Il gioco dei pellegrini-2

1997 Words
— Fa’ così: congiungi le mani e trascinati per la stanza gridando con terrore: «Roderigo, salvami, salvami!» — e Jo attraversò barcollando la stanza e cacciò un grido melodrammatico che trapassava il cuore. Amy cercò di imitarla, ma congiunse le mani e si spinse innanzi come se fosse stata mossa da una macchina, ed il suo ‘oh’ prolungato pareva piuttosto l’urlo di una persona che sente conficcarsi degli spilli nel corpo che non un grido di terrore e di raccapriccio. Jo, sconsolata, sospirò come se l’anima le si volesse spezzare; Meg rise di cuore e Beth lasciò bruciare il pane, tanto era assorta a seguire la ridicola scena. — Non c’è caso, non lo farà mai! Sai come l’è? Fa’ quel che puoi il giorno della rappresentazione, e se gli spettatori fischiano non dire che è colpa mia. Vieni Meg. Le cose procedettero allora un po’ meglio, perché Don Pedro sfidò il mondo intero in un discorso di due pagine, che recitò senza un solo sbaglio: Agar, la strega, cantò con grandissimo effetto una terribile imprecazione, mentre faceva bollire in una pentola una quantità di rospi; Roderigo strappò le sue catene ed Ugo finì la sua vita in un’agonia mista di rimorso e di arsenico, rendendo l’ultimo respiro con un terribile Ah! Ah! — È la migliore di tutte quelle che abbiamo recitato — disse Meg, mentre il morto si rialzava e si stropicciava i gomiti. — Non so come fai a recitare ed a scrivere delle cose tanto belle Jo! Sei un secondo Shakespeare — esclamò Beth, che fermamente credeva che le sue sorelle fossero dei veri geni. — Veramente no! — rispose Jo modestamente — Credo però che «La Maledizione della strega» sia uno dei miei migliori scritti: ma mi piacerebbe tanto recitare il Macbeth, se potessi avere un trabocchetto per Banquo! È tanto tempo che desidero fare la parte dell’uccisore! — È proprio uno stile quello che vedo dinanzi a me? — mormorò Jo stralunando gli occhi come aveva veduto fare ad un celebre attore e stringendo il pugno quasi volesse afferrare qualcosa nell’aria. — Hai infilato nella forchetta la pantofola di mamma invece del pane! — gridò Meg, e la prova finì con un generale scoppio di risa. — Son contenta di vedervi così allegre, bambine mie — disse una dolce voce ed attori e spettatori corsero a salutare una signora piuttosto grassa, di circa quaranta anni, con un volto pieno di bontà e di materna dolcezza. Non si poteva chiamare bella, ma in generale, tutte le madri sono belle agli occhi dei loro figli e le quattro ragazze credevano veramente che il vecchio mantello grigio ed il cappellino nero, che da un pezzo non era più di moda, coprissero la donna più aggraziata del mondo. — Ebbene, bimbe care, come avete passato la giornata oggi? Ho avuto tanto da fare che non sono potuta tornare neanche a pranzo. — È venuto nessuno Beth? — Come va il tuo raffreddore Meg? — Jo, mi sembri stanca morta. Dammi un bacio, piccina. Ciò dicendo, la signora March si era levato il mantello, si era infilata le pantofole calde calde, e, accomodatasi nella poltrona, aveva fatto sedere Amy sulle ginocchia preparandosi, così, a passare l’ora più piacevole della giornata. Le ragazze intanto le si affaccendavano intorno ciascuna a modo suo; Meg apparecchiò la tavola per il thè, Jo andò a prender legna e mise a posto le seggiole urtando, picchiando e rovesciando tutto ciò che toccava; Beth andava su e giù dal salottino alla cucina, dalla cucina al salottino, lavorando silenziosamente, ed Amy dirigeva il movimento generale standosene tranquillamente seduta sulle ginocchia della madre, colle mani in mano. Mentre erano a tavola, la signora March disse con un sorriso di soddisfazione: — Ho una sorpresa per voi dopo cena. Le ragazze si scambiarono uno sguardo; Beth batté le mani, lasciando cadere il pane caldo che teneva e Jo gettò per aria il tovagliolo gridando: — Una lettera, una lettera! Viva papà, viva papà! — Sì, una lunga lettera. Mi dice che sta bene, che spera di passare l’inverno meglio di quello che si aspettava e manda tanti auguri per Natale; c’è un punto poi che riguarda specialmente voialtre ragazze — disse la signora March battendo leggermente sulla tasca come se possedesse un tesoro. — Presto, presto, finite! Amy, non t’incantare come una marmotta! — gridò Jo, mentre che il thè, andatole a traverso, quasi la soffocava ed il pane imburrato, cadutole di mano, andava a finire sul tappeto. Beth smise di mangiare e, mentre le altre finivano, si ritirò nel suo cantuccio, pregustando già la gioia che doveva venire. — Mi pare una gran bella cosa che il babbo, essendo troppo vecchio e non abbastanza forte per fare il soldato, sia andato nell’esercito come cappellano — disse Meg calorosamente. — Come mi piacerebbe essere un tamburino, una vivan... come si chiamano? o una suora, per potergli essere vicina ed aiutarlo — esclamò Jo con un profondo sospiro. — Deve essere molto spiacevole il dormire sotto una tenda, mangiare ogni sorta di robaccia e bere in un bicchiere di stagno — sospirò Amy. — Quando tornerà, mammina? — domandò Beth con un leggero tremito nella voce. — Dovrà stare laggiù ancora alcuni mesi, a meno che non sia malato. Egli vorrà compiere l’opera sua fino alla fine e noi certamente non gli impediremo di fare il suo dovere. Ora venite qui, che vi leggerò la lettera! Le ragazze si avvicinarono al fuoco: la mamma si sedé sulla poltrona, Beth le si mise ai piedi, Amy e Meg si appollaiarono sui due braccioli e Jo si appoggiò alla spalliera, nascondendo il viso perché non si potesse vedere la sua commozione. Quasi tutte le lettere scritte in quei tempi commovevano, specialmente quelle dirette dai padri alle loro famiglie. In questa non si parlava delle fatiche, dei pericoli corsi, del desiderio di tornare a casa; era una lettera consolante, piena di speranze, di aneddoti della vita militare, di marce, di notizie sulla guerra; e solo in ultimo si parlava del gran desiderio che egli aveva di rivedere e riabbracciare i suoi cari. — Fa loro i miei auguri e dà a ciascuna di loro da parte mia un bel bacio. Penso a loro di giorno prego per loro la notte, ed il mio più gran conforto è il loro affetto. Un anno passato lontano dai propri cari sembra assai lungo, ma di’loro che, aspettando, si può e si deve lavorare in modo da render proficui questi tristi giorni. Esse si ricorderanno, lo so, di quello che loro raccomandai prima di partire; so che saranno affettuose e buone con te, che faranno il loro dovere senza lagnarsi, combatteranno i loro nemici interni e sapranno così bene vincersi da rendermi, al mio ritorno, sempre più orgoglioso e soddisfatto delle mie piccole donnine. Tutte avevano le lacrime agli occhi, nell’udire queste parole. Jo non si vergognò della grossa lacrima che le cadde dalla punta del naso e Amy non si accorse che i suoi riccioli biondi si scomponevamo quando, nascondendo la faccia nel seno della madre: — Sono un’egoista — esclamò — mai cercherò di non esserlo più davvero, davvero! Così papà, quando torna, sarà contento di me! — Faremo tutte del nostro meglio per correggerci — aggiunse Meg. — Io sono vana: e non amo il lavoro, ma cercherò di migliorare, se posso! — Io voglio diventare «una buona e brava donnina» come egli mi chiama; non sarò più sgarbata e furiosa, ma cercherò di fare il mio dovere e non desiderare altro — continuò Jo che era fermamente convinta che il tenere a freno un carattere furioso fosse molto più difficile che combattere in campo aperto contro i ribelli. Beth non disse nulla ma si asciugò gli occhi colla calza che stava facendo e si mise a lavorare con ardore, cominciando così a compiere il suo dovere e proponendosi di far tutto il possibile acciocché il suo caro papà non rimanesse deluso nelle sue speranze. La signora March ruppe finalmente il silenzio: — Vi ricordate,— disse colla sua dolce voce, — quando piccine facevate il gioco dei Pellegrini? Come vi divertivate quando vi legavo addosso il sacco che chiamavate il vostro peso, vi davo il cappello, il bastone ed un rotolo di carta e vi facevo passeggiare per tutta la casa, dalla cantina, che chiamavate la città di Dite, su fino al terrazzo, ove tenevate tutti i vostri tesori e che nominavate «la città Celeste?». — Ah, come ci si divertiva! Specialmente, però, quando passavo là vicino ai leoni, combattevo Lucifero e poi m’inoltravo nella vallata ove erano i maghi e le streghe — disse Jo. — A me piaceva il luogo ove i pesi ci cascavano dalle spalle e rotolavano giù in fondo alle scale — aggiunse Meg. — Ma quando, arrivate lassù in cima al terrazzo, tra i fiori e il verde ed i nostri tesori, cantavamo un inno di gloria, era il momento più bello per me! — disse Beth sorridendo. — Io veramente mi ricordo poco di tutte queste cose; so soltanto che avevo una gran paura della cantina e dello stanzino buio e che ero molto contenta quando si mangiava quel buon dolce ed il latte! Se non fossi ormai troppo grande, per questi giochi, quasi quasi mi piacerebbe di ricominciare! — disse Amy che parlava di rinunziare a giochi puerili alla matura età di dodici anni. — Non siamo mai troppo vecchi per questo gioco, bambina mia, perché è un gioco che più o meno facciamo poi per tutta la vita. Tutti abbiamo i nostri pesi; la retta via ci sta dinanzi ed il desiderio di esser buoni e di raggiungere la felicità ci è di guida e di salvaguardia nelle tante difficoltà che troviamo prima di arrivare alla pace che è la nostra «città Celeste». Mie piccole pellegrine, non sarebbe forse bene di ricominciare ora il vostro antico gioco, non per scherzo, ma sul serio e vedere qual parte della strada retta avrete percorso quando sarà ritornato vostro padre? — Sì, sì mamma, ma dove sono i nostri pesi? — domandò Amy che prendeva le frasi troppo letteralmente. — Tutte avete detto pochi minuti fa’ quali arano i vostri pesi.... eccetto Beth, ma credo che ella non ne abbia alcuno. — Oh, altro che ne ho! Ho tanti pesi! la mia timidezza, i piatti da lavare, i cenci da spolverare, e tutti i pianoforti che invidio agli altri! I pesi di Beth erano così buffi, che tutti avevano una gran voglia di ridere, ma non lo fecero, temendo di offendere i suoi sentimenti delicati. — Sì sì facciamolo — disse Meg pensierosa — È un gioco che ci insegnerà ad esser buoni e ci potrà spesso aiutare! Cerchiamo di far del nostro meglio per esser buone, mammina, ma è molto difficile e qualche volta ce ne dimentichiamo! — Stasera eravamo cadute tutte nell’abisso della Disperazione, ma la mamma, ci ha aiutate ad uscirne, come fece la Speranza in quel bel libro che abbiamo letto. Dovremo però possedere il libro che dirige le nostre azioni, come aveva Cristiani. Come faremo per averlo? — domandò Jo, felice di trovare un po’ di romanzo anche sulla strada difficile e noiosa del dovere. — Cercate sotto il vostro capezzale la mattina di Natale e troverete il libro che sarà la vostra guida — rispose la signora March. Continuarono a parlare dei loro nuovi progetti, mentre Annie, la vecchia domestica, sparecchiava, poi tutte e quattro si affrettarono a prendere i loro panierini da lavoro e si misero alacremente a cucire le lenzuola per la zia March. Alle nove smisero di lavorare e, come al solito, cantarono prima di andare a letto: soltanto Beth era capace di suonare sul vecchio pianoforte; aveva un tocco così dolce e leggero che era un piacere sentirla accompagnare le semplici canzoni che le altre cantavamo. Meg aveva una bella voce e dirigeva insieme alla mamma il piccolo coro. Amy cantava come un usignolo, ma Jo faceva sempre dei gorgheggi e delle variazioni a modo suo e riusciva quasi sempre a finire prima del tempo od a guastare, con una stecca, la più soave melodia. Avevano sempre cantato fino dal momento in cui, piccine, avevano incominciato a balbettare «Addio mia bella addio» ed ora era diventata un’abitudine cantare prima di coricarsi. La madre era una cantante nata e la, prima cosa che le ragazze udivano, appena sveglie, era quella cara voce e l’ultima, prima di andare a letto, era quella stessa voce, che si univa alle loro, nella preghiera della sera. Quella vecchia abitudine non fu mai abbandonata. CAPITOLO SECONDO
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