Si mosse verso il bosco ceduo. Tempo prima, le bocche di leone crescevano innumerevoli; e lui conosceva i punti dove alcune ancora indugiavano, nei luoghi più ombrosi, come piccoli lembi di cielo caduti tra gli alberi. Passò davanti alla stalla e al pollaio ed entrò in uno stretto sentiero, nel fitto degli alberelli, dirigendosi verso una di quelle zolle fiorite. Balthazar, che lo precedeva ancora una volta, ringhiò debolmente. Il vecchio Jolyon lo toccò con il piede, ma il cane rimase immobile, come se non potesse proseguire, e sollevò il pelo lentamente, lungo il dorso lanoso. Fosse il brontolio, o l’aspetto del pelo ritto del cane, o la sensazione che naturalmente prova un uomo nel bosco, anche il vecchio Jolyon sentì qualcosa, come un brivido lungo la schiena. C’era una svolta nel sentiero, e là, sopra un vecchio tronco muscoso, era seduta una donna. Guardava davanti a sé, e lui ebbe appena il tempo di pensare: «È entrata qui abusivamente: bisogna che faccia mettere una barriera!», che lei si voltò. Potenze celesti! Era il viso che aveva visto a teatro, proprio la donna cui aveva pensato poco prima! Nello stupore del primo momento, tutto gli apparve confusamente, come se lei fosse uno spirito: forse, per l'effetto bizzarro del sole che cadeva obliquamente sul vestito di lei, di un grigio violaceo. Ma, poi, la donna si alzò e rimase in piedi sorridendo, con il capo piegato un po’ da una parte.
Il vecchio Jolyon pensò: «Com'è bella!». Lei non parlava e neanche lui: e ne comprese il perché con una certa sorpresa. Senza dubbio, qualche dolce ricordo l'aveva condotta in quel luogo, e lei non voleva rompere l’incanto con una spiegazione banale.
— Non lasciate che il cane vi tocchi il vestito, — disse lui: — ha le zampe bagnate. Ehi, vieni qui!».
Ma il cane Balthazar continuò ad avanzare verso la visitatrice, che abbassò la mano e lo accarezzò. Il vecchio Jolyon disse in fretta:
— Vi ho vista a teatro l’altra sera, voi non mi avete notato.
— Sì, che vi ho notato, invece.
Lui si sentì sottilmente lusingato, come se lei avesse aggiunto: «Pensate forse che si possa non notarvi?»
— Sono tutti in Spagna, — osservò bruscamente. — Sono solo; e l’altra sera ho fatto una corsa in città per andare a teatro. La Ravogli è una brava artista. Avete visto la stalla?
In una situazione così piena di mistero, e quasi di emozione, lui mosse istintivamente verso quel pezzo di proprietà, e lei gli camminò accanto. Il suo corpo ondulava leggero nel camminare, con un non so che di francese nei movimenti: anche il suo vestito grigio era un po' in stile francese. Lui osservò due o tre fili d’argento nella massa dei capelli ambrati: strani capelli, per il contrasto con gli occhi scuri e col volto dal caldo pallore. Un improvviso, fuggevole sguardo degli oscuri occhi vellutati lo turbò profondamente: come se ora venisse da qualche luogo profondo e lontano, quasi da un altro mondo, o almeno da qualcuno che non avesse molta familiarità con queste sensazioni. E disse meccanicamente:
— Dove abitate adesso?
— In un piccolo appartamento a Chelsea.
Lui non voleva sapere ciò che lei facesse; non voleva sapere nulla; ma la sciocca parola gli uscì, suo malgrado, dalle labbra:
— Sola?
Accennò di sì, col capo. Era un sollievo sapere questo. E improvvisamente, lui pensò che, solo per un capriccio del destino, lei non era la padrona di quel bosco, intenta a mostrare la stalla a lui, semplice visitatore.
— Sono tutte Alderney4 di razza — brontolò: — danno il latte migliore. Questa è una bella bestia. Ohè, Myrtle!
La mucca fulva, dagli occhi dolci e scuri come quelli di Irene, stava perfettamente immobile, in attesa di essere munta: si girò a guardarli con l’angolo degli occhi lucidi, miti e cinici, mentre dalle sue labbra grige una pioggerella di saliva filava verso la paglia. Si sentiva odore di fieno, di vaniglia e di ammoniaca, nella luce fosca della stalla fresca; e il vecchio Jolyon aggiunse:
— Venite su, a pranzo, con me. Vi rimanderò a casa con la vettura. Vide la lotta che si svolgeva in lei: naturale, senza dubbio, per le sue memorie. Ma voleva la sua compagnia; un viso grazioso, un corpo affascinante, la bellezza. Era stato solo tutto il pomeriggio. Forse i suoi occhi erano pensierosi, perché lei rispose:
— Grazie, zio Jolyon. Mi piacerebbe molto.
Lui si fregò le mani e disse:
— Benissimo! Andiamo, allora!
E, preceduti dal cane Balthazar, risalirono il campo. Ora il sole era quasi all’altezza dei loro volti, e lui poté osservare, non soltanto quei fili d’argento, ma anche delle piccole rughe leggere, che imprimevano alla sua bellezza una finezza di medaglia antica: quella particolare impronta di una vita non divisa e conosciuta dagli altri.
«La farò entrare dalla terrazza,» pensò: «E non voglio trattarla come una visitatrice qualunque».
— Che cosa fate tutto il giorno? — domandò lui.
— Insegno musica; e poi ho anche un’altra occupazione.
— Il lavoro! — disse il vecchio Jolyon, raccogliendo la bambola dall’altalena e lisciando il suo grembiulino nero. — Nessun rimedio è così efficace come il lavoro, vero? Ora non faccio nulla. Tiro avanti. E qual è l’altra occupazione?
— Cerco di aiutare le donne che si sono rovinate l'esistenza.
Il vecchio Jolyon non intese, a tutta prima. «Rovinate l'esistenza?» ripeté; poi comprese, con un senso di disgusto, che lei intendeva dire esattamente ciò che avrebbe lui stesso detto, se avesse usato quell’espressione. Dare una mano alle Maddalene di Londra! Che occupazione misteriosa e terribile!
La curiosità vinse la ripugnanza, così lui le chiese:
— Perché? Che cosa fate per loro?
— Non molto: non ho molti soldi. Posso dare solo la mia simpatia, e, qualche volta, del cibo. Involontariamente, il vecchio Jolyon cercò la borsa con la mano. Poi disse in fretta:
— Come fate a trovarle?
— Vado in un ospedale.
— Un ospedale!
— Ciò che mi fa più male è vedere che tutte, una volta, erano abbastanza belle.
Il vecchio Jolyon raddrizzò la bambola.
— La bellezza! — esclamò: — Ah! sì! Un brutto affare! — e mosse verso la casa.
Passando per una porta-finestra alla francese, dalle persiane ancora abbassate, la precedette nella camera in cui soleva studiare il “Times” e le pagine di una rivista agricola, con grandi figure di barbabietole e simili, che servivano a Holly come materiale per dipingere.
— La cena sarà pronta fra mezz’ora. Volete lavarvi le mani? Vi accompagnerò nella camera di June.
Vide che lei si guardava intorno, ansiosamente. Quanti cambiamenti da quando aveva, per l’ultima volta, visitato quella casa con suo marito, o col suo amante, o forse con entrambi — lui non sapeva, né lo poteva dire! Tutto quello era avvolto dalle tenebre, e lui preferiva lasciarlo così. Ma quali mutamenti!
Quando fu nell’atrio disse:
— Mio figlio Jo è un pittore, sapete. Ha molto buon gusto; non il gusto mio, si capisce; ma l’ho lasciato fare a modo suo.
Lei rimaneva in piedi, perfettamente tranquilla, e i suoi sguardi vagavano lungo il salone e la sala di musica, com'erano adesso, quasi uniti, sotto la gran luce azzurra della volta. Il vecchio Jolyon ebbe di lei una strana impressione. Cercava forse di evocare qualcuno, dalle ombre di quello spazio tutto colorato di grigio-perla e d’argento? Lui avrebbe preferito una tinta dorata: più solida e vivace. Ma Jo aveva dei gusti francesi: e ne era venuta fuori quella tinta sfumata, come se sulle pareti fosse rimasto il fumo delle sigarette che il ragazzo fumava di continuo, interrotta qua e là da piccoli sprazzi di azzurro e di cremisi. Non era il suo sogno!
Mentalmente lui aveva coperto quelle pareti di antichi capolavori in cornici dorate, comprate in tempi in cui la quantità era considerata preziosa. E ora, dov’erano? Venduti per poco o nulla! Quel qualche cosa che lo faceva — lui solo di tutti i Forsyte — camminare coi tempi, gli aveva impedito di lottare per conservarli. Però nel suo studio c’era ancora un quadro: Battelli olandesi da pesca al tramonto.
Cominciò a salire le scale con lei, adagio, perché sentiva male al fianco.
— Ecco le stanze del bagno, — disse. — Le ho fatte rivestire di piastrelle. Le camere dei bambini sono da questa parte. Ecco gli appartamenti di Jo e di sua moglie. Tutti comunicanti. Ma voi ricordate, immagino.
Irene assentì col capo. Passarono lungo la galleria ed entrarono in un’ampia camera, con un piccolo letto e alcune finestre.
— Questa è la mia camera, — disse il vecchio.
Ai muri erano appese le fotografie dei bambini, e degli schizzi ad acquerello; e lui aggiunse, un po’ incerto :
— Sono di Jo. Da qui si vede un paesaggio di prim’ordine. Si può vedere il Grand Stand di Epson, quando l’aria è chiara.
Il sole si era abbassato, ora, dietro la casa, e sul paesaggio si era posato un alone luminoso, emanazione della giornata lunga e felice. Poche case apparivano, ma una distesa di campi e di alberi luccicava debolmente, sino al lontano profilo delle colline.
— Anche la campagna si muta, — disse lui improvvisamente, — ma ci sarà ancora quando noi tutti saremo scomparsi. Guardate quei tordi: qui gli uccelli cantano dolcemente, al mattino. Sono lieto di avere scosso dalle mie mani la polvere di Londra.
Lei teneva il volto contro la vetrata, e lui fu colpito dalla sua espressione di tristezza. «Potessi farla apparire felice!» pensò. «È un viso grazioso, ma triste!». E presa la sua brocca di acqua calda, uscì sulla loggia.
— Questa è la camera di June, — disse aprendo la porta vicina e posando la brocca. — Credo che troverete quanto vi serve.
Chiuse la porta e se ne andò in camera sua. Mentre si lisciava i capelli con le grandi spazzole d’ebano e si bagnava la fronte con acqua di Colonia, continuava a meditare. Quella donna era giunta in un modo così strano, misterioso e quasi romantico; come se il suo desiderio di compagnia e di bellezza fosse stato esaudito — da chi? — da chi esaudiva quella sorte di desideri. Davanti allo specchio raddrizzò la sua persona ancora eretta, si passò la spazzola sui baffoni bianchi, inumidì le sopracciglia con acqua di Colonia, poi suonò il campanello.
— Ho dimenticato di avvertire che ho una signora a cena con me. Dite al cuoco che prepari qualche cosa di particolare, e a Beacon di tenere pronta la vettura con due cavalli, per le dieci e mezzo, per ricondurla in città. È addormentata Miss Holly?
La cameriera credeva di no. E il vecchio Jolyon, passando lungo la loggia, si diresse con passi furtivi, in punta di piedi, verso la camera dei bambini, e aprì la porta, i cui cardini faceva oliare in modo speciale, per poter entrare, la sera, senza essere udito. Ma Holly era addormentata e sembrava una piccola Madonna in miniatura. Le lunghe ciglia scure erano abbassate sulle guance, e il caro viso era in perfetta pace: certo, lo stomaco era a posto di nuovo. E il vecchio Jolyon, nella luce incerta della camera, si fermò in piedi accanto a lei, in adorazione. Era così affascinante, solenne e dolce, quel viso. E lui aveva in sé, in grado superiore al normale, la fortunata capacità di sentirsi rivivere nei giovani. Erano la sua vita futura, l’unica vita futura, forse, che la sua fondamentale sanità pagana potesse ammettere. Ecco la piccola creatura con tutto l’avvenire davanti a sé, e con il sangue di lui, un po’ del sangue di lui nelle minuscole vene. Eccola, la sua piccola compagna, che lui doveva rendere felice quanto era possibile, perché non conoscesse altro che amore. Sentì il cuore gonfiarsi nel petto, e uscì soffocando il suono degli stivali di cuoio. Nel corridoio, lo colpì una strana idea: il pensiero che delle bimbe potessero diventare simili a quelle donne che Irene diceva di aiutare. Donne che, tutte, erano state un giorno come quella piccola creatura addormentata! «Le darò un cheque» pensò fra sé. «Mi fa troppa pena pensare a loro!». Mai aveva potuto riflettere sulla condizione di quelle povere disgraziate: troppo profondamente ferivano quel nucleo di vera raffinatezza che era nascosto sotto strati di coerenza al senso di proprietà; troppo dolorosamente colpivano la cosa più profonda in lui, l’amore della bellezza, che poteva dargli, anche ora, un afflusso di sangue al cuore, nel pensare alla gioia di passare la serata con una bella donna. E scese ai piani inferiori per una scaletta a chiocciola. Là, in cantina, c’era del vino del Reno, che valeva almeno due sterline la bottiglia, uno «Steinberg Cabinet» migliore di qualunque «Johannisberg»5 che mai fosse sceso lungo la gola di un uomo: un vino perfetto, dolce come un vero nettare! Ne prese una bottiglia, con precauzione, come se fosse un bambino, e l’alzò al livello della luce, per guardarla. Racchiusa nel suo involucro di polvere, quella bottiglia chiara, dal collo sottile, gli diede un piacere profondo. Quel vino non era stato toccato da tre anni, da quando Io aveva trasportato dalla città, e doveva essere eccellente. Erano trentacinque anni che l'aveva comperato, e, grazie a Dio, il suo palato era ancora fine, e si era meritato il diritto di berlo. Lei l'avrebbe apprezzato: non c’era caso che si trovasse solo un tantino di spunto in una dozzina di bottiglie. Ripulì la bottiglia, ne cavò il turacciolo, la avvicinò al naso, ne aspirò il profumo e ritornò alla sala di musica.