3.-1

2008 Parole
3. Piove. Tra 25 aprile e 1° maggio dovrebbe essere tutta una scampagnata fuori porta con fave e pecorino… ma con ’sto tempo vengono in mente più castagne e vino cotto! Il giudice Formica è tornato. Poteva pure restarsene a letto un’altra settimana perché dal nostro colloquio non è uscito più di quanto avessi già recepito per telefono l’altro giorno. È uno che non vuole grane e tantomeno rischi per la carriera e per la pelle. Il che, a pensarci bene, dal suo punto di vista è pure giusto. Il problema, come dico sempre, è che con i fascisti c’è da stare in campana! Dietro quelli di sinistra, siano terroristi, assassini, semplici scalmanati, ci sono professori universitari invasati, intellettuali, studenti barbuti che saccheggiano Mao, Marx e Marcuse, qualche personaggio dello spettacolo che si becca milioni dalla RAI ogni volta che va a scoreggiare in televisione e poi si fa vedere ai cortei con l’eskimo mentre la moglie nell’armadio c’ha i visoni e i cincillà… comunque una fauna a parte, riconoscibile, classificabile, persino scontata! Dietro quelli di destra, invece, spesso ci sono i potenti, vedi il caso non unico di Alessandro Alibrandi che spara e rapina con i NAR ed è figlio di un giudice istruttore di punta… Qual è quel sostituto procuratore Formica che farebbe l’eroe pestando i calli a cotanto babbo che magari ha l’ufficio sul suo stesso piano e fra le mani il ruolino delle carriere? E poi fascisti è un termine sempre più vago… Quasi mi viene da dire: bei tempi quelli in cui portavano il fez e la camicia nera, almeno li riconoscevi! Oggi dietro a uno dei NAR che spara sui poliziotti, tanto rossi o neri il bersaglio siamo sempre noi, o piazza una bomba, ci possono essere servizi segreti, industriali, banchieri, la CIA, la massoneria e chi più ne ha più ne metta… Fascista è Concutelli che ha ammazzato Occorsio e fascista è Almirante che incanta a Tribuna Politica… Fascisti sono quelli che hanno devastato il Rouge et Noir dove proiettavano Salò di Pasolini, quelli di Ordine Nuovo, di Terza Posizione… ma forse pure Agnelli, Andreotti, il cardinale Siri, pure io, a pensarci bene, benché voti repubblicano da sempre, perché comando le “guardie”… Il cielo lugubre mi urta i nervi! Dovrei andare di là a dar man forte ai miei che stanno interrogando i rossi arrestati in questi giorni ma non ho voglia. Accendo la radio. L’umidità che satura l’aria esalta l’odore delle valvole impolverate che si scaldano. La Cassazione ha condannato definitivamente a nove anni e sette mesi Pino Pelosi per l’assassinio di Pasolini. Omicidio volontario in concorso con ignoti… Personalmente non ho mai creduto che Pelosi, la rana come lo chiamano i giornali, abbia ammazzato Pasolini da solo. Ha raccontato da subito un sacco di fregnacce: per esempio ha detto di aver lottato furiosamente con Pasolini, ma mentre il poeta è stato ritrovato massacrato lui aveva solo un graffietto! Può darsi sperasse in un’assoluzione per legittima difesa, tanto più che all’epoca era minorenne e ha sempre sostenuto che Pasolini lo aveva minacciato e costretto a fare sesso orale, ma non lo faccio così sveglio. Più facilmente, per soldi o per ricatto, proprio in quanto minorenne ha accettato di accollarsi tutta la responsabilità sollevando gli “ignoti” di cui parla la sentenza. Magari proprio quelli dell’ENI a cui Pasolini stava dando fastidio in ultimo e che si erano cagati nelle braghe quando comparvero i misteriosi appunti di PPP sui rapporti tra stragismo, grande industria e potere politico.3 In fin dei conti, Pasolini ammazzato da uno dei ragazzi di vita con cui si accompagnava e che irretiva con la promessa di fare cinema ha fatto contenti tutti: nemici, benpensanti… e naturalmente gli “ignoti” che resteranno tali. Suona l’interfonico: «Dottore, una signora desidera conferire con lei.» È la voce metallica di Corasanìti. «Chi è? Le ha detto cosa vuole?» «Risponde al nome di Valente Silvia.» “Risponde al nome”… Come i bambini che si perdono al mare! “È stato trovato un bimbo di sette anni al Bagno 25, indossa un costumino rosso, risponde al nome di Giovanni…”. Poi ci lamentiamo perché inventano le barzellette sui carabinieri e su di noi! «Va bene, ma oltre al nome le ha detto che vuole?» «Insiste per parlari unicamente con lei, dottore. Afferma trattarsi di cosa estremamente delicata.» «Vabbe’, la faccia accomodare.» Tanto insistere con capocce dure tipo Corasanìti è come parlare al telefono con la spina staccata! La signora che “risponde al nome” eccetera, eccetera e che vuole “parlari” solo con me entra introdotta dal piùchesiculo mentre parte la sigla di chiusura del Giornale Radio. Trattengo a stento una poco professionale e poco educata esclamazione: davanti a me, rigida come una convittrice davanti al rettore del collegio, c’è la diafana moglie del nazistoide che osservavamo ieri da Nino alla Camilluccia! Corasanìti resta sulla porta in attesa di ordini. Gli dico che può andare e prego la signora di sedersi. Ringrazia con esorbitante cerimonia. Voce rotta di chi ha pianto o sta per farlo. «So che desidera parlare con me. Mi dica…» cerco di metterla a suo agio, ma non troppo. Chi viene alla polizia di sua sponte potrebbe avere qualcosa da nascondere. Meglio mantenere distanza. Dopo breve esitazione parte a macchinetta con una gragnola di scuse per il disturbo e mi informa che ha avuto il mio nominativo dalla mamma della comunicanda compagna di scuola di Anita.« «In effetti, signora, adesso rammento di averla veduta ieri al ristorante. Sulle prime non avevo collegato…» Sorride. Per niente serena. Tormenta una collana a catena che dal collo magrissimo le scende oltre metà del busto. Confermo l’impressione di ieri: una deportata con l’orrore del lager negli occhi. Dopo la grandine di discolpe si blocca. Tace. Come mai è venuta senza il marito? Ieri mi pareva incapace persino di andare al cesso senza il benestare di lui. La invito a proseguire. «Ecco… non è facile…» E altro silenzio. La giugulare le batte forte. Abbassa lo sguardo. Vergogna? Paura? Di me o del… nazista? «Stia tranquilla, signora. È lei che ha deciso di venire da me, mi ha trovato e io sono qui ad ascoltarla.» Ma non dice niente. Solo continua a intorcinarsi le dita lunghe, scheletriche, che indovino fredde. Mi guarda. Con gli occhioni supplichevoli con cui ieri cercava il marito. Forse guarda tutti così? O solo quelli da cui implora. Ma cosa implora? Amore? Considerazione? Ascolto. Dal marito, può essere. Ma da me? Gli occhioni si fanno più liquidi. Piangesse, se vuole piangere. A volte aiuta! «Vede, commissario capo…» e si ferma ancora. «Per carità, lasci stare il capo! Lasci perdere pure il commissario, se crede. Mi chiamo Soccodato.» «Sì… sì, va bene.» Quello che su comuni visi sarebbe rossore, sul suo scarno pallore è appena rosa. «Ecco… io… io temo che mio marito mi voglia uccidere!» Alla faccia del bicarbonato di sodio! Esclamerebbe Totò. Io però non sono Totò ed esclamo solo «ca…!» ma dentro di me, si capisce. «La sua è un’affermazione grave, signora. Spero mi comprenda se le dico che la piglio con beneficio d’inventario, a meno che lei non mi porti prove concrete al riguardo.» «La capisco. Certo… però…» «Però?» «Però… ho paura.» «Suo marito l’ha minacciata?» Non risponde. Dopo le dita, passa a torturare un alamaro del soprabito. Tiene le gambe strette, serrate e le muove nervose come una bambina che stringe perché sta per farsela sotto. «Sì. Cioè… non proprio…» «Eh, no, signora mia! Almeno su questo dobbiamo essere precisi. Le ripeto la domanda: suo marito la minaccia o l’ha minacciata in passato? Mi risponda con un sì o con un no, la prego.» «Come dire? Proprio minacciata direttamente, no. Ma… ma…» E s’incanta il disco un’altra volta! «Facciamo una cosa, signora, ricominciamo tutto da capo e con ordine: prima di tutto mi ripete il suo nome?» Prendo il notes a quadretti. Scrivo solo su notes a quadretti. Quelli a righe li porto a Marietta che ci scrive le cose sue. «Non gliel’ho detto?» «Il fatto è che non l’ho scritto.» In realtà me l’ha detto il brigadiere, come si chiama. Ma è meglio che mi pensi un po’ rincoglionito, più umano. «Perché vuole scriverselo? Io mica voglio denunciare…» «Scrivo per ricordarmelo, signora. Se dovremo proteggerla, devo almeno sapere come si chiama, non le pare?» Fa solo “uhm”, ma mentre fa “uhm” gli occhi grossi e liquidi sprofondano un altro po’ nelle occhiaie e si velano d’un colore che secondo me è terrore. Non escludo sia una delle tante donne che scaja e sta zitta! «Valente Silvia.» «Suo marito, invece, si chiama?» «Calone Cosimo.» «Perfetto. E questo è il primo punto. Poi: lei asserisce che suo marito voglia farle del male…» «Sì.» «Ha ricevuto minacce dirette che l’hanno condotta a tale convinzione?» Non so dove sto raccattando tanta pazienza! «Ho avuto questa…» Mi porge un foglio su cui i suoi polpastrelli agitati hanno impresso piccoli ovali di traspirazione. Poche righe scritte con una comune macchina da scrivere: “Tuo marito ti vuole morta. Dovevo amazzarti ieri quando andavi a Gaeta da tua madre. Doveva sembrare una disgrazia. Pero io non sono un assasino, stai attenta che ci riprova” Ovviamente niente firma. Un po’ sgrammaticato, però, ’sto killer redento! «L’ha ricevuta per posta?» «No, me l’ha data il portiere.» «Era in una busta indirizzata a lei?» «Sì.» E mi dà la busta. Pure su questa lascia i cinque segni delle dita sudate. «Non potrebbe trattarsi di uno scherzo di cattivo gusto? Che so… il dispetto di un condomino, un ammiratore deluso?» Ammiratore?! Ma dove trovo la faccia per partorire certe frottole! «Ci sta il particolare di Gaeta. Io ci sono andata davvero a trovare mia mamma, l’altro mercoledì, il 18…» «Chi era al corrente dei suoi movimenti?» «Nessuno. A parte mio marito. E mia madre, naturalmente.» «Avete figli?» «No.» «Il portinaio non le ha detto chi gli aveva dato la busta da consegnarle?» «No.» «Non ha pensato a domandarglielo?» «In effetti… no.» «Allora, signora Valente, il problema è questo: se lei non sporge denuncia, noi non ci possiamo muovere più di tanto…» «No, per carità, gliel’ho detto… nessuna denuncia!» «E io glielo ripeto: così ci lega le mani. Non possiamo indagare su un’ipotesi campata in aria. Cerchi almeno di sapere chi ha affidato questa lettera al vostro portinaio. Glielo chieda.» «Non credo di poterlo fare… Il signor Alfredo, il portiere, è morto.» «Ha detto… Alfredo?» «Sì. Alfredo Mancini. Noi abitiamo in Via Angelo Emo 131, lì dove hanno ammazzato… Per questo ho paura, cioè anche per questo…» «Un attimo, mi lasci capire: ritiene o sospetta che suo marito possa avere qualche responsabilità nella morte del signor Mancini?» «No! Mica ho detto questo! Non credo…» «Non crede o lo esclude?» «No… è solo che…» s’impappina. «Ha parlato con suo marito di questa lettera?» «Sì.» «Come ha reagito?» «Ha detto che sono cavolate, che deve trattarsi di uno scherzo. Ma… si vedeva che era arrabbiato!» «Le ha palesato qualche sospetto sull’autore della lettera?» «No. Quando gliel’ho mostrata ha detto, appunto, che erano tutte baggianate e… se ne è andato.» «Capisco. Ricapitoliamo: lei è venuta perché ha paura di essere uccisa da suo marito…» «Esatto.» «Ha paura ma, se ho ben capito, non perché abbia ricevuto dirette minacce bensì per via di questa lettera.» «Sì.» «Ha ricevuto altre lettere di questo tenore in passato?» «No.» Lo squillo del telefono interrompe la conversazione monosillabica. «Commessario, c’è il perito che la vuole parlare.» È il vicebrigadiere Vito Cacòpardo. Pure lui, come Corasanìti, purosangue altoatesino, come attesta la parlata! «Me lo passi.» «Subbeto, dottòre.» Se io pronunciassi dottòre con una O tanto larga mi slogherei le mascelle! Il perito – scherzosamente detto ’o muorto dal neopensionato brigadiere Santucci, salernitano, non napoletano, come teneva a rimarcare – dice che la strana chiave a mappa doppia trovata in casa di Mancini appartiene a una cassetta di sicurezza. Alla mia domanda «di quale banca?» risponde che ancora non lo ha appurato perché manca la targhetta identificativa con il numero della relativa cassetta. Un passettino alla volta, per carità… non sia mai che a sforzarsi troppo gli esca il pallone a ’sti servitori dello Stato! Torno alla stralunata Valente. «Suo marito è un tipo irritabile? Violento?» «È uno all’antica.» Ma no! «Beh… mi perdoni, signora, io pure sono all’antica e di certo ho un bel po’ di anni più di suo marito, ma non significa un bel niente. La mia domanda era un’altra. Gliela debbo ripetere?» «È un tipo autoritario» concede. Ma anche questo non vuol dire un cacchio! Anche mio padre era autoritario, ma mai ha alzato le mani contro me o contro mia madre. Se non do una spinta a questo colloquio, facciamo notte! «Signora, vuole protezione? Vuole che parliamo con suo marito? Questa lettera minatoria è una realtà, e dal momento che lei è venuta qui a mostrarmela, io non posso ignorarla.» «Forse ho fatto male a venire…» Finalmente le liberatorie lacrime! Di nuovo il telefono. Di nuovo Cacòpardo. Di nuovo il perito. «La chiave appartiene a una cassetta di sicurezza del Banco di Santo Spirito.» «Ottimo. Quale agenzia?» «Ci stiamo lavorando…» «Ma che fa? Mi dice le cose a pezzettini?! Giochiamo al motivo misterioso?! Mi richiami quando avrà le informazioni complete… Anzi no, passi la chiave e tutte le relative informazioni al dottor Cipriani, penserà lui o uno dei suoi a rintracciare la filiale.» Attacco senza aspettare i saluti, poi chiamo Cipriani. Non c’è. Allora mi faccio passare il vicecommissario Bussa, uno buffissimo che si atteggia a Tenente Sheridan tanto che se non arriva giugno non esce fuori dall’impermeabile bianco stretto in vita con la cintura.
Lettura gratuita per i nuovi utenti
Scansiona per scaricare l'app
Facebookexpand_more
  • author-avatar
    Scrittore
  • chap_listIndice
  • likeAGGIUNGI