Capitolo 1

3637 Words
1 Leah Ci provavo a combattere quelle emozioni. Davvero. Ma quel cazzo che mi riempiva mi piaceva troppo. Avevo persino provato ad oppormi, ma un paio di manette di pelle attorno ai polsi erano bastate a farmi cedere. Ero a quattro zampe, il corpo premuto contro uno strano tavolo imbottito. Le manette erano legate a degli anelli posti così in basso che non potevo muovermi. Le tirai una volta, due, ma non si mossero. Il mio culo si agitava in aria e il cazzo del mio compagno era tutto dentro di me. Era come essere legati a un cavalluccio di legno mentre qualcuno mi cavalcava. Ero completamente alla sua mercé e non potevo fare altro che soccombere al potere del suo corpo che mi possedeva. Il suo cazzo poteva anche far parte di lui, carne e sangue – era grosso e lungo – ma lo agitava come se fosse un'arma concepita per sottomettermi. Una volta che mi avesse riempita con il suo seme, una volta che la sua essenza avesse ricoperto le mie pareti interne, riempito il mio utero, non ci sarebbe stato nessun ritorno. Avrei smaniato per il suo tocco, per il suo sapore. Avrei avuto bisogno di essere riempita, di essere presa, che il mio corpo fosse reclamato per sempre. Ora, mentre mi allargava con abilità, con il sedere nudo che mi doleva e la fica che andava a fuoco per il tocco della sua lingua esperta, non gli volevo resistere più. Prima avevo paura. Ora, ero solo famelica. Avida. Non era crudele, anzi. Il suo cazzo si muoveva dentro di me, riempiendomi completamente da dietro, facendo dentro e fuori, ancora e ancora, e ogni paura mi abbandonava. Ero sua. Mi avrebbe posseduta, corpo e anima; era un guerriero, ed era forte. Mi avrebbe protetta. E mi avrebbe scopata. Mi avrebbe tenuta in riga con la sua mano severa, ma mi avrebbe anche dato piacere, e sicurezza, e una casa. Tutti questi pensieri mi inondarono la mente mentre questo pezzo di maschio mi faceva sua per sempre, il suo cazzo mi invadeva il corpo, ancora e ancora, e io mi aprivo per lui. Le sue grandi mani viaggiarono su e giù sulla mia schiena. Si piegò in avanti, mi coprì col calore della sua forza guerriera e appoggiò le dita a fianco alle mie, proprio là dove ero ammanettata al tavolo. Più a lungo mi prendeva, più stretta diventava la sua presa sui manici, più bianche divenivano le sue nocche. Il suo petto bagnato giaceva sulla mia schiena, mi bloccava contro la panca e si aggiungeva alla mia sensazione di sentirmi intrappolata. Era così vicino al mio orecchio, non potevo evitare il suo respiro affannoso, i suoni di piacere che fuggivano dalle sue labbra. “Lo senti?” ringhiò, muovendo i fianchi e colpendomi l'utero con la punta dura del suo cazzo. Era esperto nel massaggiare zone sensibili e nascoste all'interno del mio corpo. Mi faceva tremare, mi svuotava la mente, rendeva la mia sottomissione completa. Nessun altro avrebbe potuto farmi sentire così. Nessun altro aveva mai spinto il mio corpo sull'orlo del più delizioso dei piaceri. Ero posizionata sulla panca e i miei seni penzolanti bramavano il suo tocco. Il mio clitoride era gonfio e il semplice tocco delle sue dita sarebbe bastato a farmi venire. Ma per adesso me lo negava. Me lo avrebbe negato fino a quando non sarei andata in pezzi, non avrei cominciato a implorare. Un “Sì” affannoso mi scappò dalle labbra. Sentivo i suoni umidi della scopata – il segno più evidente della mia eccitazione – che riempivano la stanza. “Avevi paura del mio cazzo, ma ora ti dà solo piacere. Te l'avevo detto che ci sarebbe entrato, che sarebbe stato perfetto”. Mi parlava e mi scopava. Come faceva a conoscere così bene il mio corpo quando questa era la nostra prima volta? Prima d’ora non ero mai venuta con un cazzo. Ero sempre e solo venuta quando, a letto, da sola, mi massaggiavo in mezzo alle gambe. Ma ora quel compito personale mi veniva vietato. Il mio compagno insisteva nell’impedirmi di venire senza il suo permesso. Se avessi infranto questa regola, sarei stata sculacciata, a lungo, con violenza. Ora che appartenevo a lui, sarei venuta a suo piacimento, con la sua lingua, con la sua mano, col suo enorme cazzo... o non sarei venuta per niente. “Il tuo piacere mi appartiene.” “Sì,” risposi. “Sento che mi stringi.” “Sì,” e lo strinsi ancora una volta. Era tutto quel che potevo dire: avevo perso ogni controllo. Ero completamente alla sua mercé e tutto quel che volevo fare era quel che lui ordinava. “Non verrai fino a che non ti darò io il permesso.” Sollevò le mani dal tavolo e mi accarezzò i seni, all'inizio una carezza dolcissima, poi me li tirò e me li pizzicò forti facendomi gemere mentre continuava a martellarmi duramente e velocemente, andando fino in fondo. Mi dava piacere, dolore - e lo adoravo. “Sei mia. La tua fica è mia.” “Sì,” ripetei, ancora e ancora. Non smise di cavalcarmi, di scoparmi, di riempirmi, di prendermi. Di rivendicarmi. Mi arrampicai sempre più in alto fino a gettare la testa avanti e indietro. Disperata, afferrai i manici. Temevo che mi esplodesse il cuore. Non riuscivo a respirare. Non potevo pensare. Non potevo resistere. Ero lì, proprio... lì. Le mani del mio compagno corsero lungo i miei fianchi, vagando sulla soffice carne rotonda del mio corpo fino a che non raggiunsero il mio clitoride. Ne tracciò i bordi con il dito e il suono che uscì dalla mia gola era il soffice urlo di una creatura in agonia, irrequieta e perduta. Non esisteva altro all'infuori del suo corpo, della sua voce, del suo respiro, del suo tocco. “Vieni, adesso,” mi comandò. Il suo cazzo era come un pistone, le sue dita sul mio clitoride erano forti e spietate. L'orgasmo mi esplose nel profondo, non avevo altra scelta. Non potei resistergli. Non avevo nessun controllo. Non ero più me stessa: ero sua. Urlai di sollievo, il mio corpo si strinse e si allentò attorno al suo cazzo, lo tirò più vicino e lo trattenne sepolto a fondo dentro di me. Era come se il mio corpo bramasse la sua essenza vitale, come se la bramasse disperatamente. Il mio orgasmo provocò il suo: lo sentii che si gonfiava e diventava ancora più grosso. Mi ringhiò nell'orecchio e sentii le calde pulsazioni del suo seme che mi riempivano. Il mio corpo spremette con avidità tutta l’essenza vitale fuori dal suo cazzo e se ne abbeverò fino in fondo. Proprio come aveva promesso, qualcosa nel suo seme scatenò in me una reazione fisica e mi forzò a venire una seconda volta. “Sì, amore. Sì, prendi ogni goccia. Il tuo corpo sta cambiando. Mi conosce. Deve avermi. Supplicherai per avere il mio cazzo, bramerai il mio seme. Ne avrai bisogno, lo amerai, così come io ho bisogno di te e ti amo.” “Sì!” Gridai di nuovo, sapevo che le sue parole erano vere. Era una calda ondata di piacere che si diffondeva attraverso il mio corpo, direttamente dalla mia fica, verso l'esterno. Aveva ragione: ora che sentivo il suo potere, che sapevo cosa poteva darmi, ne ero schiava. Ero la schiava del suo cazzo. “Signorina Adams?” “Sì,” dissi ancora una volta. Il mio sogno si fuse con la realtà. “Signorina Adams, i test sono finiti.” Scossi la testa. No. Ero legata ad una cazzo di panca e venivo scopata e riempita di sperma. Volevo restare lì. Ne volevo... di più. “Signorina Adams!” La voce si fece severa e forte. Mi costrinsi ad aprire gli occhi. “Oh, Dio,” sussultai provando a riprendere fiato mentre la mia fica stringeva e pulsava, pervasa dalle scosse di assestamento dovute ai miei orgasmi. Non ero legata a nessuna cazzo di panca. Non c'era nessun corpo maschile che mi fotteva da dietro. Mi trovavo nel centro elaborazione del Programma Spose e indossavo un camice ospedaliero. I miei polsi erano intrappolati da dei lacci assicurati ai bordi di una scomoda sedia reclinante, simile a quella dei dentisti. Era l'ultima fase della preparazione prima di lasciare il pianeta. Quando avevano collegato i cavi e i sensori non pensavo che sarei finita in un sogno a luci rosse. Ne sentivo ancora gli effetti. Avevo la fica bagnata, il retro del mio ruvido camice ospedaliero era zuppo. I miei capezzoli erano duri e tenevo le mani chiuse a pugno. Mi sentivo sfiancata, usata. Mi sentivo completa. “Come ho detto, i test sono finiti.” La Custode Egara stava in piedi di fronte a me. Una donna severa dai capelli marrone scuro e un'attenzione da aquila per ogni dettaglio del processo di accoppiamento. Guardò il suo tablet mentre le sue dita vi correvano sopra. “L'abbinamento è stato fatto.” Mi leccai le labbra secche mentre provavo a calmare il cuore che mi batteva all'impazzata. I peli mi si drizzarono sulla pelle bagnata. “Il sogno... era reale?” “Non era un sogno,” rispose, il suo tono era concreto. “Utilizziamo delle registrazioni dei dati sensoriali delle precedenti spose per assistere il processo di abbinamento.” “Cosa?” Registrazioni di dati? “Un neuroprocessore, o NP, le verrà inserito nel cranio prima che lasci la terra. La aiuterà con le lingue e ad adattarsi al nuovo mondo.” Sorrise, e quella vista era tanto spaventosa quanto maligna. “Il NP è programmato per registrare il suo accoppiamento e per inviare i dati al nostro sistema.” “Mi registrerete mentre sono con il mio nuovo compagno?” “Sì. È la procedura. Tutte le cerimonie di rivendicazione vengono riviste per assicurarci che le nostre spose siano assegnate in modo sicuro e appropriato.” Posò il tablet alla sua sinistra e notai il colletto rigido e la gonna inamidata della sua uniforme. Non c'era nemmeno una grinza, non un singolo capello fuori posto nel suo chignon stretto. Sembrava quasi un robot. Ma il fuoco che aveva negli occhi tradiva il fervore e la dedizione al suo lavoro. La sua devozione verso il programma si fece chiara ed evidente nelle parole seguenti: “Facciamo il possibile per assicurarci che i nostri guerrieri ricevano delle spose degne. Loro combattono per noi, proteggono la Terra e tutti i pianeti membri da distruzione certa. Il sistema utilizza le reazioni del suo corpo per esplorare la sua coscienza interiore, le sue fantasie più oscure, i suoi bisogni più reconditi. Quel che non le interessava è stato rapidamente scartato dal nostro programma di abbinamento. Gli input sensoriali sono stati filtrati fino a quando non abbiamo trovato un guerriero che le si abbinasse perfettamente.” Quello era stato il mio abbinamento? Di certo no. “Non posso essere abbinata a un uomo che mi lega. Non è questo quello che volevo quando mi sono offerta volontaria.” Sentendo questo, subito le sue sopracciglia scure si sollevarono. “Apparentemente, signorina Adams, questo è esattamente quello che desidera. I test rivelano la verità, anche se la sua mente la rinnega.” Pensai alle sue parole mentre lei si muoveva attorno al tavolo e si sedeva dinanzi a me. La sua uniforme rigorosa del Programma Spose Interstellari si abbinava al suo atteggiamento freddo. “Lei è un caso insolito, signorina Adams. Anche se abbiamo già avuto qualche volontaria, non ne abbiamo mai avuto una con le sue motivazioni.” Lanciai un'occhiata alla porta chiusa. Temevo che avesse chiamato il mio fidanzato e l'avesse fatto venire qui. Il panico puro mi fece strattonare i legacci. “Non si preoccupi,” disse alzando la mano per fermarmi. “Lei è al sicuro qui. Anche se ha affermato che i segni sul suo corpo sono dovuti ad una caduta, ho sentito il bisogno di assicurarmi che nessuno potesse vederla prima di mandarla su un altro pianeta.” Ovviamente la Custode Egara non credeva alla mia ridicola storia e la sua veemenza nel proteggermi mi rassicurò. Non avevo mai sciato in vita mia. Né avevo mai vissuto vicino ad una montagna. Ma ci voleva una scusa ragionevole per i segni che avevo sul corpo e quella era stata la prima cosa che mi era venuta in mente. Anche se avevo previsto che avrebbero visto i lividi sul mio corpo, non avevo idea che sarei stata denudata completamente per i test medici, messa dentro a un camice e sottoposta a una proiezione di immagini e video del tutto inappropriati. Dovevo essermi addormentata, perché non potevo essermi immaginata tutto. “Grazie,” risposi. Non ero abituata alle persone gentili. Rimase zitta, come aspettando che le dicessi la verità. Volevo condividere con lei quello che avevo saputo del mio fidanzato? Era stato così buono, mi aveva fatto perdere la testa. Fino a quando non avevo scoperto la verità. Un giorno per caso lo sentii dire a uno dei suoi uomini di uccidere qualcuno che gli aveva fatto saltare un affare della sua agenzia immobiliare. Pensavo che gli uomini con cui lavorava fossero degli impiegati, delle guardie del corpo, ma in realtà erano degli scagnozzi, gente che lui usava per intimidire e uccidere. Dopo che avevo acconsentito a sposarlo, mi aveva assegnato due dei suoi uomini come guardie del corpo personali. E anche allora credevo che lo facesse solo perché era ricco e io avevo bisogno di protezione extra. Lo credevo affettuoso e premuroso, impegnato a proteggermi. Ah! Che stupida! E fui ancora più stupida quando gli dissi che ci stavo ripensando, a proposito del nostro matrimonio. S'inferocì, mi afferrò e mi disse che non mi avrebbe mai lasciato andare. Mai. Quando minacciai di andarmene, mi spiego, con calma e fervore, che io gli appartenevo. Dal momento in cui mi aveva messo l'anello di fidanzamento al dito, ero divenuta una sua proprietà. Avrebbe ucciso chiunque avessi baciato, torturato l'uomo che mi avesse toccato, e poi mi avrebbe punito per il disturbo. Sapevo che dovevo scappare, ma dovevo trovare un modo per farlo. Andai al centro commerciale con la mia macchina, come se fosse un giorno qualunque. Gli uomini che mi proteggevano parcheggiavano sempre la loro macchina dietro la mia, mi seguivano attraverso il centro commerciale, ma mi permettevano di gironzolare all'interno dei negozi da sola. Comunque, subito mi diressi verso il reparto lingerie, dove sapevo che loro non entravano mai, e poi mi aggirai per molti altri negozi lasciando cadere il cellulare tra due scaffali di vestiti. Corsi fino alla fermata dell'autobus e presi il bus per attraversare la città. Da lì, chiamai un taxi per farmi portare al centro elaborazione Spose Interstellari. Non avevo una famiglia, né amici. Da quando avevamo cominciato a frequentarci, aveva rimosso in modo sistematico tutti quelli a cui tenevo. Uno ad uno, aveva trovato un motivo per trasformarli in contatti inadeguati, inappropriati. Ora ero completamente sola al mondo, completamente alla sua mercé. Mi aveva anche convinto a licenziarmi, così non avevo soldi miei. Dio mi aiuti, ma persino un alieno era meglio di questo psicopatico, di quest'uomo possessivo la cui idea di punizione aveva a che fare con l'allenamento di boxe. Io ero il sacco. Ci ero passata una volta. Mai più. Forse ero stata sciocca, ingenua, e anche un po' innamorata: ma ora non lo ero più. Per tutto il tragitto verso il centro di elaborazione, avevo continuato a guardarmi le spalle. Temevo che mi rintracciassero e mi fermassero prima che potessi entrare nell’edificio. Una volta dentro, mi sentii finalmente al sicuro, ma non mi sarei sentita del tutto fuori dalla sua portata fino a quando non avessi lasciato il pianeta. Solo allora avrei potuto respirare, sicura che il mio fidanzato non mi avrebbe mai potuta trovare. Avevo sentito parlare del Programma Spose Interstellari più di un anno prima e sapevo che la maggior parte delle donne che vi avevano preso parte erano prigioniere alla ricerca di un'alternativa alla galera. Da come avevo capito, alcune erano volontarie: ma nessuna di loro poteva ritornare a casa. Una volta abbinate ad un guerriero alieno e spedite su un altro pianeta, dal loro compagno, smettevano di essere cittadine della Terra e non potevano ritornare. All'inizio suonava spaventoso e ridicolo. Chi mai si sarebbe offerto volontario per lasciare la Terra? Quanto brutte erano le loro vite per fare una cosa del genere? Ora lo sapevo. La vita di una donna può diventare molto, molto brutta. Avevo bisogno di stare il più lontano possibile dal mio fidanzato e temevo che non ci sarebbe stato nessun luogo sulla Terra abbastanza distante. Mi avrebbe trovato, e poi... Pensavo che lui fosse la mia famiglia. Famiglia. Mi aveva scelto come moglie proprio perché non ne avevo nessuna, di famiglia. Non avevo legami, nessuno a proteggermi, a impedirmi di sposare quello stronzo. Lui non sarebbe mai stato la mia famiglia. Nessuno sulla Terra mi aveva mai amato. Come volontaria del programma spose, fui contenta di sapere che non sarei potuta tornare. Non volevo più restare sulla Terra. Non volevo che la paura di lui che mi cacciava mi accompagnasse per il resto della vita. Allora me ne sarei andata su un altro pianeta, nell'unico luogo dove non avrebbe mai potuto trovarmi, dove non avrebbe mai potuto raggiungermi. E così ero qui seduta, in un camice ruvido, sotto lo sguardo vigile della Custode Egara. “Domande?” Mi leccai di nuovo le labbra. “Questo abbinamento... come so che sarà... buono?” Dopo che mi avevano sottoposto a così tanti test per l'abbinamento, la mia unica richiesta era che lui fosse buono. Non volevo essere abbinata ad un uomo che mi avrebbe picchiato. Se avessi voluto quello, sarei potuta restare qui sulla Terra a sposare quello stronzo. “Buono? Signorina Adams, penso di comprendere la portata della sua preoccupazione, ma il suo compagno è stato sottoposto agli stessi test. Anzi, i guerrieri devono sottoporsi a test ancora più avanzati. Non deve temere, perché è il vostro subconscio a determinare gli abbinamenti. I vostri bisogni e desideri si completano gli uni con gli altri. In ogni caso, deve ricordarsi che un pianeta diverso ha usanze diverse. Una cultura diversa. Avrà bisogno di abituarsi, di rifiutare i suoi giudizi terrestri, le sue nozioni antiquate. Avrà bisogno di mettere da parte la paura che ha degli uomini. Lasciare tutto qui sulla Terra.” Le sue parole erano sagge, ma era più facile a dirsi che a farsi. Ero certa che sarei stata cauta per molto tempo a venire. “Dove sto andando?” “Viken.” Mi accigliai. “Non l'ho mai sentito nominare.” “Mhmm”, rispose guardando il suo tablet. “Lei è la prima dalla Terra ad essere abbinata con quel pianeta. I sogni che ha vissuto sono di una donna di un altro pianeta e del suo compagno su Viken. Come ha visto, era un amante attento, scrupoloso.” Arrossii ripensandoci. “Basandoci sui test, penso che lei sarà veramente contenta del suo compagno.” “E che succede se non lo sono?” E se lei si sbagliava e lui era cattivo? Forse era in grado di usare il cazzo come un attore porno, ma che succedeva se lui non voleva altro che una schiava? E se mi avesse picchiata come il mio fidanzato? “Ha trenta giorni per cambiare idea,” rispose. “Tenga a mente che lei non è stata abbinata solo all'uomo, ma al pianeta. Se dopo trenta giorni pensa che il suo abbinamento non sia accettabile, potrà richiedere un altro guerriero, ma rimarrà comunque su Viken.” Suonava ragionevole. Sospirai, rilassandomi all'idea che avrei potuto compiere la mia scelta, in fin dei conti – e che non sarei stata rimandata sulla Terra. “È soddisfatta?” chiese. “Ha altre domande? Ci sono dei motivi per cui vorrebbe ritardare il trasporto?” Mi guardò come se mi stesse offrendo un'ultima opportunità. Un'opportunità che non avrei colto. “No. Nessun motivo.” Annuì. “Molto bene. Per il verbale: è sposata, signorina Adams?” “No.” Se non fossi fuggita via, lo sarei stata. In due settimane. “Ha figli?” “No.” “Bene.” Fece scorrere lo schermo. “È stata formalmente abbinata al pianeta Viken. Accetta l'abbinamento?” “Sì,” risposi. Fino a quando quell'uomo non era cattivo, sarei andata ovunque pur di scappare. “Data la sua risposta affermativa, è stata ufficialmente abbinata, e ora viene privata della sua cittadinanza sulla Terra. Ora è, e lo sarà per sempre, una sposa di Viken.” Guardò in basso verso lo schermo e vi fece scorrere le dita. “Secondo le usanze di Viken, è necessario apportare alcune modifiche al suo corpo prima del trasporto.” La Custode Egara si alzò in piedi e mi venne di fianco. “Modificazioni?” Che cosa intendeva? Che cosa mi avrebbe fatto? Premette un bottone sul muro sopra la mia testa e il muro si aprì. Guardando dietro le spalle, non riuscivo a vedere niente oltre a una soffice luce blue. Quello che notai fu un grosso braccio con attaccato un ago che si protraeva dal muro. “Che cos'è quello?” “Niente paura. Le impiantiamo il NP, obbligatorio per tutte le spose. Stia ferma. Ci vorranno solo un paio di secondi.” Il braccio robotico mi venne incontro e mi pizzicò il collo. Trasalii per la sorpresa, ma non fece proprio male. In realtà non fece male per niente. Mentre la sedia si muoveva all'indietro verso la stanza con la luce blu, mi sentivo rilassata, calma, sonnolenta. “Non deve temere più nulla, signorina Adams.” La sedia si abbassò in un bagno caldo e lei aggiunse: “Il procedimento inizierà tra tre... due... uno.”
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