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Voto Di Gloria (Libro #5 in L’Anello dello Stregone)

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In VOTO DI GLORIA (Libro #5 in L’Anello dello Stregone), Thor si imbarca con i suoi compagni della Legione per un’impresa epica nelle vaste Terre Selvagge dell’Impero per cercare di trovare l’antica Spada della Dinastia e salvare quindi l’Anello. Le amicizie di Thor si fanno sempre più profonde mentre viaggiano in luoghi nuovi, affrontano mostri inimmaginabili e combattono fianco a fianco in incredibili battaglie. Incontrano territori esotici, creature e persone che non avrebbero mai immaginato, mentre ogni ulteriore passo del loro viaggio si presenta carico di pericoli sempre più grandi. Dovranno chiamare a raccolta tutta la loro abilità se vorranno sopravvivere mentre seguono il sentiero dei ladri, sempre più a fondo nel territorio dell’Impero. La loro ricerca li porterà direttamente fino al cuore del Mondo Sotterraneo, un dei sette regni dell’inferno, dove regnano i morti viventi e i campi sono disseminati di ossa. Qui più che mai Thor chiama a raccolta i suoi poteri e lotta per capire la sua stessa natura.

Tornata nell’Anello, Gwendolyn deve condurre metà della Corte del Re verso la roccaforte occidentale di Silesia, un’antica città arroccata ai confine del Canyon che domina da quella postazione da oltre mille anni. Le fortificazioni di Silesia le hanno permesso di sopravvivere a ogni attacco nel corso dei secoli, ma la città non ha mia dovuto affrontare un assalto da parte di un capo quale Andronico e da un esercito di un milione di uomini. Gwendolyn impara cosa significhi essere regina nel momento in qui assume il ruolo di guida. Srog, Kolk, Brom, Steffen, Kendrick e Godfrey sono al suo fianco e si preparano a difendere la città dalla violenta guerra che sta per scatenarsi.

Nel frattempo, Gareth sta impazzendo sempre di più, cercando di respingere un colpo di stato che lo vorrebbe morto nella Corte del Re. Erec combatte per la sua vita e per il suo amore, Alistair e la città di Savaria, mentre lo scudo inattivo permette a creature selvagge di invadere l’Anello. E Godfrey, crogiolandosi nel bere, dovrà decidere se è pronto o meno a dimenticare il suo passato e diventare l’uomo che la sua famiglia si aspetta.

Mentre tutti combattono per le loro vite e le cose sembrano peggiorare sempre più, la storia termina con due scioccanti colpi di scena.

Ce la farà Gwendolyn a sopravvivere all’assalto? Thor sopravviverà all’Impero? Troveranno la Spada della Dinastia?

Con la sua sofisticata struttura e caratterizzazione, VOTO DI GLORIA è un racconto epico di amicizia e amore, di rivali e seguaci, di cavalieri e draghi, di intrighi e macchinazioni politiche, di maturazione, di cuori spezzati, di inganno, ambizione e tradimento. È un racconto di onore e coraggio, di fato e destino, di stregoneria. È un fantasy capace di portarci in un mondo che non dimenticheremo mai, in grado di affascinare persone di ogni sesso ed età. Ha circa 75.000 parole.

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CAPITOLO UNO
CAPITOLO UNO Andronico si portò fieramente al centro della città di McCloud, affiancato da centinaia dei suoi generali e trascinandosi dietro la sua più preziosa proprietà: re McCloud. Privato della sua armatura, mezzo nudo, il corpo grassoccio e peloso lasciato allo scoperto, re McCloud era legato dietro alla sella di Andronico con una grossa corda stretta attorno ai polsi. Avanzando lentamente e facendo mostra del suo trionfo, Andronico trascinava McCloud tra terra e sassi, sollevando una nuvola di polvere. Il popolo di McCloud si riunì attorno a loro guardando la scena a bocca aperta. McCloud imprecava e si agitava per il dolore, mentre sfilava attraverso le vie della sua stessa cittadina. Andronico era raggiante. I volti della gente di McCloud erano segnati da smorfie di paura. Ecco lì il loro re, ora ridotto al più infimo degli schiavi. Era uno dei giorni migliori di cui Andronico avesse memoria. Era sorpreso di quanto semplice fosse stato conquistare quella città. Pareva che gli uomini di McCloud si fossero demoralizzati ancora prima che l’attacco avesse inizio. I suoi soldati li avevano sottomessi alla velocità di un fulmine, piombando su di loro, annientando i pochi che avevano osato opporsi e penetrando all’interno della città in un batter d’occhio. Probabilmente si erano resi conto che non valeva la pena opporre resistenza. Avevano tutti deposto le armi sperando che, se si fossero arresi, Andronico si sarebbe limitato a farli prigionieri. Ma non conoscevano il grande Andronico. Disprezzava chi si arrendeva. Non catturava prigionieri, e l’abbassare le armi gli aveva solo reso le cose più facili. Le strade della città di McCloud furono presto inondate dal sangue, mentre gli uomini di Andronico facevano piazza pulita in ogni vicolo, in ogni via, massacrando ogni anima incontrassero. Le donne e i bambini venivano catturati e fatti schiavi, come sempre. Le case saccheggiate una per una. Ora Andronico avanzava lentamente tra le vie, osservando i segni del suo trionfo e vedendo cadaveri ovunque, il bottino accumulato, le case distrutte. Si voltò e fece cenno a uno dei suoi generali che immediatamente sollevò una torcia e diede il via ai suoi uomini: centinaia di soldati si aprirono a ventaglio sulla città dando fuoco ai tetti di paglia. Le fiamme si levarono tutt’attorno a loro, alte verso il cielo, e Andronico già ne sentiva il calore. “NO!” gridò McCloud, dimenandosi a terra dietro di lui. Andronico sorrise e allungò il passo, diretto verso una roccia piuttosto grande. Si udì subito un colpo che gli diede grande soddisfazione, consapevole che il corpo di McCloud vi aveva sbattuto contro. Era meraviglioso veder bruciare quella città. Come aveva fatto per ogni luogo conquistato dall’Impero, l’avrebbe prima rasa al suolo, per poi ricostruirla con i suoi uomini, i suoi generali, il suo Impero. Era così che funzionava. Non lasciava mai traccia del vecchio. Voleva costruire un nuovo mondo. Il mondo di Andronico. L’Anello, il sacro Anello che era sfuggito a tutti i suoi antenati, era ora territorio suo. Riusciva a stento a crederci. Fece un respiro profondo pensando alla sua grandezza. Presto avrebbe attraversato l’Altopiano e avrebbe conquistato anche l’altra metà di Anello. Dopodiché non ci sarebbe stato alcun luogo sul pianeta dove il suo piede non fosse passato. Andronico si avvicinò alla torreggiante statua di McCloud, nella piazza cittadina, e vi si fermò davanti. Era fatta di marmo e si ergeva di oltre quindici metri, come una sorta di tempio. Mostrava una versione di McCloud che Andronico non conosceva: un McCloud in forma e muscoloso, che brandiva coraggiosamente una spada. Era egomaniacale. Per quell’aspetto lo ammirava. Una parte di lui avrebbe voluto prendere quella statua e portarla a casa, collocarla come un trofeo nel suo palazzo. Ma un’altra parte ne era troppo disgustata. Senza pensarci due volte prese la sua fionda – tre volte più grande di quella di qualsiasi essere umano, abbastanza larga per potervi mettere un piccolo masso – e tirò con tutta la propria forza. La roccia volò in aria e andò a colpire la testa della statua, che esplose in mille pezzi staccandosi dal corpo. Andronico poi gridò, sollevò il suo mazzafrusto e lo calò sul resto del monumento. Frantumò il busto di marmo e i pezzi caddero a terra con grande frastuono. Andronico girò poi il suo cavallo e si assicurò che, avanzando, il corpo di McCloud si grattasse e graffiasse sui frammenti. “Pagherai per questo!” gridò debolmente e agonizzante McCloud. Andronico rise. Aveva incontrato molti uomini nella sua vita, ma quello era forse il più patetico di tutti. “Davvero?” gli gridò in risposta. Quel McCloud era troppo ottuso, ancora non apprezzava il potere del grande Andronico. Aveva bisogno di una lezione, una volta per tutte. Andronico osservò la città e i suoi occhi caddero su quello che era senza dubbio il castello di McCloud. Spronò il cavallo e partì al galoppo, seguito dai suoi uomini, mentre McCloud veniva trascinato in terra attraverso il cortile. Risalì le decine di gradini di marmo e il corpo di McCloud rimbalzò dietro di lui, gridando e gemendo a ogni scalino. Poi proseguì attraverso l’ingresso. I suoi uomini erano già di guardia al portone, ai loro piedi i cadaveri insanguinati delle precedenti guardie. Andronico sorrise soddisfatto constatando che ogni angolo della città era già suo. Oltrepassò i grandi portoni del castello ed entrò in un corridoio dall’alto soffitto a volta, completamente fatto di marmo. Si meravigliò per gli eccessi di quel re. Era chiaro che non aveva badato a spese per concedersi i lussi che voleva. Ora era giunta la sua ora. Andronico proseguì a cavallo lungo gli ampi corridoi, sempre seguito dai suoi uomini. Gli zoccoli dei cavalli risuonavano tra le pareti e il gruppo giunse a quella che aveva tutto l’aspetto di essere la sala del trono. Fecero irruzione attraverso la porta di quercia e si portarono al centro della stanza, vicino a un volgare ed eccessivo trono d’oro lavorato, collocato al centro della sala. Andronico smontò da cavallo, salì lentamente i gradini dorati e vi si sedette. Respirò profondamente scrutando da lì i suoi uomini, le decine di generali a cavallo in attesa di un suo comando. Guardò il corpo sanguinante di McCloud, ancora legato al suo cavallo, gemente. Osservò la stanza, esaminò le pareti, gli arazzi, le armature, le armi. Osservò la maestria con cui il trono era stato cesellato e se ne stupì. Prese in considerazione l’idea di fonderlo, o magari portarlo indietro intero. Avrebbe magari potuto darlo in dono a uno dei suoi generali minori. Ovviamente quel trono non assomigliava neanche lontanamente al suo, il trono più grande e massiccio di tutti i regni, che aveva richiesto il lavoro di venti artigiani per quarant’anni. La costruzione aveva avuto inizio ai tempi di suo padre ed era stata completata nel giorno in cui Andronico l’aveva ucciso. Tempismo perfetto. Guardò McCloud, quel patetico omuncolo, e si chiese come poterlo far soffrire al meglio. Esaminò la forma e la misura del suo cranio e decise che gliel’avrebbe perforato per inserirlo nella catena che portava al collo, insieme alle altre teste che già vi pendevano. Eppure si rendeva conto che prima di ucciderlo aveva bisogno di tempo per smagrirgli il volto, far incavare le guance, in modo che stesse meglio sulla sua collana. Non voleva che una faccia grassa e floscia rovinasse il risultato estetico del suo gioiello. Lo avrebbe lasciato vivere quanto bastasse, e nel frattempo lo avrebbe torturato. Sorrise tra sé e sé. Sì, era davvero un bel piano. “Portatelo qui,” ordinò Andronico a uno dei suoi generali con il suo consueto ringhio profondo e gutturale. Il generale balzò a terra senza un solo secondo di esitazione, si avvicinò velocemente a McCloud, tagliò la fune e trascinò il corpo sanguinante sul pavimento, macchiandolo di rosso, e lo lasciò ai piedi di Andronico. “Non puoi passarla liscia!” bofonchiò debolmente McCloud. Andronico scosse la testa: quell’umano non avrebbe mai imparato. “Eccomi qui, seduto sul tuo trono,” disse Andronico. “E guarda dove sei tu, disteso ai miei piedi. Io direi che la passerò liscia in tutto e per tutto. Direi che l’ho già fatto.” McCloud rimase a terra, gemente e tremante. “Il primo punto del mio ordine del giorno,” disse Andronico, “sarà di insegnarti a prestare il dovuto rispetto al tuo nuovo re e padrone. Vieni da me ora, e ricevi l’onore di essere il primo a inginocchiarsi davanti a me nel mio nuovo regno, il primo a baciare la mia mano e a chiamarmi re di ciò che prima era la parte di Anello appartenente ai McCloud.” McCloud sollevò lo sguardo, si alzò appoggiandosi su mani e ginocchia e fece una smorfia ad Andronico. “Mai!” disse, voltandosi e sputando sul pavimento. Andronico scoppiò a ridere. Si stava divertendo di cuore. Era un bel po’ che non incontrava un umano così pieno di forza di volontà. Si voltò e fece un cenno. Uno dei suoi uomini afferrò McCloud alle spalle, un altro gli tenne ferma la testa e un terzo si fece avanti con un lungo rasoio. Vedendolo avvicinarsi McCloud tremò di paura. “Cosa avete intenzione di fare?” chiese terrorizzato, con voce alta e stridula. L’uomo abbassò il rasoio e con un colpo netto gli tagliò metà della barba. McCloud lo guardò disorientato, chiaramente stupito di non essere stato ferito. Andronico annuì e un altro servitore si fece avanti con un lungo attizzatoio, all’estremità del quale era inciso nel ferro l’emblema del suo regno: un leone con un uccello tra le fauci. Avvampava, arancione e caldo rovente, e mentre gli altri tenevano fermo McCloud, l’uomo abbassò il ferro contro la sua guancia nuda. “NO!” McCloud strillò rendendosi conto di cosa stava accadendo. Ma ormai era troppo tardi. Un grido terrificante tagliò l’aria, accompagnato da un sibilo e dal puzzo di carne bruciata. Andronico guardò con soddisfazione l’attizzatoio che affondava nella guancia di McCloud bruciandola. Il sibilo era sempre più forte e le grida quasi insopportabili. Alla fine, dopo dieci secondi buoni, lo lasciarono andare. McCloud si afflosciò sul pavimento, privo di conoscenza, sbavando, mentre il fumo si levava dalla metà bruciacchiata della sua faccia. Ora portava, stampato nella carne, l’emblema di Andronico. Andronico si chinò in avanti, guardò il corpo privo di conoscenza di McCloud e ammirò il lavoretto appena fatto. “Benvenuto nell’Impero.”

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