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L'inaspettato

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possessivo
seconda possibilità
amici degli amanti
brava ragazza
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dolce
protagonista femminile
terra realistica
cotta d'infanzia
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intro-logo
Trafiletto

In questa vita tutto può accadere, possiamo aspettarcelo, come anche no, possiamo credere di avere tutto sotto controllo ed è in quel momento, che quando crediamo di avere tutte le risposte... la vita ci cambia tutte le domande. E a volte è questo quello che succede....l'inaspettato.

Justin's Pov

Dopo poco la luce si accese... mi girai e quello che vidi poteva essere solo un sogno. I miei occhi iniziarono a pizzicare, le valigie che avevo in mano caddero a terra. Non mi importa se i proprietari mi hanno raccomandato che dentro c'è del fragile, non mi importa più di nulla, non mi importa del mio lavoro, non mi importa di me stesso, non mi importa di mio padre, non mi importa del mondo, non mi importa di nessuno tranne ciò che vedevo davanti ai miei occhi. La mia ragazza e mia figlia. Basta. Loro erano tutto ciò di cui mi importava.

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Capitolo 1: ritorno a New York
Mi chiamo Celine Widleton, ho 19 anni, vivo e lavoro a Los Angeles la città dei miei sogni. Mi ci ero trasferita un anno dopo il mio diploma per lavoro, vengo da New York dove ho lasciato la famiglia e la mia vecchia vita per cominciarne una nuova e migliore. Abitavo in una grande casa vicino a Beverly Hills, qui è tutto meraviglioso: la spiaggia, i negozi, la temperatura, il lavoro… ah si, quasi dimenticavo, facevo la fotografa per una rivista. Inutile dire che adoro il mio lavoro. Ero a Los Angeles da un anno e non avevo ancora fatto amicizia con nessuno, a parte i colleghi nello studio fotografico… ma ci vedevamo solo lì e per lavoro… quindi non contava, giusto? Io sono una persona molto timida, introversa, preferivo una buona cioccolata calda, un plaid e un buon film. Per questo non avevo amici… A New York avevo una "migliore" amica, Ashley, la conoscevo dalla scuola materna e poco prima di venire qui ho scoperto che tradiva la mia fiducia e la mia amicizia verso di lei, era una persona falsa e doppiogiochista. La cosa che più mi ha sconvolto è il fatto che dopo 15 anni di amicizia non mi sia mai accorta di quanto falsa lei sia, ma perché? A quale scopo? Solo ora avevo capito che per quanto tu possa stare con una persona non saprai mai cosa giri nella sua testa e come è realmente, non potrà mai essere come vuoi tu, mai. Nella mia piccola ma bella casa vivevo da sola, o meglio con il mio cucciolo che tanto adoro, un bellissimo pastore tedesco di nome Max; lui mi proteggeva e mi faceva compagnia, l'unico di cui mi fidavo realmente. Squillò il telefono, lo presi e notai il nome di mia madre sullo schermo, risposi immediatamente -pronto mamma?- Dissi io -pronto bambina, tutto bene?- Sembrava preoccupata -sì mamma… cos'hai? La tua voce è strana, è successo qualcosa?- Lei sospirò -Celine tesoro, tuo padre sta male e ora è in ospedale, non smette di dire che vuole vederti, riesci a venire a New York?- Trattenni il respiro per alcuni secondi -mamma... cosa è successo?!- La batteria del mio telefono morì all’istante e non avevo nessun caricabatterie nei paraggi. Imprecai mentalmente. Corsi subito a fare le valigie, lasciai Max dalla mia vicina di casa, una signora anziana molto premurosa che mi trattava come una figlia, perché lei non ne aveva. Andai di corsa a prenotare un volo per New York, trovai il primo per le 17.00, mancavano ancora quattro ore. Presi qualcosa da mangiare nel mentre e corsi in aeroporto, non avevo molto tempo, era tutto last minute. E in tutto ciò non sapevo ancora cosa fosse successo. Dopo un lungo volo che attraversò l'intero Paese, da specificare che per me furono tre secoli, arrivammo a New York -finalmente siamo arrivati!- Sbuffai scendendo dall'aereo, le hostess mi sentirono e si misero a ridere, io non facendoci caso corsi dentro all'aeroporto. Una volta uscita chiamai mia madre -pronto mamma! Sono qui fuori dall'aeroporto, dove siete?!- Quasi urali - piccola mia, sei qui! Siamo all'ospedale St. Paul com- non finì la frase che attaccai subito e corsi a prendere un taxi, ero veramente ansiosa. -All'ospedale St. Paul per favore- dissi al tassista salendo in fretta -sì signorina- disse quel gentiluomo guardandomi dallo specchietto retrovisore, avrà avuto una sessantina di anni. Una volta arrivati pagai il tassista e corsi in ospedale, fermai un'infermiera e le chiesi di mio padre. -Secondo piano, seconda porta a destra: 8A- disse, io la ringraziai e corsi su. Arrivata al secondo piano girai alcuni corridoi perché mi ero persa, in preda al panico dimenticai le direzioni dell'infermiera. Non ci misi molto però a ritrovare la strada. Vidi mio padre attraverso la vetrata, aveva una maschera per l'ossigeno e una flebo nel braccio, in quel momento ebbi una fitta allo stomaco, mi faceva male vederlo in quelle condizioni. -Celine!- Mi vide mia madre e venne verso di me -mamma!- la abbracciai -mi sei mancata da morire- disse singhiozzando. -Oh mamma anche tu… che cosa è successo a papà?- Chiesi -ha avuto un infarto… per ora i medici dicono che è nulla di grave, ma non possiamo sapere la situazione se peggiorerà o meno- riconobbi un velo di preoccupazione nei suoi occhi. -Mamma non dobbiamo preoccuparci, papà è forte, ce la farà e io lo so. Sorrisi, cercando di convincere me stessa più che altro. Mia mamma iniziò a piangere silenziosamente, io non piangevo non lo facevo più… sapevo che la vita era ingiusta, mi preparavo psicologicamente a tutto ciò che poteva accadere. Non credevo in una fine positiva. Per me tutto finiva male perché la vita è così, perché l'universo si divertiva a punire. Avevo una certa concezione pessimistica di tutto. Tutto ciò che provavo vedendo mio padre in quella situazione era dolore, mi faceva molta pena, ma di sicuro non potevo farci nulla. Poche ore dopo arrivò un infermiere, -Il paziente si sta riprendendo, resterà qui per alcuni giorni, ho bisogno di qualche firma- mia madre firmò i documenti e fece un grande sorriso per la notizia, feci lo stesso anch'io. -Celine vai a casa e riposati, hai fatto un lungo viaggio, sto qui io, appena potremo entrare da lui ti chiamo- mi diede una bacio sulla fronte, io annuì e uscì dall'ospedale. La casa non era molto lontana, quindi decisi di andare a piedi, ma prima mi recai da McDonald's, avevo una fame allucinante. Entrai e scrutai l'interno per vedere se c'era un tavolo vuoto, quando lo trovai appoggiai la mia giacca e andai ad ordinare -un Big Mac e una coca cola media grazie- tornai al mio posto aspettando l'arrivo del cibo. Guardai fuori dalla finestra, la mia New York non era cambiata affatto, il via vai di gente, le luci accese 24h, i negozi sempre aperti, la città che non dorme mai… persa nei miei pensieri non mi accorsi che il cameriere era già passato e il mio ordine era già davanti a me, mi guardai intorno risvegliandomi dal mio stato di trance. Scossi la testa sorridendo, -che sbadata- poi presi il panino e diedi il primo morso. Alzai la testa per vedere chi stava entrando nel locale, sgranai gli occhi quando vidi Ashley accompagnata da un gruppetto di ragazzi e ragazze, penso di conoscere quelle facce dai tempi della scuola. Si girò per scrutare il locale e mi vide, si fermò per un momento a fissarmi e poi girò il volto. Era cambiata, aveva i capelli corti, era diventata più magra e più bella. Un ragazzo del gruppo, si chiamava Martin se non ricordavo male, uno della vecchia classe mi riconobbe e venne verso di me. -Celine sei tu?- Disse fermandosi dinnanzi al tavolo in cui sedevo, -in carne ed ossa- dissi sorridendo, non volevo mostrare loro che non avevo nessuna voglia di vederli, sarebbe stato molto scortese da parte mia. -Da quanto tempo! Dove sei sparita?- Mi chiese -molto lontano- penso che si iniziava a notare dalle mie risposte fredde che non volevo averci nessuna conversazione, lui invece sembrava non cogliere nulla, interessato a saperne di più, quindi decisi di rispondergli -dove esattamente?- Aggiunse curioso -ecco...- Arrivarono tutti quelli del gruppo, Ashley compresa. Mi salutarono tutti, sembravano più simpatici di come li lasciai anni fa… mi fecero le stesse domande di Martin, tutti tranne Ashley che si limitò a guardarmi senza fiatare. Meglio così, cosa avrebbe potuto dirmi? Con quale faccia poi. -Ecco vedete... mi sono trasferita a Los Angeles, per viverci e per lavoro- Martin mi chiese poi, -e cosa ci fai qui?- Sospirai -mio padre sta male e io sono venuta a trovarlo- mi rattristai all’idea, -mi dispiace- dissero alcuni. -Bene ora dovrei andare ragazzi, mi ha fatto piacere il vostro interesse- mi alzai e salutai tutti, pagai il conto e me ne andai.

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