2.
Jillian si voltò per assistere all’arrivo della camionetta della polizia. L’uomo alto e dai capelli scuri che scese dal retro aveva mani e piedi ammanettati e un completo grigio piuttosto elegante. Drummond, il capitano della sezione omicidi, camminò velocemente nella sua direzione.
«Cristo, hanno paura che scappi?» fece, con una smorfia disgustata.
L’altro gli rivolse un mezzo sorriso. «Perché? Non potrei?».
Drummond si voltò verso le guardie, come se fosse pronto a mangiargli la faccia.
Raven fece un tintinnante gesto di nonchalance nell’aria muovendo insieme le due mani, visto che non poteva fare altrimenti.
«Non ti preoccupare, Jack. Portami sulla scena, piuttosto».
Drummond lo guidò verso la grande aiuola recintata di bosso dove stavano già lavorando gli uomini della scientifica. Raven incespicò un po’al momento di salire lo scalino di pietra che la delimitava e quasi si incastrò tra i cespugli, ma alla fine riuscì ad avvicinarsi alla figura che tutti cercavano di non guardare.
La donna era stesa sull’erba folta della primavera, a pancia in su. La lacerazione alla gola sembrava un sorriso insanguinato, e non era la peggiore delle ferite.
«Da quanto tempo…» chiese Raven all’uomo in camice vicino al corpo.
«Circa sette ore. Il rigor mortis deve ancora estendersi al tronco».
Andrew si inginocchiò sull’erba, tenendosi puntellato con le mani, e avvicinò la faccia alle braccia della donna.
«Segni di penna sui palmi» notò. «Leggeri segni di compressione sulla spalla sinistra, a mezza-luna… pelle pulita, occhi truccati in modo delicato… quanti anni, Jack? Ventuno? Ventidue?»,
Si voltò alla sua destra e squadrò l’agente Clarke, che stava cercando di mimetizzarsi tra i cespugli, facendola trasalire.
«Una studentessa?».
Jillian scrutò il cadavere, cupa.
«Non abbiamo ancora un’identificazione».
Raven sbuffò e si voltò verso Drummond. Il capitano alzò le sopracciglia, senza esprimere la risposta a voce alta.
«Chiedevo il suo parere, agente Clarke. Jack... sul serio?».
Drummond piegò le labbra all’ingiù, una sorta di sorriso al contrario. A Jillian non sfuggì il senso della frase. L’ex-profiler, lì, l’omicida agli arresti domiciliari, si stava lamentando di lei con il suo capo.
«Potrebbe essere una studentessa, sì» borbottò Jillian. «Non c’è quasi più nessuno che scriva a mano».
«Altre deduzioni?» infierì Raven.
Drummond ridacchiò. «Non capisco perché ti dai tutta questa pena, Andrew…»
Jillian strinse le mani a pugno. «Non lo so, signore. Dovrei avere qualche informazione in più».
«Per esempio?».
Jillian sospirò. «Il rapporto del patologo»». Indicò il corpo con un gesto vago. C’era una povera creatura, lì, nuda sull’erba, orribilmente martoriata, e nessuno sembrava vederla. Jillian capiva la necessità del distacco. Se lo imponeva a sua volta. Ma quella del capitano e di Raven le sembrava semplice indifferenza. «C’è violenza sessuale, questo si vede, ma... quello di cui parlava ieri, signore. Il suo livello di organizzazione. In poche parole... ha usato il preservativo?».
Raven le lanciò uno sguardo inespressivo. Era ancora accucciato accanto al corpo, a distanza di sicurezza, con le mani a terra per puntellarsi e non perdere l’equilibrio. Annusò l’aria, per poi tornare a guardarla. «Mh-mh. Preservativo». Dopo di che si voltò verso Drummond, dimenticando la presenza dell’agente.
«Qual è il punto di ingresso? E quello da cui se ne è andato?».
+++
Esattamente otto ore più tardi Jillian suonava alla porta dell’appartamento di Raven, tenendo tra le braccia una copia del rapporto. Non aveva ancora staccato, anche se avrebbe dovuto farlo, e probabilmente non sarebbe andata a casa tanto presto.
Raven le aprì con addosso lo stesso completo di quella mattina, ma senza giacca e senza cravatta. Jillian si trovò a pensare che era alto, sembrava dannatamente in forma ed era contenta di avere una pistola. Non che credesse davvero che avrebbe potuto farle qualcosa – qualsiasi cosa. Quel tizio era freddo come il ghiaccio, spocchioso, assurdamente autocompiaciuto. Come se non fosse in gabbia, come se la polizia gli dovesse anche qualcosa.
Jillian era una bella donna, con i capelli scuri e fluenti, la vita sottile, un viso a cuore da attrice della vecchia Hollywood. Gli uomini le davano sempre il tormento e lei aveva imparato a difendersi. Ma Raven... Raven era troppo pieno di sé per essere un pericolo da quel punto di vista. Ma era comunque un assassino: anche se Jillian non credeva che avrebbe potuto aggredirla, non avrebbe abbassato la guardia.
Come a confermare i suoi sospetti sulla sua forma fisica, Raven prese il pesante faldone con il rapporto con una mano sola e lo lasciò cadere con un tonfo sul carrello portavivande. Poi si lasciò cadere a sua volta su una delle poltrone e accavallò le gambe. Per la prima volta Jillian vide la cavigliera elettronica sulla gamba destra, o meglio, la intuì sotto al calzino di filo di Scozia.
«L’ha letto?» disse Raven, con un cenno in direzione del rapporto.
Jillian annuì.
«Preservativo?».
Lei annuì di nuovo. In realtà l’idea che lui se ne fosse accorto dall’odore, sulla scena, era piuttosto disgustosa.
Raven sospirò e riprese il rapporto. Se lo aprì sulle cosce. «Può sedersi, sa?».
«Sì, signore» rispose Jillian, ma restò in piedi.
Raven sfogliò il fascicolo, saltando interi blocchi di fogli. Finì per grattarsi il mento e sollevare di nuovo lo sguardo su di lei. «Quindi... che cosa posso dire? In che modo posso essere ancora utile all’NYPD?».
Jillian sbatté le palpebre. «Be’... è il nostro consulente, a quanto pare. Non dovrebbe stendere un profilo?».
«Ho già steso un profilo, se ben ricorda. Quando poi Garret Nie è stato preso. No, suppongo che vogliano sapere che cosa farà ora. Be’... sì, potrei avere un’idea o due. È lì in piedi perché conta di fuggire al più presto, agente Clarke, o pensa di restare il tempo sufficiente a prendere qualche appunto per i detective incaricati del caso?».
Jillian aprì la bocca, anche se non sapeva come rispondere, ma l’altro la precedette, alzandosi a sua volta con un guizzo che le fece fare un salto indietro.
Raven le lanciò un’occhiata sorniona. «Davvero... si rilassi. Non la uccido. Perché dovrei, poi? No, le andrebbe di vedere la terrazza? Tanto che c’è il sole l’ho già scoperto stamattina».
Senza aspettare una sua risposta, l’ex-agente speciale la precedette attraverso l’appartamento. Come Jillian supponeva, era grande. Una casa di quelle dimensioni, nell’Upper West Side... be’. L’arredamento era tra il vecchio e l’antiquariato, non trascurato, ma neppure curatissimo. Raven attraversò una grande sala, fino a un’alta finestra dalle tende pesanti e chiuse. Aprì le tende, aprì la finestra e la sala venne invasa dalla luce e da un refolo di aria fresca.
Dalla terrazza, che era larga e quadrata, si vedeva direttamente Central Park.
Raven inspirò lentamente l’aria di fine pomeriggio, lasciando spaziare lo sguardo. «Fa male, no?» mormorò.
«Immagino di sì» disse Jillian. Probabilmente per un uomo chiuso in casa ventiquattr’ore su ventiquattro una vista del genere era una specie di tortura.
Lo vide appoggiarsi con i gomiti al parapetto e sollevare il viso verso l’alto, verso il sole. La brezza gli mosse lievemente i capelli. Chissà come faceva ad avere un taglio così perfetto...
«Forse non sapremo mai come sono andate davvero le cose con la prostituta... ma con questa... con Brittany Miller, mh? Ventidue anni, studentessa. Seviziata, mutilata, stuprata. E ha usato un preservativo. Appena evaso era... frenetico, no? Si è accontentato della prima cosa che gli è capitata davanti al naso. Ma Brittany era perfetta. Fresca, giovane, rosea. Nie è stato meno... brutale, con lei. La sua crudeltà è stata meno violenta. Immagino che ora sia soddisfatto».
«Per quanto?» chiese Jillian. Le descrizioni dell’altro le davano i brividi. Il modo in cui sembrava capire profondamente il serial killer a cui davano la caccia...
Raven si voltò appena dalla sua parte. «Un istante. Restiamo su questo delizioso dettaglio, agente Clarke. Perché un preservativo? O due, o tre, o quanti ne ha usati?».
Jillian stava per rispondere d’impulso “per non lasciare tracce”, ma si fermò. «Ha paura delle malattie?» chiese.
«Già» sbuffò l’altro, tornando a guardare il panorama. «Non è per niente incoraggiante. Se avesse cercato di non lasciare tracce... di non farsi riconoscere, diciamo... avrebbe avuto un altro significato. Ma l’ha leccata. Il suo dna è dappertutto. No, a Nie non importa niente che colleghino a lui l’omicidio, anzi. È come se lo stesse riconoscendo. E non vuole correre rischi con le malattie sessualmente trasmissibili, perché... be’, perché pensa di restare a piede libero per molto, molto tempo».
Tornò a voltarsi, questa volta completamente. Si appoggiò con la schiena al parapetto. «Il suo Ego è gonfio come un pallone pieno d’elio. Ma non dimentica la cautela. Non vuole farsi prendere. Vuole farla franca. Potrebbe decidere di cambiare città, ma credo che non abbia i mezzi materiali per farlo con una certa sicurezza, ora come ora. Chissà dove ha dormito. Forse per strada, forse in un veicolo rubato. Ha avuto la sua bella studentessa. L’ha spolpata. L’ha fottuta fino a essere soddisfatto... mh».
Jillian non trattenne una smorfia, ma l’altro si limitò a guardarla inespressivo.
«Due, tre giorni. Il cooling-off non può durare molto di più, agente Clarke. Poi comincerà a pianificare un altro omicidio e quanto tempo gli servirà per individuare un’altra vittima è... be’, dipende dal caso, ma non credo che gli serva molto».
«Le sue foto segnaletiche sono avunque».
Raven si strinse nelle spalle. «La gente guarda, ma non osserva. Basta poco per cambiare aspetto. Nie ha una faccia comune. Ed è... rassicurante. È bravo a sembrare normale. Quando gli ho parlato...»
«Non sapevo che gli avesse parlato» lo interruppe Jilliam.
L’altro si strinse nuovamente nelle spalle. Spalle che tendevano la camicia bianca e inamidata, sotto alla quale non portava una maglietta a mezze maniche come fanno in molti.
«Gli ho parlato dopo averlo arrestato. Lui, purtroppo, ha solo provato a manipolarmi. Ma è convincente e sembra proprio una brava persona, se non sai chi è». Si lasciò scivolare lentamente contro il parapetto, fino a sedersi sul pavimento della terrazza. «Non avrei più voluto farlo, sa? Sono stato puro per sette anni. Avere a che fare con loro... è come un fungo, come muffa nel cervello. Ma è anche una droga. Nociva... molto nociva, per me. Per caso ha voglia di fare sesso, agente Clarke?».
+++
Sul momento Jillian pensò di aver capito male. Raven era lì, in maniche di camicia, tranquillo, seduto sul pavimento, con la schiena contro il parapetto, gli occhi socchiusi. Aveva le ginocchia piegate e i piedi distanti l’uno dall’altro, quindi si vedeva che non aveva un’erezione né niente.
Jillian decise di aver capito male. «Scusi?» fece.
Non era preoccupata, in realtà. Al massimo scioccamente lusingata, non sapeva nemmeno lei perché. Forse perché l’altro sembrava considerarla un’idiota senza importanza, un essere inferiore, e se poi fosse venuto fuori che voleva portarla a letto sarebbe stato davvero comico. Ma Jillian era quasi sicura che non volesse, di aver solo capito male.
«Oh, non c’entra con il caso» spiegò Raven, tranquillo. «Non c’entra proprio niente. Ho solo pensato... sono stato dentro cinque anni, altri due agli arresti domiciliari. È davero, davvero difficile che autorizzino qualcuno a entrare. Ho un aiuto domestico...» mostrò tre dita «...tre ore alla settimana. Gene è fantastico, e se la cava bene in un sacco di cose, ma...»
«Ma?» fece Jillian, visto che lui si era interrotto. Non aveva smesso di parlare come se fosse imbarazzato, quanto come se non avesse più voglia di continuare a spiegare, come se lo ritenesse inutile.
Sbuffò lievemente. «Subito dopo la conversione ai domiciliari ho avuto un’assistente sociale. Era sui cinquanta e devo ammettere di averci pensato un paio di mesi. Suppongo che quel tentennamento sia risultato offensivo, perché, no, niente, non è stata minimamente incline a farmi un favore».
«Temo di non seguirla, dottor Raven».
Lui lasciò cadere la testa da una parte, estenuato. «Io penso che lei ci marci un po’, sul fatto di sembrare scema».
«E potrebbe anche smetterla di trattarmi come se fossi ritardata. Non ho capito che cosa vuole da me, ma non è colpa mia. Lei si sta spiegando nel modo peggiore possibile. Se vuole saperlo, sembrava che mi stesse chiedendo di venire a letto con lei» replicò Jillian, in tono sostenuto.
«È precisamente quello che le sto chiedendo» disse lui.
«Eh?».
«Sarò educatissimo».
«Eh?» ripeté Jillian, allucinata.
Raven sbuffò. «Ma non troppo, se l’educazione non le piace».
Jillian inarcò le sopracciglia e rise. «Starà scherzando».
L’altro scosse lentamente la testa.
«Be’, allora lasci che le dica che questa è una molestia» ribatté lei.
«A me sembrava una domanda cortese».
Jillian alzò gli occhi al cielo. «No, guardi, non può andare in giro a chiedere alle persone se vogliono scopare con lei».
«Non che io vada molto in giro, comunque» specificò Raven.
Poi si alzò con uno scatto fluido e Jillian si trovò di nuovo a fare un salto indietro, solo che questa volta posò anche la destra sul calcio della pistola.
Raven le lanciò uno sguardo disgustato. «E non la stupro nemmeno, si tranquillizzi. Non sono quel genere di criminale. Non le interessa... be’, non importa. Si ricorda quello che le ho detto su Nie?».
«S-sì, perché?».
Lui la precedette di nuovo dentro. «Perché lo scriverò in bella forma, ovviamente, ma non adesso. Può venire a ritirare l’ennesimo foglio di carta domattina. Però può riferire a Drummond quello che le ho detto, così non la tormenterà e, cosa più importante, non tormenterà me con telefonate sgradite».