Capitolo 1
Nella Sala del Mappamondo di Palazzo Venezia, ampio studio romano del Capo del Governo, il telefono bianco riservato, direttamente collegato a pochi numeri eccellenti, aveva trillato. Erano le 15 e 28 minuti del 13 giugno 1933, XI dell’Era Fascista.
Benito Mussolini, seduto alla scrivania, aveva alzato la cornetta dell’apparecchio, appoggiato immediatamente alla sua destra sul piano accanto a un altro telefono, nero, la cui linea passava per il centralino.
All’altro capo del filo c’era il dottor Arturo Bocchini, potentissima figura al vertice del Reale Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza1 e, in questo, a capo della poderosa e temutissima divisione della polizia politica OVRA: il significato della sigla, per intimorire meglio il pubblico, non era mai stato chiarito, forse Organo di Vigilanza sui Reati Antistatali, ma la sua funzione di tutela suprema del regime fascista era ben nota a tutti.
“Duce, vi2 saluto: sono Bocchini”, aveva esordito.
“Dimmi, Bocchini!”: le telefonate del capo dell’OVRA erano quasi sempre apportatrici di fastidi, quando non di guai, e Mussolini subiva un certo batticuore nell’udire quella voce, turbamento che cercava di mascherare usando un tono particolarmente imperioso.
Senza preliminari, l’altro gli aveva riferito un fatto straordinario: “Duce, stamattina uno strano velivolo sconosciuto è apparso nel cielo della Lombardia. Poiché lassù oggi è quasi totalmente coperto, quell'aeromobile, che è di forma inusitata, è scomparso più volte fra le nuvole, riapparendo di tanto in tanto…”
“…e quale sarebbe ’sta forma inusitata?”
“Il velivolo assomiglia al disco dell’atleta discobolo”.
“Alt! Non sarà un elicottero dell’ingegner D’Ascanio?”3
“Duce, si può escluderlo, l’ultimo suo modello è stato il noto DAT 3 che s’era alzato solo di pochi metri; e comunque, l’anno scorso la Società D’Ascanio-Troiani s’era sciolta, essendosi esauriti i capitali; peraltro non ci risulta che, almeno per il momento, se ne costruiscano all’estero”.
“Cosa fa adesso il D’Ascanio?”
“Lavora alla Piaggio, su progetti d’aerei convenzionali da bombardamento”.
“Altre cose su quel velivolo sconosciuto?”
“Presenta un diametro d’una decina di metri, è di colore chiaro, tra il bianco e l’argento. È stato avvistato anzitutto dall’Osservatorio di Brera e, non molto dopo, da passanti sopra diverse zone di Milano: uno di loro, il capitano degli Alpini Alighiero Merolli, ha avvertito i Regi Carabinieri, tramite i quali si sono messi in allerta i miei e inoltre la Milizia4 e la Regia Aeronautica”.
“Bene”.
“Una squadriglia di Fiat CR 20 5 s’è levata in volo per pattugliare il cielo di Milano e dintorni, cercando d’avvistare e fotografare quell’aeromobile e poi farlo atterrare: una missione nient’affatto facile, data la giornata nuvolosa. Fortuna ha voluto che il disco uscisse improvvisamente da un cumulo proprio sopra gli aerei: aveva un assetto di volo anormale, pareva in difficoltà, procedeva ondeggiando, un po’, mi hanno detto, come una trottola verso fine corsa quand’inizia a dondolare e poi traballa per fermarsi, di lì a poco, di colpo. Il comandante della squadriglia capitano Attilio Forgini ha ordinato a quel velivolo sconosciuto, sia via radio in italiano e in francese6, sia adottando quegli assetti di volo che raffigurano visivamente tale ordine, di seguirlo; non s’è fatto però in tempoCapitolo 14 né a scortare l’aeromobile al più vicino aeroporto né ad abbatterlo, ciò che sarebbe stato possibile perché s’era ormai fuori Milano: nonostante il guaio in cui pareva trovarsi, il pilota straniero ha accelerato di colpo il disco fino a una velocità che i nostri hanno valutato di mille chilometri orari”.
“Mill…!”
“Sì, Duce, non di meno, pare cosa sicura, mi è stato assicurato dal loro Comando che quei piloti son tutti di provata esperienza e capacità, cominciando dal capo squadriglia”.
“Quei nostri aerei a quanto viaggiano precisamente?”
“Eh, Duce, sono velocissimi, ma al massimo raggiungono i duecentosettanta all’ora. So, da mie fonti alla Fiat, che là a Torino stanno facendo voli sperimentali con un nuovo modello, il CR 32, ma anche questo biplano, pur se più veloce, non arriva neanche lontanamente vicino a quel velivolo sconosciuto, non supera infatti i 375 orari a parte che, per adesso, esiste solo qualche prototipo sperimentale e si prevede la produzione in serie al più presto per l’anno prossimo”.
Mussolini aveva serrato le mascelle, poi: “Un danno d’immagine e un pericolo militare gravissimi per l’Italia! Non possiamo rimanere indietro nell’innovazione aeronautica! Senti, Bocchini, intanto io telefono a Balbo, perché dia immediato ordine ai Comandi aerei del nord di far alzare altre squadriglie: forse qualcuna riuscirà ad avvistarlo di nuovo, quell’affare, e questa volta pure ad abbatt…”
“…no, Duce, scusate…”
“Come no?!”
“Scusate, intendo che l’aeromobile si è di già catturat…”
“…e potevi dirlo subito, no?”
“Eeh…sì, Duce, in verità ero proprio sul punto di dirvelo”.
“Avanti!”
“Sparito alla vista, quella sorta di piatto volante non è però riuscito a nascondersi a lungo, non molto dopo è atterrato in piena campagna, o per meglio dire è stato veduto abbattersi in caduta libera negli ultimi metri, come se il motore l’avesse piantato di colpo, sopra un campo di grano fra le località di Sesto Calende, Varese e Vergiate: più vicino a quest’ultima”.
“Chi l’ha visto?”
“Un certo Annibale Moretti, un agrario padrone di appezzamenti fra cui un campo confinante con quello dell’impatto: un fascista della prima ora che ha fatto la Marcia su Roma. Egli, essendo da poco giunto in bicicletta in quel suo fondo per un’ispezione sullo stato di maturazione del grano, ha sentito un sibilo, ha alzato la testa e ha potuto seguire la caduta di quell’aeromobile e vederne l’impatto sul campo limitrofo; non s’è avvicinato temendo un incendio susseguente e uno scoppio, il che peraltro non è accaduto; comunque, è risalito sveltamente in bici e ha avvertito la locale Stazione dei Regi Carabinieri, comandata dal maresciallo maggiore Amilcare Palumbo. Questi s’è attivato immediatamente, ha trattenuto in Stazione solo gli uomini strettamente necessari all'ordine pubblico e ha fatto bloccare dagli altri il transito dei mezzi civili nella zona dell’impatto. Fortunatamente, dalla strada più vicina, una statale, non si poteva notare alcunché dell’aviomobile, perché essa corre distante un quattrocento metri e ci sono alberi in mezzo, mentre accanto allo stesso, mi hanno riferito, c’è solo un viottolo in terra battuta, quello su cui era arrivato e andato via il Moretti in bici, e raramente vi passa qualcuno. Il mezzo è stato circondato da uomini delle tre forze di sicurezza, mentre una centuria7 della Milizia, sopraggiunta dalla non lontana caserma Giovanni Berta, ha iniziato a rastrellare i campi e i boschetti della zona e poi, edificio per edificio, anche Vergiate”.
“…e il Moretti? Andrà in giro a parlare?”
“No, Duce: il Palumbo l’ha trattenuto con la scusa ch’era necessario collaborasse alla stesura d’un verbale. Su suo ordine, non impartito ovviamente davanti al Moretti, un appuntato, con l'agrario seduto davanti, s’è messo con studiata lentezza a battere a macchina, domandando, scrivendo, correggendo eccetera. Intanto il maresciallo avvisava le altre forze di Polizia e la Milizia e ordinava al suo vice, un certo brigadiere Aldo Pelassa, di recarsi sul luogo per bloccare il traffico e piantonare il mezzo; quindi il maresciallo chiedeva ulteriori disposizioni ai superiori. Costoro, prima di rispondere hanno avvertito me, data la delicatezza della situazione, e io ho trasmesso direttamente al maresciallo l’ordine di far condurre il testimone nella caserma Berta della Milizia, con la scusa d’un approfondimento d’indagini, perché vi venisse ben ammaestrato su cosa dire. Mi ha telefonato poco fa il primo seniore8 Ilario Trevisan, comandante della coorte9, che il Moretti è giunto e sta aspettando nella saletta colloqui presso il corpo di guardia. Ora, Duce, attendo io i vostri diretti, precisi ordini in merito, per trasmetterli al Trevisan”.
“Hmm… quel Moretti, mi hai detto, è un fascista della prima ora e bisogna tenerne conto… ma se parla in giro, almeno per il momento… Mah! senti, Bocchini, fate così: lasciatelo libero, ma solo dopo che avremo diffuso le notizie che ci convengono: fai comunicare da radio e giornali, tramite la solita Stefani, ch’è precipitato un meteorite dal cielo; e intanto, indottrinate in proposito il Moretti”.
La Stefani era l’agenzia di stampa ufficiale del regime incaricata di fornire ai mezzi di comunicazione le notizie volute nelle forme più convenienti, e di controllarne minuziosamente la diffusione, nonché d’ordinare il blocco di qualsiasi informazione sgradita che, malauguratamente, avesse iniziato a circolare. La dirigeva il giornalista fascista Manlio Morgagni, nato nelle stesse terre di Mussolini, a Forlì.
“Agli ordini, Duce”, aveva risposto Bocchini.
“Adesso dimmi del pilota dell’aeromobile”.
“All’interno c’erano tre persone, nessuna era viva: due cadaveri di uomini e uno di donna, tutti in abiti leggeri che saranno analizzati non appena possibile dai chimici: avevano mocassini ai piedi e, addosso, camiciotti e pantaloni, anche la donna, vesti come quelle che s’indossano in vacanza al mare, a volte pure le signore più moderne…”
“…femmine sfrontate”.
“Sì, Duce. Non si tratta d’una divisa, perché i colori di quei vestiti sono i più vari, uno dei morti era abbigliato tutto in nero, gli altri due rispettivamente con camiciotto verdino e pantaloni celesti, la donna, e giallo e grigio, l’uomo”.
“Avranno voluto andare al mare subito dopo”, aveva scherzato Mussolini per scrollarsi l'irrequietezza che l’aveva preso.
Il capo dell’OVRA non l’aveva proprio capita: “Duce, è possibile che su quel mezzo i motori generino un gran caldo e allora…”
“…ma che bella scoperta, Bocchini!”
“S...scusate Duce, non avevo capit…”
“…e va bene, torniamo seri: per me, quei tre sono spie, non semplici collaudatori. Peccato che siano morti e i tuoi uomini non possano interrogarli come si deve, sempre che non ce ne siano altri in vita, ben inteso: non pensi che qualcuno potrebbe essere uscito dal velivolo ed essersi imboscato?”
“Duce, sul momento c’era stato da parte nostra lo stesso sospetto e pure forte, dato che i posti a sedere su quel disco aereo sono quattro; si può però pensare, ormai, che non ci siano superstiti, poiché tutta la zona e pure la località di Vergiate sono state rastrellate dalla Milizia: s’è ritenuto che uno dei sedili non fosse stato occupato”.
“Hmm… sì, è verosimile. A parte questo, Bocchini, ti dico che la presenza femminile nell’aeromobile m’appare un po’ strana, anche se, nel mondo, non mancano del tutto piloti d’aereo donne, figure peraltro eccezionalissime” – a Mussolini piacevano molto i superlativi, meglio se eccessivi – “come quell’aviatrice americana di cui m’avevi riferito tu a suo tempo, quella che l’anno scorso aveva trasvolato da sola l’Atlantico… come si chiama?”
“Amelia Earhart10”.
“Ah, sì; e… non si tratterà mica di lei?”
“Stiamo controllando, Duce. Comunque, vi avviso tra parentesi che, da pochissimo, abbiamo pure noi un’eroica pilota femmina, la ventiduenne marchesina Carina Negrone che, per puro caso proprio questa mattina, ha conquistato il brevetto di pilotaggio a Genova, decollando con un idrovolante Caproncino dal mare sottostante la Lanterna”.
“Bravo Bocchini! Bella notizia per la propaganda! La donna è di provata fede fascista, no?”
“Una patriota, Duce, e l’ha istruita un pilota militare in congedo, un eroe della Grande Guerra: l’industriale genovese Giorgio Parodi”.
“Conosco, conosco. Benissimo: intanto ti ordino che si faccia pubblicità tramite la Stefani sul fatto dell’arditissima aviatrice italiana: la notizia contribuirà a distrarre i giornali da quell’aeromobile sconosciuto, ché il fatto non favorirebbe di certo l’immagine della nostra aviazione. Parallelamente blocchiamo la notizia del disco sparando la frottola del bolide celeste. Fino a oggi la nostra Aeronautica è stata la primissima al mondo e il mondo deve continuare a pensarlo. Mille chilometri all’ora! Roba da romanzi alla Giulio Verne! Dobbiamo arrivarci anche noi, eh?”
“Certamente, Duce”, aveva assicurato Bocchini, anche se con la produzione aeronautica egli aveva a che fare come il salame con le fragole alla chantilly.
“Se non me l’avessi detto tu non lo crederei; mille chilometri all’ora: formidabile; ma tornando alla donna morta: la sua presenza nel velivolo corrobora quanto ho detto prima”.
“?”
“…ma sì, che si tratta di spionaggio! La donna, in quanto tale, non poteva essere una militare, semmai un’interprete, o qualcosa del genere, d’un servizio segreto”.
“Sì Duce. Indagherò. Intanto, se permettete, continuo a riferirvi”.
“Procedi”.
“Con altrettante ambulanze, le tre salme son state ricoverate nella camera mortuaria dell’Ospedale Militare di Milano, dove vengono piantonate in attesa d’autopsia. Sono giunti nello stesso tempo sul luogo dell’impatto speciali autocarri e gru mobili dell’Aeronautica, tutti con grosse gomme chiodate o cingoli per terreni non asfaltati, e si è riusciti a caricare il mezzo e a liberare la zona dall’ingombrante presenza, ovviamente dopo aver vietato il traffico su tutto il percorso, ché il disco occupa quasi l'intera larghezza dello stradone”.
“Danni alle colture locali?”
“Eh, sì, Duce, tra cingoli e gomme chiodate, e considerando che fino alla strada asfaltata c’è solo il viottolo in terra, i campi ai due lati del medesimo hanno avuto notevoli danni”.
“Risarciremo i proprietari. Ne avvertirò il prefetto locale... di quale provincia?”
“Varese, Vergiate è in provincia di Varese”.
“Sì, Varese. Foto del disco?”
“Sì, Duce, sono state prese moltissime fotografie”.
“Vederle subito”.
“Le stanno stampando, Duce. Per domani mattina al massimo, con corriere espresso della Pubblica Sicurezza, saranno sulla vostra scrivania”.
“Bene. Va’ avanti”.
“Il velivolo è stato ricoverato non distante dal luogo dell’atterraggio negl'impianti delle ex Officine Elettrochimiche Dottor Rossi, acquistati tempo fa dall’industria d’aerei SIAI Marchetti che li ha trasformati in fabbrica d’aeroplani. Accanto allo stabilimento la SIAI, di concerto col Ministero dell’aeronautica e con l'intervento del Genio aeronautico, ha approntato una pista per i voli di prova”.
“Quanto alla sicurezza?”
“Un manipolo11 della Milizia della caserma Berta monta la guardia tanto al disco che alla pista; gli ho affiancato due marescialli dell'OVRA, che mi riferiranno quotidianamente”.
“Tutti devono essere sempre freschissimi di mente, per non subire un solo attimo di disattenzione. Il loro turno sarà di ventiquattro ore?”
“No, Duce: cambio del manipolo e dei miei uomini ogni dodici ore, proprio perché tutti stiano sempre all’erta”.
“Va bene. Senti, Bocchini, è inutile sottolineare che questo fatto ha oggi priorità assoluta. Immediatamente deve partire il divieto alla stampa di parlare dell’accaduto, solo dovrà dirsi dell’aerolito naturale e insistere su tale favola, anche se notizie vere fossero già state raccolte da qualche organo d'informazione. Provvedi tu a mezzo della Stefani e falle precisare ai giornalisti che gli autori, anche solo, di minime voci diverse saranno denunciati al Tribunale Speciale per la Sicurezza dello Stato”.
Il pesante effetto di tale denuncia sarebbe stato il confino politico nell’isoletta prospiciente Ventotene, adibita al soggiorno coatto di esponenti non allineati della cultura e di giornalisti non abbastanza ligi agli ordini trasmessi con le cosiddette veline dell’Agenzia Stefani.
“Ciao, Bocchini. Ti richiamo”, aveva concluso Mussolini.
Il capo dell’OVRA, risposto al saluto e attaccato il ricevitore, aveva alzato la cornetta d’un altro suo apparecchio, ch'era in diretta comunicazione con la centrale della Stefani, e aveva passato le disposizioni tassative che aveva ricevuto dal Gran Capo. Aveva comandato d’inviare tali ordini a tutti i mezzi d’informazione per via telegrafica lampo.
S’era attivata senz’indugio la sede milanese dell’Agenzia, non solo perché era la più vicina al luogo dell’atterraggio, ma in quanto a Milano risiedeva il capo della Stefani Manlio Morgagni e tale sezione era considerata egualmente importante, se non più, di quella di Roma.
Immediatamente dopo era stato fornito telefonicamente all’Osservatorio di Brera da Bocchini in persona l’ordine di prodigarsi subito per passare alla stampa il “bollettino scientifico” attestante che l'oggetto visto nel cielo di Milano era assolutamente naturale, un aerolito che s’era poi abbattuto al suolo in aperta campagna; sarebbe seguita una sollecita lettera di conferma al direttore della specola, che gli sarebbe stata recapitata a mano da un corriere della Pubblica Sicurezza: lettera solo da visionare e da riconsegnare subito al latore, che l’avrebbe riportata all’OVRA che l’avrebbe archiviata fra i documenti classificati segretissimi.