1. Ci sparano addosso

2543 Words
1 Ci sparano addosso Erano quasi arrivati, Helios se lo sentiva nelle ossa. Aveva fatto i salti mortali e unto un po’ di ingranaggi per riuscire a entrare in quella spedizione. L’aveva sempre desiderato, fin da quando era bambino. Ricordava ancora perfettamente le storie che suo nonno gli aveva raccontato di quella luna meravigliosa: quasi completamente ricoperta di ghiaccio, con giganteschi e magnifici laghi di metano, criovulcani che eruttavano acqua e ammoniaca congelando l’atmosfera e dando origine a paesaggi incantati. Tutti sulla Terra conoscevano e temevano Titano, in particolare i suoi abitanti; così misteriosi, forti e, sempre da quello che ricordava dalle parole del nonno, bellissimi. Un vero gioiello della vita. Ancora gli sembrava incredibile di aver percorso in un solo mese ben 1.272.000.000 chilometri, ed era ancor più assurdo il fatto di poter andare su quella luna che sapeva avere una temperatura di −179.2 °C. Ringraziò mentalmente le diverse tecnologie che componevano la sua tuta e la strumentazione della nave. «Siamo quasi arrivati, preparati.» La voce del suo collega lo riportò alla realtà e nuovamente avvertì dentro di sé quel brivido misto di paura e avventura che si scatenava ogni volta che trovava qualcosa che riguardasse Titano. Stava finalmente per mettere piede su quella luna. Tutti i membri dell’equipaggio erano un misto di creature di ogni tipo, alcune ben armate e pronte a difendere i “deboli” terrestri, se fosse servito. In mezzo a quegli individui così diversi fra loro, Helios si sentiva a suo agio: lui poteva vantare gli occhi rossi, un fisico atletico dalla pelle perennemente abbronzata, corti capelli neri indisciplinati e, come suo capriccio personale, una serie di geroglifici antichi tatuati sulla schiena. Come passeggeri c’erano almeno altri otto terrestri oltre a lui, tutti rigorosamente “puri”. Gli altri invece erano provenienti da una delle lune di Giove o da Marte. Poi c’erano i guerrieri di Nettuno: loro erano la guardia armata, assieme a due di Urano. Helios si sentiva decisamente a disagio con loro nelle vicinanze. D’altronde, qualche secolo prima, erano stati proprio loro ad aver iniziato un attacco massiccio contro la Terra. Per fortuna li avevano rispediti a casa, ma nessuno aveva mai dimenticato l’enorme impatto di vite che era costato al pianeta blu. Un fatto curioso era che, da quando i terrestri avevano abbandonato la via bellica, in poco tempo gli abitanti degli altri pianeti avevano cominciato a ritenerli deboli. In qualche modo questa fama aveva aiutato diverse negoziazioni e aveva dato loro la possibilità di acquisire sempre nuove tecnologie e informazioni. Una di queste era la tuta che stavano indossando: comoda, flessibile, ma all’occorrenza dura come l’acciaio più robusto. Il colore nero la rendeva ottima per le missioni in posti scuri come le grotte nelle lune di Saturno. Installati nel colletto c’erano i chip principali che potevano comandare le diverse funzioni di base: un traduttore universale, l’adattatore climatico, l’installazione di un casco d’emergenza per protezione. In caso di un’uscita nello spazio, la tuta avrebbe avuto una carica di ossigeno per la durata massima di quattro ore. Un’altra funzione degna di nota era la tattilità: la tuta permetteva, attraverso dei sensori nei guanti, di sentire tutto ciò che avrebbero toccato come se fosse stato a mani nude. Era grandiosa e lui l’adorava. Quando era stata fatta richiesta di poter visitare la luna e di poter avere un’udienza con un loro rappresentante, mai si sarebbe sognato che ciò potesse avverarsi, ma a quanto pareva, qualcosa doveva essere cambiato nel modo di pensare degli abitanti di Titano. I terrestri avevano appreso tante usanze dai vari popoli con i quali avevano avuto a che fare, ma di Titano si conosceva davvero poco. Le poche informazioni che erano riusciti ad avere erano state centellinate e questo aveva creato in Helios ancora più curiosità. Ricordava la sua ossessione per quel posto e i suoi abitanti da quando studiava in accademia. Avanzò lungo il corridoio della nave fino ad arrivare nella “saletta d’attesa”, come avevano cominciato a chiamarla tutti: in realtà era una semplicissima stiva dove, al posto dei carichi ingombranti, erano state posizionate tre file da venti sedili ciascuna, ognuno munito di paracadute d’emergenza, cariche d’ossigeno e cuscini d’atterraggio. Questa era per Helios la parte più paurosa: avrebbero dovuto atterrare in tutta tranquillità, ma se qualcosa fosse andato storto il portellone sopra le loro teste sarebbe stato espulso e tutti loro lanciati nel cielo. Era il piano d’emergenza, provato innumerevoli volte sulla Terra, ma si augurava fortemente che tutto filasse liscio. Helios si sedette al suo posto, imitato dagli altri: scienziati, ricercatori, diplomatici, soldati, tutti di razze diverse. Lui faceva parte della spedizione di scienziati proposti dal governo terrestre. Si sentiva orgoglioso. Il suo cuore prese a battere talmente forte da fargli male nella cassa toracica: stava davvero per vedere con i suoi occhi la maestosità di quella luna e dei suoi abitanti. Fino a quel giorno unicamente le fotografie avevano potuto, solo in parte, saziare la sua curiosità, ma ora era decisamente diverso. La luce rossa si accese e tutti allacciarono le cinture di sicurezza. A ogni membro della spedizione era stato impiantato un piccolo apparecchio che avrebbe permesso loro di respirare su Titano: posizionato appena prima dei polmoni, avrebbe “scomposto” l’aria della luna nei gas necessari per la respirazione dei membri di quella spedizione. La tuta, che aderiva perfettamente ai loro corpi, avrebbe fornito il calore necessario affinché la temperatura glaciale non li uccidesse. Ripassò mentalmente le procedure che avrebbero dovuto eseguire una volta atterrati, e si augurò di non aver dimenticato nulla d’importante. Prese due respiri profondi e chiuse gli occhi. Fu un attimo, il boato che sentirono li travolse frastornandoli, il portellone volò via lasciandoli impauriti alla mercé delle raffiche di vento e del freddo clima di Titano; in pochi secondi tutti furono sparati in aria. Aveva il cuore in gola, la testa gli doleva, e la sua paura più grande si era avverata. La tuta aveva già avviato il processo di salvataggio, facendo uscire dal colletto rigido la protezione per la testa in poco meno di un battito di ciglia. Quando Helios non avvertì più nulla ma solo il silenzio, si azzardò ad aprire gli occhi e ciò che vide lo lasciò senza fiato. Ghiaccio ovunque, in lontananza anche dei laghi e poi... I suoi compagni cominciarono ad aprire i paracadute, ma non fu questo a spaventarlo, bensì il fatto che uno alla volta alcuni membri del suo equipaggio stavano venendo abbattuti. Il terrore prese possesso di lui, avrebbe voluto urlare e correre in loro aiuto, ma tutto quello che poté fare fu osservare la loro orribile fine. Calma, doveva ragionare, aveva bisogno di calmarsi e pensare: anche la sua vita era in pericolo e Helios aveva tutta l’intenzione di vivere. Premette il pulsante e in pochi secondi il paracadute si aprì, rallentando la sua caduta. La prima cosa che notò furono diversi membri della spedizione che toccarono terra, quindi loro con qualche probabilità erano salvi. O almeno così sperava. Con orrore si rese conto che la sua discesa sarebbe finita a breve, il terreno ghiacciato si stava avvicinando sempre di più. «Aiuto...» Sospirò chiudendo gli occhi, avvertendo l’impatto imminente. I cuscinetti si aprirono e attutirono buona parte della caduta, ma nonostante ciò il dolore dell’impatto fu intenso. Faceva male ovunque, ma almeno era vivo. L’ultima cosa che avvertì furono delle mani che velocemente lo stavano slegando dalla sua imbracatura. Il proprio corpo venne spostato di peso, diversi suoni confusi arrivarono alle sue orecchie, decisamente troppo per il suo cervello che decise di spegnersi in quel momento. Quando riprese conoscenza, non ci volle molto prima che riuscisse a capire di non essere né a casa, né alla base che avrebbe dovuto ospitarlo su Titano. Si sentiva indolenzito e ancora frastornato. Calma, doveva mantenere la sua lucidità per capire cosa diamine fosse successo e, soprattutto, dove fossero finiti i suoi compagni superstiti. Le pareti attorno a lui sembrava fossero state create dal cristallo, lucide e semitrasparenti. Osservò con attenzione tutto ciò che lo circondava, notando alcuni cristalli più piccoli che davano l’impressione di essere stati messi lì apposta come riempitivo. Si mise a sedere con cautela, un lieve senso di vertigine lo colse, e respirò profondamente chiudendo gli occhi. Odiava volare, e l’atterraggio orribile che aveva fatto non era stato certamente d’aiuto. Quando li riaprì continuò con calma la sua esplorazione visiva: c’era solo una porta che pareva essere fatta di solido metallo, in quella che sembrava essere una stanza quasi circolare. Si rese conto con stupore di essere seduto proprio su uno di quei cristalli, solo di dimensione decisamente più grande. Con curiosità lo accarezzò con la mano. Quale sorpresa! Non era affatto freddo, ma sembrava che trattenesse il calore del suo corpo e che poi lo rilasciasse gradualmente, come fosse stato una coperta. Pian piano il suo cervello si mise in moto: qualcuno doveva averlo aiutato e trasportato in quel luogo, al sicuro e soprattutto lontano dalla zona in cui era atterrato. Prima di tutto doveva assicurarsi che la sua tuta fosse ancora integra e funzionante, non aveva certamente voglia di morire. Premette la stellina sul proprio colletto. «Danni rivestimento.» Tenuta rivestimento al 100%. Danni subiti: comunicatore a distanza non funzionante, traduttore non funzionante. La voce artificiale nel suo casco suonò famigliare. «Controllo squadra vicino.» Negativo, nessuna squadra nelle vicinanze. E questo gli fece contorcere lo stomaco. Dov’erano? Erano ancora vivi? Non poté porsi altre domande, perché proprio in quel momento la porta si aprì rivelando un essere umanoide. Pareva essere un ragazzo più piccolo di lui con la pelle bianchissima, soprattutto se paragonata a quella abbronzata di Helios. Gli esseri umani avevano quel tipico colorito rosa dovuto al sangue, mentre questo essere era veramente bianco. Si avvicinò timoroso, rimanendo comunque a debita distanza. I suoi capelli erano bianchi e lunghi, e Helios pensò per un attimo che, se avesse avuto delle ali, avrebbe potuto essere scambiato per un angelo. Indossava una tuta simile alla sua ma totalmente bianca. Rimasero in silenzio per qualche istante, studiandosi a vicenda. Non sembrava pericoloso, e forse era stato lui a salvarlo. «Ciao.» Cercò di mantenere la sua voce cordiale e amichevole, dato che dopotutto da qualche parte avrebbe dovuto cominciare a parlare. L’altro rimase fermo a guardarlo con un’espressione strana sul volto. «Ciao,» ripeté nuovamente, aggiungendo un piccolo e cordiale sorriso. Sollevò la mano in segno di saluto, ma il ragazzo fece un passo indietro, intimorito. A quel segno di ritirata, Helios abbassò subito la mano. «Io sono Helios,» indicò se stesso. «Helios,» ripeté il ragazzo con voce sottile, molto insicura, probabilmente rispondendo al suo saluto, o almeno questo era quello che aveva pensato nell’udirla. Provò ad alzarsi dal suo giaciglio e nuovamente il ragazzo fece un passo indietro. «Aspetta, non voglio farti niente.» Avanzò con passo incerto e l’altro ne fece uno arretrando. «Così non risolviamo nulla,» commentò ad alta voce, cercando sempre di mantenere un tono cordiale, anche se lo sconforto stava cominciando a strisciare dentro di lui. «Terra,» mormorò piano la visione angelica. E lui di conseguenza sollevò gli occhi rossi ben attento, credendo di essere arrivati a un punto di svolta. «Terra,» ripeté il ragazzo, facendo quasi gioire Helios. Allora non lo aveva immaginato! «Sì!» esclamò annuendo forte. «Terra! Terra!» Forse aveva una speranza che lì qualcuno lo capisse. Di nuovo la voce pacata di quello sconosciuto cercò di esprimere qualcosa, e lo sconforto di non capire assalì Helios. Ma stavolta la sua delusione durò veramente poco, quando la mano bianca del ragazzo gli fece cenno di seguirlo. Cosa fare? L’unica cosa possibile in quel momento era assecondarlo. Si lasciò condurre docilmente attraverso un mare di corridoi tutti all’apparenza uguali. Lo scienziato che era in lui era ormai abituato a cogliere la maggior parte dei dettagli in pochi attimi, una qualità che gli aveva sempre fatto molto comodo, e in quel momento non poté evitare di notare la presenza di diverse guardie armate. Il loro abbigliamento era simile a quello del ragazzo ma allo stesso tempo diverso, sembrava decisamente più resistente e non era bianco ma forse color sabbia. Erano schierate come se dovessero entrare in guerra da un momento all’altro, e Helios si chiese che diavolo stesse succedendo. Si fermarono davanti a una porta dall’aspetto massiccio. Il suo accompagnatore ci appoggiò sopra una mano e questa poco dopo si aprì, rivelandone l’interno: la stanza era enorme, avrebbe osato dire monumentale. Alcuni dei suoi compagni che si erano salvati dall’atterraggio stavano in ginocchio, e in piedi di fronte a loro si ergeva un titano dai capelli che parevano fatti di ghiaccio puro, la pelle mostruosamente bianca, perfino più pallida di quella del suo accompagnatore. Quando gli occhi dello sconosciuto si posarono su di lui, si sentì trapassare dal gelo: erano di un azzurro incredibile. Il suo accompagnatore si inchinò rispettosamente e Helios lo imitò. Venne invitato con dei semplici gesti a posizionarsi accanto agli altri suoi compagni di viaggio. Notò che erano veramente in pochi: riconobbe tutti gli otto scienziati suoi colleghi, fra cui anche Emily e Sofia, le due con cui aveva legato di più, e tutti i membri del pianeta di Marte e anche della luna di Giove. Solo due membri di Urano si erano salvati, ma a ogni modo sembravano stare tutti bene. Avrebbe voluto chiedere cosa stesse succedendo, ma la voce fredda e dura del titano di ghiaccio zittì l’intero brusio della sala. Detestò non capire assolutamente nulla, ma gli sguardi di alcuni suoi colleghi terrestri spalancati per lo stupore e il tono serio e imperioso dello sconosciuto lo misero in guardia. «Che succede?» sibilò piano al suo vicino. Il suo collega non fece in tempo a rispondergli, perché quello che con tutta la probabilità era il capo indiscusso, indicò Helios e gli altri terrestri. Con un cenno della mano ordinò ad alcune delle guardie di avanzare. Helios poté solo osservare la scena, sentendo il suo cuore battere talmente forte da far male. Che cosa stava accadendo? Tre figure si posizionarono esattamente dietro di loro. «Vix.» La mano della guardia si posò sulla spalla della sua collega Emily; un altro nome venne chiamato e di nuovo la scena si ripeté, stavolta con Sofia. Le due figure chiamate vennero avanti e si posizionarono accanto alle due donne, le afferrarono per un braccio e le trascinarono via. Helios scattò cercando di fermarli, ma venne bloccato da due braccia robuste. Degli occhi color ghiaccio lo fissarono attenti, e con un cenno ordinò alla guardia che era intervenuta di lasciarlo andare. Il gelido sorriso che era comparso improvvisamente sulle labbra dell’alieno gli fece torcere lo stomaco. Si avvicinò, posando la mano bianca sulla sua spalla, e disse: «Deimos.» Un mormorio si sollevò per la sala, ma si fece avanti solo il ragazzo dai capelli bianchi che lo aveva condotto in quel luogo. La breve discussione che ci fu fra di loro fu carica di suoni grezzi e sconosciuti. A un certo punto il titano dall’aspetto più giovane e titubante si inchinò profondamente, afferrò il polso di Helios e lo trascinò via dalla grande sala, e l’unica cosa che il terrestre poté sentire poco prima che la grande porta si chiudesse dietro di lui, furono le urla disumane degli altri suoi compagni riempire l’ambiente.
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