CAPITOLO QUATTRO

1526 Words
CAPITOLO QUATTRO Mackenzie scoprì che McGrath non aveva esagerato quando aveva descritto Kingsville, Virginia, come un posto sperduto. La cittadina sorgeva nascosta tra Deliverance e Amityville. Emanava un'atmosfera rurale inquietante, ma con il fascino rustico che la maggior parte della gente probabilmente si aspettava dalle piccole città del sud. Quando arrivò sulla scena del crimine si era fatta notte. Il ponte apparve poco a poco all’orizzonte, mentre Mackenzie guidava con cautela lungo uno stretto vicolo sterrato, che non era di proprietà dello Stato, ma che non era nemmeno completamente chiuso al pubblico. Tuttavia, quando si trovò a meno di cinquanta metri dal ponte, vide che la polizia di Kingsville aveva sistemato una fila di cavalletti per impedire a chiunque di proseguire. Parcheggiò accanto ad alcune macchine della polizia locale e poi uscì nella notte. Erano stati installati dei riflettori, che illuminavano la ripida sponda, fino al lato destro del ponte. Fece per avviarsi, quando un poliziotto dall'aspetto giovane uscì da una delle auto. "Agente White?" chiese l'uomo, con un forte accento meridionale. "Sì, sono io” confermò. "Perfetto, può passare. Forse sarebbe più facile attraversare il ponte e scendere dall'altra parte dell'argine. Qui è troppo ripido.” Grata per il suggerimento, Mackenzie attraversò il ponte. Tirò fuori la sua torcia tascabile e ispezionò l'area mentre procedeva. Il ponte era piuttosto vecchio, sicuramente chiuso al traffico ormai da tempo. Sapeva che c'erano molte strutture simili sparse per la Virginia e il West Virginia. Quel ponte, chiamato Miller Moon Bridge stando alle informazioni trovate su Google durante i semafori rossi, era in piedi dal 1910 ed era stato chiuso al pubblico nel 1969. E anche se quella era l'unica informazione era stata in grado di ottenere, adesso poteva scoprire maggiori dettagli. Non c'erano molti graffiti lungo il ponte, ma la quantità di spazzatura era notevole. Bottiglie di birra, lattine di soda e sacchetti vuoti di patatine erano gettati ai margini del ponte, spinti contro i bordi di metallo che sostenevano le sbarre di ferro. Il ponte non era affatto lungo, doveva essere una settantina di metri, giusto la distanza necessaria per superare i ripidi argini e il fiume sottostante. Sembrava robusto sotto i suoi piedi, ma la struttura era esile, per così dire. Mackenzie era pienamente consapevole del fatto che stava camminando su semplici assi di legno a quasi sessanta metri di altezza. Proseguì verso la fine del ponte, scoprendo che il poliziotto aveva avuto ragione. Il terreno era molto meno scosceso da quella parte. Con l'aiuto della torcia, vide un sentiero battuto che si snodava attraverso l'erba alta. L'argine scendeva con un’inclinazione ad angolo retto, ma c'erano zone in piano e rocce sporgenti qua e là che facilitavano alquanto la discesa. "Ehi, ferma lì" disse una voce maschile dal basso. Mackenzie guardò in avanti, verso il bagliore dei riflettori, e vide un'ombra emergere e avanzare verso di lei. “Chi sei?" fece ancora l'uomo. "Mackenzie White, FBI” disse Mackenzie, prendendo il tesserino. L’uomo a cui apparteneva l’ombra apparve qualche istante dopo. Era un signore con una folta barba. Indossava un'uniforme della polizia, con il distintivo sul petto che lo identificava come lo sceriffo di Kingsville. Dietro di lui, Mackenzie intravedeva le sagome di altri quattro ufficiali. Uno di loro stava scattando foto muovendosi lentamente nell'ombra. "Oh, wow”, commentò lo sceriffo. “Avete fatto presto." Aspettò che Mackenzie si avvicinasse e poi le tese la mano. Stringendogliela, si presentò: “Sono lo sceriffo Tate. Piacere di conoscerla.” "Piacere mio” disse Mackenzie, dopo aver raggiunto la zona in piano in fondo alla discesa. Si prese un momento per studiare la scena, illuminata dai riflettori che erano stati sistemati in modo strategico lungo i fianchi dell'argine. La prima cosa che Mackenzie notò fu che il fiume non era affatto un fiume, almeno non nel punto in cui scorreva sotto il Miller Moon Bridge. C'erano solo delle pozzanghere di acqua stagnante sparse qua e là, intervallate da rocce spigolose e grossi macigni, che occupavano il letto del fiume. Uno dei massi era enorme, grande almeno quanto due auto. In cima ad esso c’era un corpo scomposto. Il braccio destro era chiaramente rotto, piegato in una posizione impossibile sotto il resto del corpo. Un rivolo di sangue scendeva lungo il masso, per lo più secco, ma ancora abbastanza bagnato da dare l’impressione di stare ancora scorrendo. "Uno spettacolo orribile, vero?" commentò Tate, in piedi accanto a lei. "Già. Cosa può dirmi di certo al momento?” "Dunque, la vittima è un maschio di ventidue anni. Kenny Skinner. A quanto ho capito, è imparentato con uno dei suoi grandi capi.” "Esatto. È il nipote del vicedirettore dell'FBI. Quanti tra i suoi uomini lo sanno?” "Solo io e il mio vice”, la rassicurò Tate. “Abbiamo già parlato con i suoi amici di Washington. Sappiamo di dover mantenere il massimo riserbo.” "Grazie", disse Mackenzie. “Ho sentito che è stato rinvenuto un altro corpo qui, qualche giorno fa. È vero?" "Tre mattine fa, sì” confermò Tate. “Una donna di nome Malory Thomas." "Qualche indizio che si tratti di un delitto?" "Beh, era nuda. E i suoi vestiti sono stati trovati sul ponte. A parte questo, non c'era niente. Abbiamo pensato che fosse solo un altro suicidio.” "Ce ne sono molti da queste parti?" "Sì” ammise Tate con un sorriso nervoso. “Può dirlo forte. Tre anni fa, sei persone si sono uccise saltando giù da questo fottuto ponte. È stato una specie di record in tutto lo stato della Virginia. L'anno dopo erano tre. L'anno scorso, cinque.” "Erano tutti del luogo?" volle sapere Mackenzie. "No. Di quelle quattordici persone, solo quattro vivevano nel raggio di ottanta chilometri.” "E che lei sappia, esiste una qualche leggenda metropolitana che possa spiegare perché così tante persone scelgano questo ponte per togliersi la vita?" "Ci sono delle storie di fantasmi, quello sì" disse Tate. “Ma c'è una storia di fantasmi legata a quasi tutti i ponti dismessi nel paese. Non saprei. Io do la colpa al gap generazionale. I giovani d’oggi credono che l’unica soluzione possibile quando vengono feriti sia farla finita. È piuttosto triste.” "E che mi dice degli omicidi?" proseguì Mackenzie. “Quanti ne avete a Kingsville?" "Ce ne sono stati due l'anno scorso. E finora, solo uno quest'anno. È una città tranquilla. Tutti conoscono tutti e, se non ti piace qualcuno, gli stai semplicemente alla larga. Perché lo chiede? Crede che stavolta si tratti di omicidio?” "Non lo so ancora", disse Mackenzie. “Due corpi nell'arco di quattro giorni, nella stessa posizione. Penso che valga la pena indagare. Per caso sa se Kenny Skinner e Malory Thomas si conoscessero?” "Probabilmente sì, anche se non so a che livello. Come le dicevo... tutti conoscono tutti, qui a Kingsville. Ma se mi sta chiedendo se Kenny si sia suicidato perché lo ha fatto Malory, ne dubito. C'erano cinque anni di differenza tra loro e non frequentavano gli stessi giri, a quanto ne so”. "Le dispiace se do un'occhiata?" chiese Mackenzie. "Faccia pure” disse Tate allontanandosi subito da lei per unirsi agli altri agenti che stavano perlustrando la scena. Mackenzie si avvicinò con apprensione al masso dove si trovava il corpo di Kenny Skinner. Più si avvicinava, più si rendeva conto dei tremendi danni che aveva subito nell’impatto. Aveva visto alcune cose piuttosto orribili nel suo lavoro, ma quello era tra i peggiori. Il sangue proveniva da una zona in cui sembrava che la testa di Kenny si fosse schiantata contro la roccia. Non si preoccupò di esaminarla da vicino, perché tutto quel nero e rosso illuminati dai riflettori non era qualcosa che voleva rivedere nella sua mente quella notte. La terribile ferita nella parte posteriore della testa mostrava i suoi effetti sul resto del cranio, distorcendo i tratti del viso. Vide anche che il petto e lo stomaco sembravano essere stati gonfiati dall'interno. Fece del suo meglio per guardare oltre, controllando gli abiti di Kenny e la pelle esposta per eventuali segni di colluttazione. Nel fascio di luce dei riflettori era difficile dirlo con certezza, e dopo diversi minuti, Mackenzie era riuscita a trovare nulla. Quando si allontanò, sentì il proprio corpo rilassarsi. Senza accorgersene, era stata in tensione durante l’esame del cadavere. Tornò dallo sceriffo Tate, che stava parlando con un altro poliziotto, dando disposizioni per informare la famiglia della vittima. "Sceriffo, pensa che potrebbe farmi avere la documentazione sui quattordici suicidi degli ultimi tre anni?" "Certo, posso farlo. Farò una chiamata da qui tra un attimo e mi assicurerò di farle trovare tutto alla stazione di polizia. E poi... c'è qualcuno con cui probabilmente dovrebbe parlare. Si tratta di una signora in città che lavora come psichiatra e insegnante di sostegno. Mi è stata appiccicata al culo per l'ultimo anno o giù di lì, insistendo che non fosse possibile che tutte quelle morti a Kingsville fossero suicidi. Potrebbe essere in grado di offrirle qualche informazione che potrebbe non trovare nei rapporti.” "Sarebbe grandioso." "Farò in modo di farle avere il suo recapito insieme alla documentazione. Ha finito qui?” "Per ora, sì. Potrei avere il suo numero, per contattarla più facilmente?” "Certo. Ma questo dannato affare è difettoso. Dovrei aggiornarlo. Avrei dovuto farlo circa cinque mesi fa. Quindi se mi chiama e parte la segreteria, non è perché la sto ignorando. La richiamerò appena posso. Maledetto aggeggio, odio i cellulari.” Dopo essersi sfogato sulla tecnologia moderna, Tate le diede il proprio numero di cellulare, che Mackenzie memorizzò in rubrica. "Ci vediamo" disse Tate. “Il medico legale sta venendo qui. Sarò dannatamente felice quando potremo spostare questo corpo.” Sembrava una cosa insensibile da dire, ma quando Mackenzie tornò a guardare e vide di nuovo la scena raccapricciante, non poté fare a meno di essere d’accordo con lo sceriffo.
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