1.

2455 Words
1. Annabel la svegliò in piena notte. Le truppe del generale Sehier erano entrate in città a sorpresa. Serena sapeva che Angtor e Megtor avevano una scaramuccia in corso, ma credeva che non fosse nulla di grave. Megtor era praticamente una nazione gemella e sul trono era salito da non molto un cugino di Blaze: non pensava che si sarebbero spinti molto in là. Come lei sembravano pensarla anche tutti i nobili e suo marito l’aveva tranquillizzata un paio di volte. Serena era sicura che non sarebbe successo nulla di male. «Padrona, sua signoria vi manda a dire di vestirvi in fretta e prendere i bambini. Vi passerà a prendere tra mezz’ora per trasferirvi in un luogo sicuro» le spiegò la cameriera. «Ma Annabel... com’è possibile che ci siano i soldati in città?» chiese lei. Una domanda stupida, con il senno di poi. Era chiaro che erano arrivati dopo aver sbaragliato le truppe di Angtor. Indossò un abito da viaggio elegante ma comodo, mentre i suoi servitori radunavano le cose dei bambini. Il minimo indispensabile... un baule a testa. E un baule con i vestiti di lei. Blaze la andò a prendere mezz’ora più tardi come promesso, accompagnato dal suo consigliere personale, Sonnet. «Caro, che cosa sta succedendo?» gli chiese, non appena lo vide. Lui spostò lo sguardo da lei e Marque, che Serena aveva in braccio, ad Annabel e Pagen, che era in piedi accanto alla cameriera. Entrambi i loro figli erano molto assonnati. «Non ti preoccupare. Sonnet e io abbiamo deciso che è più prudente farvi cambiare aria per qualche giorno. Anch’io lascerò il palazzo. Faremo insieme la prima parte del percorso. Quei bauli...» «Il minimo indispensabile». Blaze le rivolse un sorriso bonario. «Ma certo». «Signore...» si permise di obbiettare il consigliere, ma Blaze lo interruppe con un gesto. «Mia moglie è una donna alla moda, Sonnet. Fai caricare i suoi bauli e quelli dei bambini». Una decina di minuti più tardi salivano in carrozza, Sonnet a cassetta, la loro famiglia e Annabel dietro. «Non si potrebbe accendere la luce?» si lamentò Annabel quasi subito. «Meglio di no» rispose Blaze, in tono civile. «Mamma! È buio!» fece Pagen. A quattro anni dormiva ancora con una lampada accesa. Serena gli accarezzò la testa e lo circondò protettivamente con un braccio. «È un gioco, tesoro. Dobbiamo stare zitti-zitti e far finta di non esserci, se vogliamo vincere» spiegò. «E non è così buio: c’è la luna». In un certo senso era vero. Ogni tanto dalle tendine chiuse filtrava un raggio di luce lunare, che rendeva i loro visi bianchi come quelli di una compagnia di fantasmi. «Qua, Annabel, passami Marque: lo tengo io in braccio» aggiunse, allungando le braccia verso la sua cameriera. Blaze le scoccò uno sguardo serio, ma non commentò. Era senz’altro meglio così, pensò Serena, con una certa irritazione. Dato che stavano scappando come ladri dalla loro stessa casa, c’era un esercito straniero in città e probabilmente erano in serio pericolo... o Blaze era un diplomatico e uno stratega peggiore di quello che le avevano detto, o era un bugiardo molto migliore e le aveva taciuto molte informazioni importanti. Perché una cosa Serena l’aveva capita benissimo: stavano scappando per salvarsi la vita. +++ «Vi lasceremo dai conti Ackberry» spiegò Blaze, a voce bassa, una ventina di minuti dopo. La carrozza procedeva di buona lena e Annabel si era già lamentata degli scossoni. «Io e Sonnet proseguiremo fino alla Fortezza Barten». «Perché noi alla fortezza no?» chiese Pagen. Al contrario di suo fratello minore, non sembrava avere alcuna intenzione di addormentarsi. «Non è un posto adatto alle signore e preferisco che restiate con vostra madre» spiegò lui. Era sempre calmo, sempre tranquillo, ma anche sempre molto definitivo. Non era il tipo di persona che ti facesse venire voglia di obbiettare. Pagen borbottò che capiva, da bravo bambino educato. Serena lanciò una lunga occhiata a suo marito. «In caso di necessità posso adattarmi, in ogni caso. Decidi pure senza tenere conto dei capricci che normalmente sfoggio come cappellini: uno nuovo ogni giorno». Lui annuì e le rivolse un sorriso lieve. «Oh, lo so. Ma davvero credo che dai conti Ackberry starete be...» «Tenetevi forte!» giunse il grido di Sonnet, in quel momento. Subito dopo frustò i cavalli e la carrozza accelerò sul terreno sconnesso. Annabel lanciò uno strillo. Marque si svegliò e chiamò «Mamma?». Pagen iniziò a piangere. Perché oltre al grido di Sonnet erano altri i rumori che avevano iniziato a sentire e che li avevano fatti spaventare: gli zoccoli di molti cavalli, urla che si rincorrevano da un soldato all’altro... O meglio, chi potevano essere gli uomini di cui sentivano le voci, se non soldati? Serena scostò una delle tende e ne ebbe la conferma. Un cavaliere galoppava accanto a loro e quando la vide colpì il vetro con l’elsa della spada, incrinandolo. Marque urlò di paura. «Più veloce, Sonnet!» gridò Blaze, battendo sul tetto. Tirò fuori dalla fondina una lunga pistola, una due colpi dal manico d’argento. «Tesoro, riesci a finire di rompere il vetro?» chiese. La sua voce era sempre tranquilla. Serena non esitò. Strappò la tendina, ci avvolse una mano e tirò un forte pugno sul finestrino. Il vetro si ruppe del tutto e volò all’esterno. Poi si abbassò e tenne giù anche Marque. Un attimo dopo Blaze sparava e uno dei cavalieri che li circondavano gridava di dolore. Il rumore del colpo esploso fu fortissimo e assordò tutti. Nell’aria fredda della notte si diffuse un odore sgradevole di polvere nera. Dopo di che Blaze strappò la tendina dall’altro lato e colpì il secondo vetro con il calcio della sua arma. Annabel ormai piangeva e singhiozzava, coprendosi le orecchie con le mani. Sonnet si aggrappava alla manica di Serena, piangendo, e Marque le piangeva sul seno. Blaze esplose un secondo colpo, ferendo un altro cavaliere. La carrozza teneva ormai un’andatura indiavolata. Le ruote sobbalzavano sul terreno sconnesso tra gemiti e scricchiolii sinistri, l’intelaiatura vibrava come se stesse per saltare in aria. «Non ne hai un’altra?» gridò Serena, indicando la pistola di suo marito. Lui la tirò fuori. «Questa. L’altra è scarica». «Dammela!». Blaze esitò per un istante, poi sembrò capire. Le allungò la pistola. Serena sporse la testa dal finestrino rotto, individuò il cavaliere di cui continuava a vedere il mantello e gli sparò alla schiena senza nessuna pietà. Restituì la pistola a suo marito. Da fuori provenne un boato, dalla cassetta un grido. Subito dopo la carrozza sbandò paurosamente. «Tenetevi!» urlò Blaze, aggrappandosi lui stesso alla portiera. La carrozza sembrò raddrizzarsi e continuò la sua corsa sfrenata. Serena sapeva che cos’era successo: Sonnet era stato ucciso e ora i cavalli galoppavano a briglia sciolta, senza nessuno a guidarli. Non avrebbero potuto continuare per molto. La carrozza si sarebbe fermata – nella migliore delle ipotesi – o rovesciata – nella peggiore. Ma i cavalli erano spaventati... avrebbero continuato a scappare. «Moriremo!» gridò Annabel. Aprì la portiera, e cercò di scendere. Blaze la fermò stringendole un braccio. «Morirai se fai così. Resta calma». Lei si divincolò. «Lasciami!». Un istante dopo si era buttata giù dalla carrozza in corsa. Sentirono il suo grido e il grido di sgomento di qualcuno a cui era caduta addosso. Serena trovò quasi ironico che la sua sciocca cameriera, suicidandosi, avesse finito per intralciare i loro nemici. Blaze la guardò. Aveva i capelli arruffati come al solito, fin lì nulla di strano, ma il suo bel viso angoloso era tutto sudato e i suoi occhi erano quelli di un uomo spaventato. «Provo a sporgermi. Abbiamo ancora un colpo. Devo capire quanti sono» disse. Lo sportello aperto continuava a sbattere ed entrava un vento gelido. I loro figli non piangevano più, erano raggelati dal terrore. Serena annuì. Lo vide aggrapparsi con entrambe le mani al montante superiore della carrozza e sporgersi nella notte piena di orrori ignoti. E noti, ripensandoci, perché avrebbe anche potuto essere sbalzato via dagli scossoni. Lo vide guardare avanti e indietro e poi ributtarsi dentro. Ansimava. «Non c’è più nessuno. Credo che gli ultimi siano tornati indietro a cercare rinforzi. Dobbiamo riuscire a fermare la carrozza e allontanarci». «La fai facile». Blaze sospirò. «Non è detto. Sta rallentando. La strada, qua, è dissestata ma rettilinea. Posso riuscire ad arrivare a cassetta». Pagen la guardò. Probabilmente non si rendeva del tutto conto della pericolosità di quello che suggeriva suo padre, ma capiva comunque che normalmente non avrebbe dovuto farlo. Serena gli accarezzò la testa, provando a infondergli una sicurezza che lei stessa non provava. «Sii prudente» disse solo. Al contrario di suo figlio, sapeva che fermare quella carrozza al più presto e scendere era la loro unica possibilità. I loro inseguitori sarebbero tornati e li avrebbero catturati e forse uccisi. E le probabilità che in ogni caso la carrozza, lanciata a quella velocità, prendesse una buca più profonda e si rovesciasse non era da escludere. In realtà era un miracolo che non fosse già successo. Blaze rimosse il pannello superiore dell’abitacolo con un colpo secco del pugno. Si alzò, aggrappandosi al bordo e mise fuori la testa. «Ti tengo le gambe!» gridò Serena, vedendo quanto fosse instabile la sua posizione. Passò Marque a suo fratello minore, intimandogli di stringerlo forte, poi si spostò dietro Blaze e lo prese per un ginocchio. «Spingimi!» gridò lui. Lo fece, Lo spinse per il sedere, sperando con tutte le forze che non ruzzolasse giù dal tetto della carrozza. Blaze era snello e probabilmente era un cavaliere rifinito, ma non era un soldato, né un saltimbanco... sperava che se la cavasse. Anche perché, in tutta onestà, senza di lui avevano ancora meno possibilità di sopravvivere. Guardò sparire i suoi stivali oltre l’apertura buia. Al di sopra il cielo nuvoloso della notte. Il vento freddo si fece ancora più insistente, sibilando all’interno della carrozza da tre diverse aperture, ora. Serena riprese in braccio suo figlio minore, strinse a sé quello maggiore e iniziò a pregare gli dei in cui non credeva. +++ Passarono dei minuti spaventosi. Minuti in cui Serena si chiese se si sarebbe accorta che Blaze era caduto, se fosse successo. Dato il rumore della carrozza sulla strada, del vento e degli zoccoli dei cavalli, ne dubitava. Alla fine, tuttavia, la carrozza rallentò davvero. Sempre di più, fino a fermarsi. Blaze comparve accanto allo sportello spalancato, la camicia e la giacca parzialmente stracciati, la faccia sporca di fango. «Dobbiamo allontanarci al più presto. Spronare i cavalli perché riprendano la corsa». «Non possiamo scappare a cavallo?» chiese lei. Blaze scosse la testa. «Non con queste due bestie. Hanno la schiuma alla bocca. Forza, scendete». Si fermarono solo per prendere il denaro e i preziosi. Non ci fu tempo per nient’altro, perché in lontananza sentirono gli zoccoli di diversi cavalli che correvano sulla strada sterrata. Blaze frustò le due povere bestie che li avevano portati fin lì e quelli ripartirono al trotto. «Ti prendo in spalla, Pagen» disse. Suo figlio si lasciò docilmente tirare su e prendere a cavalluccio. «Ce la fai a portare Marque?». «Sì» confermò Serena, e prese a cavalluccio suo figlio minore. «Dove stiamo andando?». Blaze le rivolse un sorriso vuoto. «Lontano da qua». Lasciarono la strada sterrata. Il terreno digradava verso un fiume, che scorreva più in basso tra rade macchie di alberi e cespugli. Con il suo vestito lungo e gli stivaletti eleganti per Serena muoversi nel sottobosco non era semplice. La sua gonna si incastrò più volte e lei cercò di non lasciarsi dietro brandelli di stoffa che avrebbero rivelato il loro percorso. «Mi raccomando, silenzio completo» disse Blaze, a bassa voce. Scesero fino al fiume. Sopra di loro sentirono il rumore di cavalli al galoppo. «Dobbiamo attraversare ora, prima che trovino la carrozza vuota e tornino indietro» aggiunse Blaze. «Sai nuotare, Serena?». «No». «In questo caso vado prima io, con Pagen. Poi tornerò a prendere voi due». «Forse si tocca» disse lei. Lui annuì. «In ogni caso vado prima io, così controllo». Serena pensò che doveva essere più esausto di lei. Non aveva una gonna ingombrante, ma si era arrampicato sul tetto di una carrozza in corsa e gli dei solo sapevano cos’altro. Si sedette su un masso, riprendendo Marque sulle ginocchia. «Mamma, siamo quasi arrivati?» le chiese, con un filo di voce. Lei gli accarezzò i capelli. Erano umidi di sudore e gelidi per il vento. «Sì, amore. Ancora un piccolo sforzo». «Voglio i biscotti con il latte e il miele». Serena gli baciò la fronte. «Ma certo» mentì. Riportò lo sguardo su Blaze che guadava il fiume. Era così buio che lo vedeva a stento. Le nubi avevano di nuovo coperto la luna e il fiume mandava dei riflessi deboli come fosse di lava. Per quanto aveva visto, l’acqua non aveva mai superato l’altezza del suo petto. Blaze mise a terra Pagen sull’altra riva, sulla spiaggia di sassi e terra sopra la quale ricominciava la macchia, poi tornò indietro. «Andiamo» disse lei a Marque. Se lo riprese a cavalluccio. Non si era mai sentita così stanca in vita sua. Non si era mai sentita più esposta e spaventata. Blaze la raggiunse quando aveva già messo entrambi i piedi nell’acqua. «Bravissima. Si tocca sempre, quindi possiamo andare insieme. Il tuo vestito...» Serena gli passò Marque. Poi, senza una parola, si tirò su gonna e sottogonna e se le legò in vita. «Buona idea» concordò lui. «Tieniti al mio braccio». L’acqua era gelida, il fondo sconnesso, la corrente forte. Serena si sentì ghiacciare fino al midollo. Si tenne forte al braccio di suo marito, mentre i flutti freddi le mordevano le gambe e la pancia. «Dobbiamo trovare un posto dove riposarci» gli disse. Il fiume rumoreggiava attorno a loro. «Lo so. Dobbiamo trovare anche dei vestiti asciutti e un fuoco. Credo che sull’altro versante ci siano delle fattorie. Potremmo avere fortuna». Considerando com’erano andate le cose fino a quel momento, era anche possibile. Erano stati sfacciatamente fortunati e Serena lo sapeva. Sperava solo che la loro buona sorte non scegliesse proprio quel momento per abbandonarli. +++ Quando arrivarono alla zona delle fattorie erano esausti. Fradici, sporchi, stracciati, non assomigliavano più molto ai signori di Angtor. Ma se avessero incontrato dei nemici, Serena ne era consapevole, li avrebbero riconosciuti comunque. Proseguirono oltre la prima e la seconda fattoria, che sembrarono loro troppo esposte. Bussarono alla terza. Dato l’orario – era notte fonda – prima che qualcuno andasse loro ad aprire passò un bel po’ di tempo. Alla fine si aprì una fessura di porta e due occhi sospettosi li squadrarono da capo a piedi. Gli occhi appartenevano a un uomo di mezza età, di costituzione robusta e con dei baffi folti e biondo-grigiastri. Portava una camicia da notte e una vestaglia di lana. «Chi siete voi?». «Buon uomo, forse saprà che in città ci sono i soldati». Lui grugnì. «Quindi è vero». «Sissignore. Siamo dovuti scappare in fretta e furia. Io, mia moglie, i miei figli. Chiediamo ospitalità solo per stanotte... posso ricompensarla per il disturbo». Il fattore – o quel che era – lanciò loro un’occhiata sospettosa. «I soldati vi cercano?». «È possibile» si tenne sul vago Blaze. Intervenne Serena: «Per favore... per i bambini. Sono ancora piccoli... hanno avuto tanta paura. Può farci dormire nel fienile... non daremo disturbo a nessuno». L’uomo alzò la lucerna per illuminarli. «Be’, entrare non potete entrare, comunque. Non così infangati. Aspettate qua. Nellie vi porterà delle coperte e qualche vestito asciutto. Dice che potete ricompensarci?». Blaze gli mise in mano una moneta d’oro e l’espressione sul viso dell’altro uomo si fece ancora più sospettosa. «Siete nobili?». «Mercanti. Commercio in stoffe» disse Blaze. Serena si chiese come potesse il fattore non riconoscerlo. La sua faccia era sulle monete, compresa quella che gli aveva appena dato... e non era un’effige così fantasiosa: lo ritraeva com’era cinque anni prima al massimo. «Va be’. Potete usare il fienile. Nellie vi porterà delle coperte e dei vestiti asciutti. Ma domattina dovete andarvene all’alba».
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