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2027 Parole
«Bussa, dalla Scientifica stanno mandando un reperto a Cipriani. Una chiave. La prenda lei. È per il caso Mancini, quello di Via Angelo Emo a cui hanno…» ricordo per tempo di avere ancora dinanzi la signora Valente e ingoio un riferimento pecoreccio alla singolare mutilazione subita dall’ucciso. Spiego a Bussa che, a detta del perito, la chiave appartiene a una cassetta di sicurezza del Banco di Santo Spirito, ma bisogna scoprire di quale agenzia. Suggerisco, chissà che la buona sorte ci assista per una volta, di provare per prima cosa con l’agenzia di Viale degli Ammiragli, praticamente a un tiro di schioppo da dove lavorava, abitava e crepava il signor Mancini. Bussa assicura che scoprirà in breve quanto gli chiedo. Di certo, appena gli porteranno la chiave, indosserà il suo impermeabile di scena e correrà in banca con l’aria da sceriffo, sigaretta pendula e labbra incurvate a perenne disgusto. Pure così, comunque, a Sheridan non somiglia più di tanto! «Meglio che vada, commissario.» S’è ricomposta Silvia Valente, tra le mani un fazzolettino con cui ha asciugato il pianto e s’è soffiata rumorosamente il naso. Gira che ti rigira, ’sto Alfredo Mancini me lo ritrovo sempre in mezzo come mercoledì! Hanno ammazzato Walter Rossi e c’era lui… Hanno arrestato un po’ di camerati per quell’omicidio e c’era lui, pure se poi qualcuno ha rischiato grosso per cassarlo da quel novero… Questa scrocchiazeppi ha ricevuto una lettera minatoria e c’era lui… E c’era pure, stavolta suo malgrado, quando qualcuno o qualcuna ha deciso fosse ora di mettergli il silenziatore per sempre. È sorprendente in quanti posti possa stare un morto! «È libera di andare quando crede, signora Velente, però la lettera deve lasciarla a me.» «E… se mio marito me la chiede?» «Perché dovrebbe farlo?» «Non lo so, però…» «Gli dica… che l’ha gettata.» «Già.» Si fa opaca. «Signora, lei è spaventata. Si vede. E poi, me l’ha anche detto, no? Ora, se non vuole denunziare suo marito, io non posso obbligarla e, a pensarci bene, una lettera come questa non basta a fare di un individuo un possibile assassino. Tuttavia, a meno che non voglia mettermi a parte di altre cose su suo marito che fin qui mi ha taciute, la informo che potrebbero esserci almeno gli estremi per una denuncia contro ignoti. Così, per tutelarsi… Che ne dice?» Mi sembrava volesse mettersi a piangere un’altra volta, invece sternutisce con violenza imprevista per un fisico tanto esile! Deve ripigliare il fazzoletto dalla borsetta e così ho tempo di vederla con due candele di ributtante mocciolo che le scendono dal naso. Che orrore! Accetta l’idea della denuncia contro ignoti. Meno male, così la sbologno a Cacòpardo per le pratiche di rito. Farei volentieri a meno di stringerle la stessa mano con cui ha ripiegato il fazzoletto inzuppato, ma non posso. Le do la destra un po’ recalcitrante e la congedo. Dal cassetto della scrivania acchiappo il portasapone, corro al bagno e apro il rubinetto a tutto getto! * * * Ho parcheggiato a metà di Viale degli Ammiragli, all’angolo con una via che dovrebbe chiamarsi Sebastiano Ziani. In tutti i modi, c’è un negozio di fotografo con l’insegna arancione Foto Fabrizi che mi aiuterà a ritrovare il luogo. È l’unico buco che ho trovato, anche se il Banco di Santo Spirito dove mi aspetta Bussa è più avanti e sul lato opposto della strada, passata Via Anastasio II. Che miracolo: non piove! Per quanto in cielo ci siano più nuvole che celeste e i raggi del sole si affaccino e si ritirino con la ritrosia di una donzella ottocentesca ai primi pruriti. Rare rondini volano altissime. Odore di crudo e di segatura umida escono da una macelleria. «Ma vattene, va’! Mo’ dimme che non se stava mejo quanno se stava peggio!» fa una vecchietta tutta rintorcinata e nodosa rivolta al macellaio. “Marcello”, dice l’insegna. «Contenta lei, signo’! Ma che le bombe se l’è scordate? Io no, perché c’ho perduto mamma er diciannove luglio. Perciò…» replica Marcello. L’immagine del macellaio romano, del tipo che se vai in una classe elementare e dici ai bambini “disegnate un macellaio”, loro te lo fanno così: capoccia grossa, collo taurino, capelli neri folti e ondulati alla Little Tony, crociona vescovile d’oro su petto villoso che balugina da sotto il camice inzaccherato di sangue. La vecchia non risponde. Quello che doveva dire l’ha detto, punto e basta. Per lei si stava meglio quando c’era Mussolini e nessuno le farà cambiare idea. Nel sacchetto di plastica dentro cui c’è già il tetraedro del latte della Centrale infila il minuscolo pacchettino con la carne appena comprata. Riprende il suo cammino a zig zag sbilanciata dalla cifosi. Soddisfatta. Ha biascicato pure qualcosa come “a parla’ chiaro se va” o ha mandato Marcello a quel paese, non sono sicuro. Accendo la pipa mentre aspetto che scatti il semaforo pedonale “AVANTI” di Via Anastasio II. Bussa biancheggia sul marciapiedi prospiciente la banca. Maigret sta per incontrare Sheridan! Altro che Interpol! «Buongiorno, cammiffario» si fa avanti Bussa senza togliere la sigaretta dalle labbra che lo fa parlare come uno che ha problemi di favella. Mi verrebbe tanto da dargli uno scappellotto sul mozzicone e farglielo cadere come fa Maigret con Lapointe, ma non siamo soli e lui è un poliziotto in servizio come me. «L’ho fatta venire – spiega mentre mi guida all’interno dell’agenzia – perché vorrei che vedesse alcune cose prima di portarle in questura.» «Di che si tratta?» «Venga, il direttore ci aspetta nel suo ufficio.» Presentazioni e virile stretta di mano con il direttore, tale Simone Di Chiara. Uno che si sente bello tenebroso come Gary Cooper e dotato come Bartolomeo Colleoni. Dal suo ufficio pieno di rampicanti, quadri astratti e un fornito mobile bar, ci spostiamo in una stanzetta alquanto disadorna dove ci attende un impiegato in piedi accanto a un tavolino Trau su cui è posata una cassetta di sicurezza aperta. Siamo stati fortunati, non c’è che dire. Fino a poco fa Alfredo Mancini era un personaggio opaco, senza altro affaccio sulla realtà che il suo modesto mestiere di portinaio “disponibile e per bene”, secondo il giudizio tutto sommato unanime dei condomini e dell’amministratore, e la sua tragica fine. Adesso comincia a venir fuori altro: era titolare di una cassetta di sicurezza, cosa già singolare per uno con il suo reddito; nella cassetta ci sono ben cinque milioni in banconote da cento e cinquantamila lire; due chiavi piuttosto curiose di cui dovremo scoprire l’utilizzo e una busta commerciale di quelle arancioni con dentro una dozzina di fotografie formato cartolina di contenuto a dir poco osceno! Ora, che a Mancini piacessero “cose strane” s’era capito dalla catasta di giornali porno che teneva a casa e, a pensarci bene, pure da come è morto. Quanto alle foto, però, non si tratta di mera pornografia casalinga: i personaggi fotografati mentre sono impegnati in intrecci tra Kamasutra e De Sade non sono attori, si vede, ma gente perlopiù nota ripresa di nascosto. «Materiale da ricatto!» commenta Bussa con espressione più disgustata del solito. «Senza alcun dubbio.» Tanto più che Mancini, o chiunque abbia avuto fra le mani queste foto, ha avuto la “bontà” di indicare sul retro nomi e cognomi dei soggetti. Almeno due di questi nominativi scottano parecchio. In primis la fantasiosa femmina che si concede senza risparmio di latitudini: Livia Urbani, una che ho visto pure su Stop e altri rotocalchi che legge Marietta per via della burrascosa storia con il terrorista nero Brandani, pure lui come Alibrandi figlioletto prediletto di un giudice della procura di Roma. Tra coloro che godono gli acrobatici favori della Urbani ci sono pure un regista e un noto attore della televisione e poi… udite, udite, Renato Di Meo, genero del giudice Gallotti, Capo Ufficio Istruzione della procura della Repubblica. Di Meo, evidentemente, non ha perduto l’abitudine di trombare qua e là cornificando senza ritegno la non so quanto devota moglie e arrecando parecchio imbarazzo al suocero. Una notte, tempo fa, la signora Gallotti in Di Meo ci chiamò disperata perché erano le tre di notte e il marito non era rincasato senza dar notizie. Il caso Moro s’era tragicamente concluso da pochi mesi. Si pensò a un rapimento o a qualcosa di peggio, data la importante e delicata posizione del giudice Gallotti. Grazie alla descrizione e al numero di targa della Lancia ßeta di Di Meo forniti dalla signora, però, una pantera riuscì in breve a rintracciare su Viale di Tor di Quinto la vettura al cui interno l’ignaro fedifrago se la stava spassando con una procace peripatetica cubana ubriaca almeno quanto lui! «Ha visto, Soccodato? Anche lui!» sibila Bussa con labbra amare indicando l’attore televisivo nella foto. Non so dove veda tanto scandalo! Certo, è sposato, le donne anche di una certa età lo amano per la sua figura d’uomo solido, – anni addietro faceva pure la réclame della Facis “sicuro alla partenza – sicuro in viaggio – sicuro nelle colazioni di lavoro” – adorano la sua voce calda, rassicurante… Ma è sempre gente di spettacolo! Capirei l’indignazione se al suo posto ci fosse un monsignore! Sheridan non ha riconosciuto Di Meo, evidentemente. «Senta, Bussa, ha mica una lente di ingrandimento?» Fruga nei tasconi dell’impermeabile e in men che non si dica mi porge lo strumento. Non pensavo l’avesse sul serio! «Grazie, Bussa: promosso sul campo da Sheridan a Sherlock Holmes!» Accenna un sorriso cercando di scoprire i dentoni come Ubaldo Lay, ma il risultato è scarsino. «Avete bisogno di me, signori, perché avrei parecchio da fare…» s’inserisce il direttore di banca. «No, vada pure. Tanto ’sta roba la sequestriamo tutta.» «Per qualsiasi cosa sono nel mio ufficio.» Riguardo le foto con la lente. Ogni tanto alzo lo sguardo per vedere se Bussa e l’impiegato ridono dinanzi a tanto mio interesse. Bussa non ride. Quando mai! L’altro… può darsi pure che gli verrebbe da sogghignare, ma si mantiene rispettosamente serio. Non credevo si potesse arrivare a certe cose! Non discuto le acrobazie, lecite a chiunque abbia le necessarie agilità e fantasia, piuttosto certe perversioni come quella che la signora in effige mette in atto con uno di questi galantuomini. Peccato sia l’unico che si veda di mezzo profilo e di cui l’indiscreto fotografo non ha indicato il nome per esteso ma solo le iniziali: B.F. In questura guarderò con più attenzione e mostrerò le foto a qualcun altro. «Ha un’idea di che tipo di chiavi siano queste?» domando a Bussa. «Sono strane… piuttosto antiche, direi.» «Le faremo esaminare dalla Scientifica.» «Sì. Vedrà che loro sapranno dirci che serratura aprono.» Sono realmente curiose, queste chiavi. Uguali, a prima vista. Piccole e tozze. A doppia mappa, come quella della cassetta di sicurezza e di certe moderne porte blindate, solo che le mappe sono asimmetriche e si trovano una più in alto dell’altra sul fusto. «La vittima si potrebbe chiamare l’uomo delle chiavi misteriose!» vuol scherzare Bussa. Io avrei in mente una mezza dozzina di definizioni più caustiche riferite alle attitudini sessuali e alla fine di Mancini, ma le tengo per me. Bussa non raccoglierebbe: ha l’umorismo di un certificato di vaccinazione. In ufficio. Con Cipriani facciamo il punto della situazione. Le fotografie trovate nella cassetta di sicurezza possono essere messe agevolmente in relazione con gli strumenti per sviluppo e stampa trovati a Mancini. I due indizi, insieme con i contanti depositati sempre nella cassetta, fanno pensare che il portiere arrotondasse lo stipendio e le mance di Natale a suon di ricatti! Cosa che, a pensarci bene, potrebbe pure spiegare la sua tragica fine. «Non credo però che qualcuno di questi signori, per quanto beccati di nascosto a far sozzerie, possa essere arrivato a uccidere in quella maniera disumana!» «Su questo non giurerei! – obietta Cipriani. – Almeno uno di questi signori, come li chiama lei, mi sembra alquanto propenso alle pratiche sadomasochistiche…» Purtroppo si tratta proprio del soggetto ignoto. Quello di cui si vede appena il profilo e che il fotografo ha indicato con le sole iniziali. Chissà, forse persino il ricattatore s’è fatto scrupolo a riportare per intero l’identità di uno che, legato mani e piedi a un letto, riceve nel didietro un fallo finto di proporzioni asinine! A sottoporlo al servizio, peraltro non dissimile dalla tortura del Pino Silvestre inflitta ad Alfredo Mancini, l’immancabile signora Urbani. «Mi dica, Cipriani, secondo lei quella lo sa di essere fotografata?» «Francamente, non saprei dirglielo. Di primo acchito sembrerebbe ignara quanto gli uomini, ma è solo un’impressione. E poi non si può escludere che il ricattatore abbia stampato e abbia fatto avere alle sue vittime solo le pose in cui non trapela l’eventuale complicità con la donna.» «Per non comprometterla… per non bruciarla, pensa lei?» «Sì.» «Beh, la miglior cosa da fare sarà andare a rivolgere due domandine alla benefattrice.» «Giusto, capo.» «A proposito: potrebbe averlo ammazzato lei il portiere?» «Perché no?» «In effetti, a giudicare dalle dimensioni della bocca e degli incisivi, almeno come si vedono nelle foto, potrebbe essere l’indiziata numero uno!» «Ex naso hasta viro, ex ore forum puellae…» «Come?» «Niente, niente, capo… ricordi di liceo. Non so nemmeno se l’ho detta bene!» «A ogni modo, se la Urbani e Mancini lavoravano in tandem per ricattare quegli uomini, non penso che lei avesse interesse a eliminarlo. Viceversa, se pure lei fosse stata ripresa all’insaputa…»
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