LA DINAMITE SEPOLTA

2177 Words
LA DINAMITE SEPOLTA Sono Darrell Standing. Fra non molto mi trascineranno via di qui, per impiccarmi. Intanto, ne approfitto per dire ciò che ho sul cuore; e riempio queste pagine come testamento. A San Quintino sono diventato quel che si dice un "incorreggibile". Nel gergo particolare delle prigioni, un incorreggibile è un essere temuto da tutti. Vi spiegherò ora perché mi hanno classificato in questa categoria. Io odio lo spreco del movimento, l'inutile perdita del lavoro. E in questa prigione, come del resto in tutte le prigioni, simili princìpi sono una legge. Ero stato aggregato al laboratorio di tessitura della juta. Lo sperpero dei movimenti vi regnava sovrano. Questo delitto a discapito di un lavoro ben ordinato, mi esasperava. Naturalmente, constatarlo e combatterlo rientrava pienamente nel mio carattere. Prima che inventassero la macchina a vapore e i mestieri da essa derivati, tremila anni fa, ero già rinchiuso in una galera dell'antica Babilonia. E vi assicuro che in quei giorni lontani, con i nostri sistemi manuali, ottenevamo un rendimento superiore a quello che produce l'apparecchiatura a vapore installata nella prigione di San Quintino. Indignato di fronte a questo sperpero di energie, mi ribellai. Tentai di esporre ai sorveglianti una ventina di sistemi che avrebbero assicurato un maggior rendimento. Per tutta risposta, venni segnalato come indisciplinato al direttore della prigione. Mi buttarono in una cella, dove provai che cosa significava la mancanza del cibo e della luce. Una volta ritornato nel laboratorio, tentai di riprendere il lavoro in quel caos indescrivibile di disordine e rilassatezza. Impossibile. Mi ribellai di nuovo. Mi rimandarono in cella e, per giunta, mi misero la camicia di forza. Venni disteso sul suolo, con le braccia in croce, e appeso per i pollici sulla punta dei piedi. Fui persino picchiato dai guardiani. Stupidi bruti, che possedevano appena l'intelligenza per comprendere la mia superiorità morale e il disprezzo che provavo per loro! Subii questa tortura per due anni. Anche i bambini sanno che non c'è nulla di più terribile, per un uomo, di esser rosicchiato vivo dai topi. Ebbene! quei guardiani erano per me dei veri topi, che rodevano il mio essere pensante, che laceravano tutto quello che c'era d'intelligenza viva nella mia mente. E io, che un tempo avevo combattuto come un soldato, avevo ora perduto ogni coraggio per lottare. Combattere come un soldato... L'avevo fatto alle Filippine, perché era una tradizione degli Standing quella di battersi. Ma senza convinzione. Trovavo veramente sciocco occupare il mio tempo a ficcare, per mezzo di un fucile, delle sostanze esplosive nella carne di altri esseri umani. Per natura, ero un ottimo agricoltore, un uomo ormai sistemato, curvo sulla sua cattedra, schiavo dei suoi studi di laboratorio, e che aveva il solo desiderio di scoprire i mezzi per migliorare la terra e i suoi frutti. In guerra, scoprii ben presto che non avevo alcuna attitudine per questo mestiere. I miei ufficiali se ne resero conto subito. Mi trasformarono in uno scribacchino, e fu così che io feci la guerra ispano-americana. Non è già perché avessi un carattere impossibile ma, al contrario, perché osavo ancora pensare, che mi ribellai all'anarchia del laboratorio. Ed è per questo che i guardiani cominciarono a odiarmi, e fui dichiarato "incorreggibile"; è per questo, infine, che il direttore Atherton, persa ogni speranza nei miei confronti, mi fece chiamare un giorno nel suo gabinetto particolare. Alle domande che mi pose, agli argomenti che illustrò per dimostrarmi che avevo torto, io risposi press'a poco così: - Come potete lontanamente supporre che i vostri sorveglianti, questi topi famelici, possano riuscire, con le loro torture, a distruggere nel mio cervello le idee che vi si trovano? Tutta l'organizzazione di questa prigione è sbagliata. Voi siete, senza dubbio, un politicante molto abile. Conoscete certamente alla perfezione come si manipolino certe elezioni nei bassi fondi di San Francisco. D'altronde, la vostra abilità in questa materia vi ha procurato per ricompensa il posto che occupate qui. Ma siete del tutto digiuno sulla tessitura della juta. I vostri laboratori sono in ritardo di almeno cinquant'anni. Rinuncio a descrivervi il seguito del mio discorso. Il risultato fu che il direttore si convinse del tutto che io ero un "incorreggibile" senza speranza. Il direttore Atherton pronunciò il suo verdetto finale: ero un cane arrabbiato. Egli aveva d'altra parte buon gioco. Più d'una infrazione al regolamento, commessa da altri reclusi, mi venne imputata dai guardiani, e così fui rimesso in cella, a pane e acqua, sospeso per i pollici. Il supplizio si prolungava per ore, e ognuna mi sembrava eterna, più lunga di ciascuna vita che avevo già vissuto. Anche gli uomini più intelligenti sono a volte crudeli. Gli imbecilli lo sono in modo abnorme. Ora, gli aguzzini che mi tenevano in loro potere, dal direttore all'ultimo secondino, erano degli abissi d'idiozia... Tra gli ospiti della prigione c'era un recluso che era un vecchio poeta, un degenerato dalla fronte bassa e dal mento sfuggente. Si trovava in carcere come falsario. Impossibile trovare un uomo più bugiardo e vile di lui. Era sempre di una docilità incredibile e faceva la spia. Questo poeta falsario si chiamava Cecil Winwood. Era recidivo, ma essendo un leccapiedi, un ipocrita piagnucoloso, la sua ultima condanna era stata limitata a sette anni di reclusione. Con la buona condotta, poteva sperare anche in una riduzione della pena. Io ero condannato a vita. Per accelerare la sua liberazione, quella canaglia riuscì ad aggravare ancora la mia già precaria situazione. Ma ecco come andarono le cose. Me ne resi conto soltanto più tardi. Cecil Winwood, per accattivarsi la simpatia del capo reparto, del direttore della prigione e della Commissione delle grazie e del governatore della California, inventò di sana pianta un progetto d'evasione. Notate bene: prima di tutto, Cecil Winwood era talmente disprezzato dai compagni che nessuno voleva avere il minimo contatto con lui; in secondo luogo, io ero considerato un cane idrofobo; infine, Cecil Winwood aveva bisogno, per il suo diabolico intrigo, di cani idrofobi, ossia di me e di alcuni condannati a vita, incorreggibili e disperati come il sottoscritto. Inutile aggiungere che questi cani arrabbiati odiavano cordialmente Cecil Winwood e ne diffidavano. Quando cominciò ad accennare al suo piano di rivolta e d'evasione in massa, gli voltarono la schiena, insultandolo e trattandolo come un agente provocatore. Ma Cecil tornò nuovamente alla carica e tanto fece che, alla fine, raggruppò intorno a sé una quarantina degli elementi più scalmanati. E, poiché si faceva forte delle facilitazioni che godeva come uomo di fiducia del direttore e del gerente del Dispensario, Long Bill Hodge gli ribatté: Provalo un po'! Long Bill Hodge era un montanaro condannato a vita per aver fatto deragliare un treno, e che pensava soltanto a evadere, per poter ammazzare il complice che lo aveva tradito. Cecil Winwood accettò la prova. E assicurò che avrebbe potuto addormentare i guardiani la notte dell'evasione. A parole, è facile! - esclamò Long Bill Hodge. - Ci vogliono dei fatti. Prova a cloroformizzare, stanotte stessa, uno dei nostri guardiani, per esempio Barnum! È una canaglia che non vale la corda per impiccarlo. Ieri, nel reparto dei matti, ha picchiato a sangue quel poveretto di c***k. E non era di servizio! È di guardia proprio stanotte. Se lo addormenti, gli fai perdere il posto. Poi, se ci riuscirai, potremo parlare dell'affare. Tutto questo, l'ho saputo più tardi da Long Bill, quando ci rinchiusero insieme. Io avevo rifiutato di prender parte al tentativo. Cecil Winwood esitava. Gli venne concessa una settimana di tempo e, otto giorni dopo, egli comunicò ai compagni d'esser pronto. E ci riuscì. Barnum si addormentò durante il suo turno di guardia. Venne scoperto e licenziato dal posto. Questo primo successo finì col convincere i congiurati, anche i più restii. Contemporaneamente, Cecil Winwood pensava a informare il capo del reparto. Quotidianamente, gli faceva il suo rapporto sullo sviluppo del complotto, di cui era egli stesso l'animatore. Anche il capo esigeva naturalmente delle prove. Egli le fornì, e i particolari che dava non lasciavano niente a desiderare. Un mattino, Winwood comunicò al capo che i quaranta congiurati, che gli confidavano tutto, erano già così avanti da potersi provvedere, per mezzo di un guardiano loro complice, di rivoltelle automatiche. Provalo! - doveva essere stata la risposta del capo. E il poeta falsario l'aveva provato. Regolarmente, tutte le notti, delle squadre si alternavano ai forni. Un recluso, che faceva parte dei fornai, era una spia al servizio del capo. Winwood lo sapeva. Stasera, - disse al capo, - il guardiano che noi chiamiamo "Faccia d'Estate", introdurrà in prigione una dozzina di rivoltelle. Tutto il resto, con le munizioni, arriverà in seguito con lo stesso sistema. L'incaricato deve consegnargli il pacco, al forno. Voi avete qui un confidente. Avvisatelo. Verrà e vi farà in mattinata il suo rapporto. "Faccia d'Estate" era un vecchio contadino, dal viso aperto, originario del distretto di Humboldt. Era un povero di spirito, un bonaccione che cercava di guadagnarsi qualche dollaro in più fornendo ai prigionieri del tabacco di contrabbando. Quella notte, di ritorno da San Francisco, aveva con sé quindici libbre di tabacco. Non era la prima volta che lo faceva, e aveva sempre consegnato la merce, nel forno, a Cecil Winwood. Messo sull'avviso, il fornaio-spione lo vide mentre consegnava a Winwood un pacco voluminoso e avvolto in carta da imballaggio. Al mattino fece il suo rapporto al capo. L'indomani, quando incontrò il capo, Cecil Winwood aveva un aspetto quasi trionfante. Allora, - chiese, - il vostro confidente ha potuto vedere? Sì, è andato tutto come avevate detto. Lo credo bene! E il suo contenuto basta per far saltare in aria mezza prigione! Il capo sbiancò. Cosa dici? Che cosa contiene? Ho aperto il pacco, e... L'imbecille prese un tono misterioso e aggiunse: Non c'erano rivoltelle, ma dinamite. Trentacinque libbre ! E ci sono anche i detonatori. Poco mancò che al capo non venisse un colpo. Trentacinque libbre di dinamite nella prigione! Mi è stato riferito che il capitano Jamie, - così si chiamava, - si lasciò andare sopra una seggiola a corpo morto, tenendosi la testa fra le mani. Dov'è, adesso? - gridò. - La voglio! Portami subito dove si trova! Cecil Winwood capì finalmente la gravità della situazione. L'ho sotterrata, - rispose quel maledetto bugiardo, che aveva già distribuito il tabacco contenuto nel pacco tra gli abituali consumatori. Benissimo! - disse il capitano. - Portami sul posto. Avanti, in marcia! In se stessa la cosa non era inverosimile. In una prigione come San Quintino, vi sono sempre dei nascondigli. Ma questa volta si trattava d'una pura fantasia di Cecil Winwood. Quando il fatto provocò poi un'inchiesta, Jamie e Winwood testimoniarono entrambi che il poeta falsario aveva dichiarato al capitano che lui e io avevamo sotterrato, insieme, la dinamite. Winwood condusse il capitano fino al presunto nascondiglio. Naturalmente, di dinamite nemmeno l'ombra. Santo Dio! - gridò Winwood, - Standing me l'ha fatta! Ha preso il pacco, per nasconderlo in un altro posto. Così, per togliersi dal pasticcio in cui s'era cacciato, il maledetto mi prese come capro espiatorio. Il capitano Jamie, credendo d'essere stato giocato, ricondusse Winwood nel suo ufficio, chiuse a chiave la porta e gli saltò addosso. Sotto i colpi Winwood continuava a sostenere di aver detto la verità. Tanto che Jamie ne rimase convinto e credette davvero che esistessero trentacinque libbre di dinamite nascoste in qualche parte della prigione, e che quaranta incorreggibili erano sul punto di far saltare l'intero edificio. "Faccia d'Estate" fu sottoposto a un martellante interrogatorio. Il poveraccio giurò su quanto aveva di più sacro che il famoso involto conteneva solo tabacco. Winwood, da parte sua, giurò che conteneva esplosivi, e fu lui a essere creduto. A questo punto, entrai in scena io. O meglio, sparii nuovamente dalla luce del giorno. Infatti mi accolse nuovamente la cella di rigore, dalla quale non dovevo mai più uscire. Ero sbalordito. Mi avevano appena tolto da quell'antro, sfinito e a pezzi; e la storia ricominciava! Adesso, - fece Winwood al capitano Jamie, - anche se non sappiamo dov'è finita la dinamite, non c'è più nessun pericolo. Standing è il solo a conoscere il nascondiglio, e da dove si trova, non può far niente. Invece, per quanto riguarda i quaranta uomini di cui vi ho parlato, stanno per concretizzare il loro piano d'evasione. Niente di più semplice che coglierli sul fatto. Sono io che devo fissare l'ora per la fuga. Dirò che è per la prossima notte, alle due, e che aprirò io stesso le loro celle e distribuirò le rivoltelle. Il resto sarà un gioco, per voi. La dinamite, la cercheremo dopo. Ma naturalmente, da sei anni a questa parte, nessuno è mai riuscito a scoprire un'oncia di esplosivo, benché la prigione sia stata messa sottosopra almeno un centinaio di volte. Il direttore Atherton, fino all'ultimo giorno in cui terrà il suo posto, continuerà però a credere nell'esistenza di quella famosa dinamite. Il capitano Jamie, che è sempre a capo del reparto, non dispera, un giorno o l'altro, di metterci le mani sopra. Tutti quei gentiluomini respireranno liberamente soltanto il giorno in cui penzolerò in aria, con un cappio al collo.
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