prologo
Avevo lo zaino sulle spalle, avevo ancora le lacrime agli occhi per quello che era successo. Avrei voluto fermarmi e iniziare a piangere ma non ne avevo ancora avuto l'occasione. I miei genitori erano morti, i loro corpi adagiati senza vita sul pavimento, gli occhi aperti di mia madre, il sangue scarlatto che bagnava il pavimento di casa e imbrattava l'intonaco bianco delle pareti e poi infine, quando pensavo di aver perso tutto, quel biglietto di minacce con scritto che il prossimo sarei stato io.
La mia natura l'ho sempre tenuta a bada, la mia anima era sempre stata pura, avevo avuto il coraggio di non trasformarmi più da circa un anno, perché continuavano? Come avevano fatto a scoprirci?
Il gene del coyote mannaro colpisce circa una persona su cinquanta e, per questo possa essere grande la Russia, la mia famiglia è una delle poche, circa una su cinque, ad essere stata colpita da questo gene. Non siamo come i licantropi, papà mi diceva che ne aveva visto uno o due in vita sua: avevano gli occhi di un colore innaturale simili ai nostri, che quando si trasformavano il loro viso si deformava, comparivano le zanne e prendevano sembianze animalesche senza però perdere quelle umane.
Noi eravamo diversi, ci trasformavano tutti e perdevamo i vestiti durante la trasformazione, potevamo decidere noi quando cambiare forma ma durante le notti di luna piena spesso il richiamo è troppo forte per lasciarci scelta.
Ho sempre tenuta a bada la mia doppia natura, mi fingo umano in mezzo alla gente perché so la fine che fanno i tipi come noi, corpi martoriati, uccisi senza pietà, decapitati, intrisi nell'acido, impiccati.
I cacciatori sono i nostri nemici per eccellenza, come il poliziotto per il ladro professionista, una continua lotta per la sopravvivenza, una continua fuga.
Appena trovai i corpi inermi dei miei genitori capì che qualcosa era andato storto, ci avevamo scoperti, non c'era più possibilità di sopravvivere ma avevo sedici anni e non volevo arrendermi così al mio destino sopratutto perché non mi trasformavo da oltre un anno. Presi le uniche cose che avevo in camera mia, l'essenziale per vivere, infilai anche il biglietto con scritto "il prossimo sei te” nella tasca destra dei miei jeans ed iniziai quella fuga incessante.
Per fortuna non avevano fatto a pezzi l'auto di mio padre, quindi mi misi al volante anche se avevo preso la patente da nemmeno due mesi e mi spostai da quella casa dove giacevano solamente i corpi dei miei amati genitori, non avevo tempo per piangere, dovevo scappare.
I cacciatori avrebbero fatto di tutto per uccidermi, per usare il mio cadavere come trofeo e non potevo permetter loro di vincere o almeno non così facilmente.
Mi caricai di tutto il peso che avevo sul cuore per riprendere una nuova vita. Non dissi niente ai miei amici, come potevano saperlo? Come potevano sapere che la mia vera natura era quella di trasformarmi in un grosso coyote protettivo ed aggressivo? Non potevo, non l'avrei detto a nessuno.
Dan è bravo a nascondere i suoi segreti, no?
Arrivai a Kiev dopo quasi due giorni di viaggio: mi facevo schifo, mi ero fatto una doccia al volo in uno squallido autogrill, un omaccione dai modi burberi mi aveva fissato mentre mi asciugavano con un asciugamano che avevo buttato in mezzo alla valigia che mi era tornato utile anche se lì per lì sembrava essere messo a caso, mi sentì un poco a disagio ma per fortuna che ero indipendente e sentivo la necessità di vivere ancora un poco.
Mi rivestì in macchina come un vero barbone e poi decisi di comprarmi la misera cena di quella sera (avevo preso tutte le scorte di soldi che avevo trovato nel salvadanaio, per ora la disponibilità di denaro era l'ultima cosa che mi preoccupava), comprai quindi un toast confezionato che era rimasto imballato come minimo da tre mesi e una lattina di coca cola, appena andai alla cassa ebbi paura che quell'uomo fosse un cacciatore o che comunque sapeva quanto i coyote e i licantropi erano presi di mira in Russia, avevo paura di essere considerato un vero e proprio ricercato e solo al pensiero mi venne la pelle d'oca.
Non ora Dan, rimani concentrato. Deglutì appoggiando tutto sul bancone e il silenzio incombette tra noi mentre contava ciò che gli dovevo. «sono otto rubli..» (la moneta che veniva utilizzata in Russia, come per l'Italia l'euro o per l'America i dollari) disse poi con la voce rauca. «ecco a lei..» risposi io prendendo sicurezza dandogli ciò che dovevo pagare ovviamente in contanti, avevo una carta ma volevo usarla per spese più grosse. Lui mi fece lo scontrino senza staccare mai lo sguardo dal mio viso.
Cazzo.. dovevo esser messo proprio male: le borse sotto gli occhi, i capelli crespi e disordinati, la maglietta sgualcita.
«sei un criminale?» mi domandò appoggiando lo scontrino, fu una domanda netta e senza ripensamenti come se incontrasse ladri professionisti ogni fottuto giorno.
Mi si serrò la gola in una stretta, guardai prima il pezzo il carta e poi quel tipo rugoso e grasso, poi scossi la testa. «no, non lo sono..» dissi quindi cercando di risultare il più convincente possibile, era vero che sembravo un barbone ma che ne sapeva lui di quello che stavo passando? Ero diventato orfano da nemmeno tre giorni!
«insomma..puoi dirmi se vendi droga, non chiamerò la polizia..» mi parve di notare un sorriso sul suo volto ed io non feci altro che irrigidirmi sempre di più come se fosse una minaccia travestita.
Non era passata nemmeno una settimana e già sentivo la mancanza dei miei genitori. Mamma, diglielo che non spaccio droga.
« no.. no, non vendo droga, se vuole posso mostrarle tutto ciò che ho nella mia auto..» dissi quindi sottraendomi dallo sguardo dell'uomo dinnanzi a me. La sua risata spezzò il silenzio ma non la tensione, o almeno da parte mia, perché la sua risata sforzata e quasi senza voce mi fece rizzare la schiena in un chiaro segno di disagio. «attento a non farti ammazzare..» disse ancora ridendo facendomi un gesto come per dileguarmi ed io me ne andai da quell'autogrill con la mia cena tra le mani.
Il cuore mi batteva in gola, il respiro non era regolare nemmeno a pagarlo, avevo paura che fosse l'ennesimo avvertimento, la mia morte era vicina me lo sentivo.
Ma questo non mi fermò di certo: feci benzina, pagai e ripresi a guidare sperando che nessuno intoppasse il mio viaggio senza meta.
Non avrei mai vissuto da nomade per sempre, ero minorenne, dovevo lavorare per vivere ma la morte dei miei genitori aveva segnato la mia vita.
Devi crescere in fretta Dan, devi farlo per loro. Con le lacrime che ancora minacciavano di rigarmi le guance mi diressi verso Kiev, una città russa abbastanza distante dal mio paese natale.