Come anima mai

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Blurb

Inghilterra, 1936.

Lewis Ellsworth, figlio del Duca di Buccleuch, è attento a tenere i suoi incontri sessuali lontano dagli ambienti aristocratici. All’inizio del suo secondo anno a Cambridge, però, scopre che il ragazzo con cui si è intrattenuto in un pub è uno studente del suo stesso college. Intelligente, affascinante ed eccentrico, William Chase entra nella sua vita come un tornado, scuotendo certezze e intenzioni.

Due studenti privilegiati, colti e raffinati, ubriachi di arte e letteratura, ebbri di emozioni e ambizioni. Ma in una società in cui persino al Re non è permesso scegliere di chi innamorarsi, Lewis e William vivono un amore diverso, vietato e voluto, doloroso e intenso, nascosto agli occhi del mondo.

Una storia fatta di coraggio, segreti, passione e contrasti, di crescita e conflitto, alla ricerca di una Wonderland nascosta dietro specchi di ipocrisia. Due vite che si incrociano e si salvano, due anime destinate a perdersi e a rincorrersi sullo sfondo dell’Europa del secolo scorso, un’Europa controversa e stuprata dalla guerra, in cui l’amore crea più scandalo dell’odio, in cui credere alle favole sembra quasi impossibile, ma è l’unica via d’uscita.

Perché, forse, Wonderland non è un dove, ma un quando.

Ci rincorrevamo come sabbia in una clessidra e niente

si andava a perdere mai; pieni, davvero, solo se insieme.

Solo che allora, stretta nei nostri corpi, la felicità pensavamo di poterla

tenere con noi per sempre, marchiandocela addosso come l’amore sulla vita.

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Prologo
Prologo Cambridge, 4 giugno 1937 Dentro o fuori. La vita è fatta di indecisioni e scelte sospese sul filo di una logica inesistente e, forse, inutile. Fissavo il vetro della finestra della sala da tè, accanto alla biblioteca, e continuavo a chiedermi se l’insetto si trovasse dentro o fuori; sarebbe bastato un gesto per capirlo, eppure continuavo a fissarlo. Dentro o fuori. Essere o non essere. Ma, poi, essere che cosa? «Un imbecille. Ecco che cos’è.» Un attimo prima di muovermi, la voce di Shay Breen, impostata sul suo tono più arrogante, spezzò l’aria fumosa della stanza. «Solo un imbecille rinuncerebbe al trono d’Inghilterra per una donna americana» disse calcando la voce sull’ultima parola, come se farlo per una donna inglese non sarebbe stato ugualmente folle. «Ti faccio notare che stai dando dell’imbecille a un Re d’Inghilterra, e per molto meno si può invocare il delitto di lesa maestà.» La capacità di Nathaniel Reginald Hyde di non cogliere mai il vero significato di una conversazione continuava a stupirmi. Reggie, come noi lo chiamavamo, aveva l’ambiziosa convinzione che, per ripristinare l’ordine dopo un tornado, bastasse rimettere in piedi i candelabri d’argento. Non era colpa sua; tutta l’alta società inglese condivideva l’idea che l’apparenza di una casa ben illuminata, nel giorno di ricevimento, fosse sufficiente a nascondere generazioni di scandali sciagurati. O che i cavalli ben addestrati bastassero a vincere le guerre. Piccole selle e briglie strette. Tutto sotto controllo. Napoleone non era bastato loro per capire che non controllavano nulla. E neanche un Impero quasi smantellato, a guerra finita. «Ex Re, Hyde,» obiettò Shay «proprio perché è un imbecille. Ha rinunciato al trono per una donna. Americana, per giunta.» A quel punto, accantonai la mia riflessione sull’insetto e intervenni: «Magari la signorina Wallis Simpson non è una donna come le altre, magari conosce arti che noi non immaginiamo neppure.» Lasciai cadere la provocazione, sperando così di zittire la maldestra audacia di Breen e l’ingessato perbenismo di Hyde. «Non essere volgare, Ellsworth» disse la sua voce. «Non ti si addice.» E forse ci sarei riuscito, a zittire la platea, se nella stanza non ci fosse stato lui: appoggiato allo stipite dell’arco d’ingresso con la sola punta della spalla, braccia e gambe incrociate, e uno sguardo troppo invadente per non riempire l’intera sala. Will Chase aveva appena scoperto il mio bluff. Di nuovo. Stava lì, fiero, mai in soggezione e con una bellezza così sfacciata da intimidire i secoli di Letteratura che gli facevano da cornice. E, mentre agli altri prodigava banale acidità, a me riservava il carisma. Poi, si rivolse a Shay. «Breen, sei talmente sciocco che se seguissi il tuo ragionamento dovrei dedurre che tua madre è americana, ma, ironia della sorte, è la mia a esserlo e tutto in me smentisce la tua teoria. Tra l’altro non sei neanche inglese e cos’avrai tanto da lagnarti della provenienza della signorina Simpson è un mistero. Almeno, gli yankee l’Indipendenza l’hanno conquistata, voialtri irlandesi ancora subite. Invece, sarò io ora a raccontarti il più grande segreto d’Inghilterra e non solo.» Gli passò davanti, guardandomi in quel suo dannato modo. Poi si fermò dietro Shay e, facendo leva sui braccioli della sua poltrona, gli disse all’orecchio, in un modo che tutti potessimo sentire: «Il nostro adorato re non ha abdicato per un’americana, anche se fosse dotata come pensa Ellsworth.» Si aiutò con un elegante movimento della mano, per umiliarmi con più grazia. «Il suo problema non è relazionarsi in modo improprio con qualcuno che proviene dall’altra parte dell’Atlantico, quanto simpatizzare politicamente per ciò che si trova un po’ troppo oltre Manica.» Reggie balzò dalla sedia come se sotto di lui fosse appena scoppiato un mortaio, ma, prima che riuscisse a obiettare qualcosa, Will lo stava già canzonando: «Riposo, soldato! Non vale la pena essere così fedele a un re che rinuncia alla corona per un’americana o per un tedesco. O, peggio, per entrambi. Troppa volgarità, troppa, tutta insieme, a profanare la dinastia dei Windsor.» La risata di Shay accompagnò la ritirata di Reggie. Nessuno aveva voglia di ricominciare a discutere di Hitler, tantomeno di una politica che, al momento, non ci riguardava. O, almeno, così credevamo. E, in ogni caso, nessuno aveva voglia di intavolare una discussione con Will. Anche se più giovane, era più intelligente, colto e sfrontato di ognuno di noi. Era entrato nella mia, nelle nostre vite, solo pochi mesi prima, venendo chissà da dove, e chissà perché, ma nessuno, neanche per un attimo, aveva pensato che potesse trattarsi di un ragazzo qualunque. Sicuramente io non avrei rifatto lo stesso errore.

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