.
«Dio...» ansimò Angie.
Chris usò l’altra mano per palparle le natiche. Erano morbide, sode... tante. Chiuse gli occhi e immaginò di farle il culo. Angie non era un’appassionata, ma a volte l’avevano fatto.
«Chris...» ansimò lei, in quel momento.
Lui capì che stava per venire.
Scostò la bocca. «Hai un sapore fantastico» le disse.
Non si rialzò. La tirò giù, sulla moquette. Le sfilò la maglia e le palpò di nuovo le tette, mentre lei glielo tirava fuori.
«Dove?» le chiese.
Lei sospirò. «Dove vuoi. Oggi mi sento un po’...»
«Un po’?».
Iniziò a masturbarlo. «Dammi una bella ripassata, okay? Non fare il gentile».
Chris sorrise.
«Non faccio il gentile» confermò.
Cinque minuti più tardi, insacchettato in un preservativo, le pompava dietro con tutto se stesso, tenendola ferma per i fianchi. Angie, con la faccia sul pavimento e il culo in aria, digrignava i denti per non gridare. Chris vedeva il proprio cazzo affondare con forza tra quelle due natiche color panna, grandi e carnose, dentro quel buchetto rosa teso allo sfinimento...
Il suo cazzo: grosso, largo, tutto strizzato dentro quel preservativo trasparente. A Chris piaceva il proprio uccello, era soddisfatto delle sue dimensioni e della sua forma... gli piaceva sentirselo stringere dal sedere di lei.
Le scostò la mano che stava usando per sgrillettarsi e si sostituì a lei.
«Vieni?» le chiese.
Angie annuì.
Sentiva il suo culo pulsare. Vedeva la sua fica fradicia... gli gocciolava sulla mano.
Le schiacciò forte il clitoride e si accorse che aveva iniziato a sobbalzare. Chiuse gli occhi e... per un istante si vide con l’uccello tra le labbra della scenografa del giorno prima. O scenografo. Lei, insomma, qualsiasi fosse il suo sesso d’origine.
Fu veloce, meno di un secondo, ma bastò a farlo iniziare a venire. Emise un mezzo vocalizzo, cambiando ritmo. Angie gemeva e gemeva, sottovoce per non farsi sentire dall’esterno.
A Chris venne voglia di prenderla per i capelli, ma si trattenne.
Finì di eiaculare, il culo stretto di lei che lo comprimeva e lo massaggiava.
Si sfilò.
«Tutto okay?» chiese.
Il suo buchetto pulsava ancora. Si richiuse subito e si serrò, arrossato e gonfio, quasi risentito.
Angie si voltò su un lato. La sua fica era ancora aperta e gocciolante. Lei ansimava, il petto rosso per il piacere da poco finito.
«Un cazzo come il tuo... ha i suoi pro e i suoi... contro...» boccheggiò.
Lui rise. Si alzò, cercò un fazzolettino di carta, si sfilò il preservativo.
«L’hai detto tu di volere una bella ripassata».
Prese un altro fazzolettino e si sedette per terra accanto a lei. Le asciugò delicatamente il sesso, facendola sospirare di piacere.
«Non mi aiuti. Là dietro mi brucia proprio come volevo, ma lei...»
Lui le infilò un dito dentro. «Lei? Povera piccola... è ancora infelice. Ma ho finito l’uccello, Angie. Sul serio, vuoi un ditalino?».
Angie annuì. Gli posò la testa sul petto e chiuse gli occhi. Allargò bene le cosce.
A volte Chris si rendeva conto che lei si vergognava dei suoi desideri. Come in quel momento. Voleva godere ancora, ma in fondo pensava che si sarebbe dovuta accontentare di quello che aveva già avuto.
Chris aggiunse un dito. Il buchino di lei era viscido, pulsante... ricominciò a sgrillettarla e la fece sobbalzare.
«Chi immagini che ti stia scopando?» le mormorò nelle orecchie, prima di riuscirsi a trattenere.
Angie gemette di piacere.
«G-Gerard... sempre Gerard...»
Lui usò la mano con cui la stava sgrillettando per allargarle le grandi labbra. La sditalinò con più forza.
«Facciamo spazio al cazzo di Gerard, mh? Apri queste cosce e fatti ingroppare alla grande...»
Angie iniziò a gemere. Lui le stimolò il punto G, subito all’interno della fica. Le strizzò il clitoride.
«Immagina che ti scopi così forte da farti un po’ male... lo senti? Lo senti il cazzo di tuo marito?».
La fica di lei si invase di umori e Angie cominciò a sobbalzare. Chris la sentì contrarsi forte attorno alle sue dita, mentre dalla sua gola usciva un lamento di piacere.
Aspettò che finisse, prima di abbracciarla.
«Scusa se sono stato... non so che cosa mi ha preso» borbottò.
Si rese conto che Angie gli stava piangendo sul petto.
«Non è giusto...» singhiozzò lei.
Chris le accarezzò i capelli. «Suppongo di no. Mi dispiace se...»
Angie si scostò. Si asciugò la faccia con una mano, ora piuttosto imbarazzata.
«Hai qualcosa di speciale, tu. Lo sai?».
«Io? No».
«Invece sì. Capisci le persone. Ti immedesimi. Sei... gentile».
Lui ridacchiò, un po’ a disagio. «Oh, sì. Sono gentilissimo a scoparmi la mia segretaria bionda e figa».
«Non è quello. È il modo».
Si aggiustò il reggiseno e si rialzò. Gli tese una mano per aiutarlo a fare altrettanto, ancora con la metà inferiore del corpo nuda.
«Ma non tiriamo più in mezzo Gerard, okay? Non voglio piangerti su una spalla tutte le volte».
Chris annuì. «Okay» disse. «Non so perché l’ho fatto, onestamente».
Lei gli rivolse un altro sorriso affettuoso. «Perché sei speciale, te l’ho già detto».