Capitolo I-2

2864 Words
«Non ancora» rispose il giovine. «Eppure sento che la testa del coniglio comincia a diventar calda.» «Effetto del calore dell'acqua.» «E che la carne freme.» «Non vedo muoversi le gambe.» Ad un tratto mandò un grido di stupore; il coniglio aveva aperti gli occhi e fissava il dottore con le pupille dilatate. «Ti sembra morto ora?» disse Toby, con accento beffardo. «Ti guarda!» esclamò il giovine. «Lo vedo.» «Agita le zampe!» «E respira anche.» «Miracolo!... Miracolo!...» «Zitto, James, non gridar tanto forte.» «È meravigliosa questa resurrezione!» «Non dico di no.» «Una scoperta che metterà sottosopra il mondo.» «Niente affatto, perché io mi guarderò bene dal divulgarla. Non siamo che in tre sole persone a conoscerla: io, tu ed il notaio del borgo, quell'eccellente signor Max.» «Perché la conosce anche il notaio?» chiese Brandok. «Lo saprai più tardi: guarda il risultato per ora.» Aveva levato dalla vaschetta il coniglio e l'aveva messo sul tavolino, avvolgendolo in un pezzo di stoffa di lana. L'animale aveva gli occhi aperti, respirava liberamente raggrinzando il naso, però si vedeva che era debolissimo, non riuscendo a reggersi sulle zampe, né cercava di fuggire. Doveva essere frastornato. «Non morrà?» chiese Brandok. «Stasera lo vedrai mangiare e correre assieme ai suoi compagni che tengo giù nel mio giardino. Non è il primo che io faccio resuscitare; la settimana scorsa ne ho fatto rivivere un altro dinanzi al notaio ed anche quello dormiva da quattordici anni. Ora mangia, saltella e dorme come gli altri, e tutti i suoi organi funzionano perfettamente bene.» «Toby,» esclamò Brandok, con profonda ammirazione «tu sei un grand'uomo; tu sei il più grande scienziato del secolo.» «Di questo, o dell'altro?» chiese il dottore. «Che domanda è questa?» «Mio caro James, tu devi aver fame ed il pranzo è pronto. L'aria di mare mette appetito e la mia vecchia Magge mi ha promesso un superbo piatto di pesce. Lasciamo qui il coniglio e andiamo a riempirci lo stomaco: la cuoca sarà già arrabbiata per il ritardo. Avremo anche il notaio al pudding [6] .» «Perché il notaio?...» Il dottore, invece di rispondere, si affacciò alla finestra, e vedendo un garzone che stava innaffiando le zolle del giardino, gli gridò: «Tom, avverti Magge che siamo pronti per assaggiare le sue triglie e le sue dorate, e per le due attacca il poney [7] . Dobbiamo fare una gita allo scoglio di Retz». Cinque minuti dopo, il dottore e il signor Brandok seduti in una elegante saletta da pranzo, dinanzi ad una tavola bene imbandita, gustavano con molto appetito le grosse ostriche di New Jersey, le più deliziose che si trovino sulle coste orientali dell'America settentrionale, le dorate e le triglie preparate dalla brava Magge, innaffiando le une e le altre con dell'eccellente vino bianco dei vigneti della Florida. Il dottore non parlava; pareva tutto intento a divorarsi quei deliziosi pesci, i migliori forse che possegga l'Atlantico settentrionale. Brandok invece, cosa assolutamente nuova, sembrava che non fosse più tormentato dallo spleen; chiacchierava per due, tempestando il compagno di domande su quella meravigliosa scoperta che doveva, a sentir lui, portare la rivoluzione nel mondo. Con tutto ciò non riusciva che a strappare qualche sorriso allo scienziato. «Dunque queste triglie e queste dorate ti hanno reso muto» gridò ad un tratto Brandok, che cominciava ad arrabbiarsi. «Sono venti minuti che i tuoi denti continuano a masticare e che invece la tua lingua rimane immobile.» «No, mio caro James, io penso» rispose il dottore, ridendo. «Pare che tu abbia dimenticato la tua scoperta.» «Tutt'altro.» «Allora parliamone.» «Al pudding.» «Che cosa c'entra quel pasticcio?» «Ti ho detto che verrà ad assaggiarlo anche il notaio della borgata, quel bravo signor Max.» «Ma insomma che cosa c'entra lui?» «Perdinci, se c'entra! Se dopo cent'anni nessuno più si ricordasse di me e mi lasciassero dormire per sempre? Tanto varrebbe morire.» «Toby!» esclamò Brandok «Che cosa hai intenzione di fare?» «Vedere come camminerà il mondo fra cent'anni e null'altro.» «Come! Tu vorresti...» «Fare un sonno di venti lustri [8] .» «Sei pazzo?» «Non lo credo» rispose il dottore con voce tranquilla. Brandok aveva picchiato sulla tavola un pugno così violento, da far traballare i bicchieri e rovesciare una bottiglia. «Tu vorresti?...» gridò. «Farmi rinchiudere nel rifugio che mi son fatto preparare sulla cima dello scoglio di Retz, per risvegliarmi fra cento anni, mio caro. Si incaricheranno i discendenti del notaio e il futuro sindaco di Nantucket o i suoi successori, a farmi ritornare in vita. Lascio ventimila dollari appunto per farmi resuscitare, unitamente alla fiala contenente il misterioso liquido che mi dovranno iniettare nei punti indicati nel mio testamento.» «Ti ucciderai!» «Allora vuol dire che tu non hai alcuna fiducia nella mia grande scoperta.» «Sì, piena fiducia; però tu non sei un coniglio e poi cento anni non sono quattordici» disse Brandok. «Abbiamo sangue e muscoli al pari delle bestie e un cuore che funziona egualmente. Volevo farti la proposta di addormentarti con me; ora vi rinunzio.» «Tu hai pensato a me?» «Sì, sperando che con un riposo di cento anni il tuo spleen finirebbe per andarsene.» «Se l'altro giorno volevo gettarmi dal faro della Libertà! Vedi in quale conto ormai tengo la mia vita. Mi vuoi per compagno, Toby? Sono pronto. Anche se morissi, non perderei nulla.» «Dunque, ti piace la mia idea?» «Sì, francamente.» «Sei eccentrico come un vero inglese.» «E non sono forse un inglese?» disse Brandok ridendo. Il dottore s'alzò, andò a prendere su una mensola una polverosa bottiglia che doveva contare un bel numero d'anni e la sturò, empiendo i due bicchieri. « Medoc [9] del milleottocentoottantotto» disse. «Dopo ventiquattr'anni di riposo deve essere diventato eccellente. Alla nostra resurrezione nel duemilatre!» esclamò, alzando il bicchiere. Lo svuotò di un fiato, stette qualche minuto sovrappensiero, poi disse: «Quanto possiedi, James...?». «Cinque milioni di lire.» «In cartelle dello Stato?» «Sì.» «Devi cambiarle in oro, amico mio. Fra cent'anni quelle cartelle potrebbero non avere più valore alcuno, mentre invece l'oro rimane sempre oro, sia che si trovi in verghe od in pezzi da venti lire. Io posseggo soltanto ottantamila dollari, tuttavia spero che mi basteranno, anche fra cento anni, per non morir di fame. Sono già a posto nel piccolo sotterraneo che ho fatto scavare sotto la mia tomba, in una cassaforte, con la chiave a segreto.» «E sei certo che i nostri corpi si conserveranno?» «Meravigliosamente» disse il dottore. «Ci conserveremo come fossimo carni gelate.» «Geleremo?» «Sì.» «Chi metterà del ghiaccio nella nostra tomba?» «Non ce ne sarà bisogno. Ho scoperto un certo liquido che abbasserà la temperatura della nostra tomba a 20 gradi sotto lo zero.» «E si manterrà?» «Finché non sfonderanno la nostra cupola di cristallo per farci resuscitare. Staremo benissimo là dentro, te lo assicuro. Ah! ecco quel bravo notaio; giunge a tempo per assaggiare il pudding della mia cuoca e per vuotare un bicchiere di questo delizioso medoc.» Nella stanza vicina aveva udito Magge che gridava: «È sempre in ritardo, signor Max! Cinque minuti ancora e non assaggiava più il mio pudding. Un'altra volta me lo farà bruciare». La porta del salotto s'era aperta fragorosamente ed il notaio era entrato con un passo così pesante, da far traballare le bottiglie ed i bicchieri. Il signor Max era un uomo sulla sessantina, grasso come una botte e col viso rubicondo nel cui mezzo faceva bella mostra un naso che poteva stare a paragone, senza arrossire, con quello del guascone Cyrano di Bergerac [10] . «Buon appetito, signori» gridò, con una voce da granatiere. «Come va, signor Brandok? V'è passato lo spleen dopo la vostra gita a New York?» «Comincia a lasciarmi un po' di tregua, signor Max,» rispose il giovine «e spero che fra alcuni giorni se ne starà tranquillo per un buon secolo. Poi vedremo.» «Ah!... ho capito» disse il notaio, ridendo. «Toby ha trovato un compagno.» «Che mi terrà buona compagnia» disse il dottore, empiendo un bicchiere. «Assaggiate questo medoc, mio caro notaio; non se ne trova di simile nemmeno in Francia.» Magge entrava in quel momento, portando su un piatto d'argento un bel pasticcio dalla crosta dorata, che fumava ancora e che spandeva un profumo delizioso. «È attaccato il poney?» chiese il dottore. «Sì, padrone» rispose la cuoca. «Allora sbrighiamoci.» In pochi minuti fecero sparire il pudding, vuotarono una tazza di tè, poi scesero nel cortile, dove li attendeva un carrozzino tirato da un piccolo cavallo bianco che sembrava impaziente di partire. «Andiamo» disse il dottore, raccogliendo le briglie ed impugnando la frusta. «Fra mezz'ora saremo allo scoglio di Retz.» Era una splendida giornata d'autunno, rinfrescata da una brezza vivificante impregnata di salsedine, che soffiava dal settentrione. L'Oceano Atlantico era in perfetta calma, quantunque il flusso avventasse fra le scogliere che proteggevano le spiagge dalle ondate le quali s'infrangevano con mille boati, balzando e rimbalzando. Delle barche pescherecce con le loro belle vele dipinte di giallo e di rosso a strisce e macchie nere, che davano loro l'apparenza di gigantesche farfalle, spiccavano vivamente sull'azzurro cupo delle acque, spingendosi lentamente al largo, mentre in alto stormi di grossi uccelli marini, di gabbiani e di fregate volteggiavano capricciosamente. Uscito dalla cinta, il piccolo cavallo aveva preso una via abbastanza larga che costeggiava l'oceano, slanciandosi ad un trotto rapidissimo, senza che il dottore avesse avuto bisogno di eccitarlo con la frusta. Brandok era ridiventato taciturno, come se lo spleen lo avesse ripreso; il notaio pure non parlava, tutto occupato a fumare la sua pipa che eruttava un fumo denso come la ciminiera d'un battello a vapore. Il dottore badava che il poney filasse diritto e non mettesse le zampe in qualche crepaccio o s'avvicinasse troppo alla scogliera, che in quel luogo cadeva a picco sull'oceano. Dei ragazzi di quando in quando sbucavano dalle macchie di pini e di abeti che si prolungavano verso l'interno dell'isola e rincorrevano per qualche tratto il carrozzino, gridando a squarciagola: «Buona passeggiata, dottore!». Il paesaggio variava rapidamente, accennando a diventare più selvaggio, man mano che s'accostavano alla spiaggia orientale dell'isola. Non si vedevano più casette né abitanti. Soltanto le macchie dei pini e degli abeti diventavano più numerose e più folte e le scogliere più alte e più ripide; le onde dell'Oceano Atlantico vi s'infrangevano con una violenza tale, che pareva si sparassero delle cannonate in fondo ai piccoli fiordi scavati dall'eterna azione delle acque. Era un rombo continuo, sempre più fragoroso, che impediva ai tre amici di parlare. La strada era finita, però il poney non cessava di trottare, senza manifestare alcuna fatica e faceva traballare maledettamente la carrozzella. Ad un tratto si fermò dinanzi ad una parete rocciosa, dietro la quale si udiva l'oceano muggire furiosamente. «Siamo giunti» disse il dottore, balzando a terra. «Ecco lo scoglio di Retz.» «E lassù hai preparato la nostra tomba?» chiese Brandok. «Ed in una posizione bellissima» rispose il dottore. «Il muggito delle onde ci canterà la ninna nanna, senza tregua, fino al giorno della nostra resurrezione.» «Se torneremo in vita.» «Dubiti ancora, James?» «Non prenderti nessun pensiero per i miei dubbi. Ti ho detto che la vita ormai è diventata troppo pesante per me, quindi poco m'importerebbe anche se non mi risvegliassi mai più. Mostrami dunque la nostra ultima dimora.» «Non l'ultima.» «Come vuoi.» «Vieni, James.» Legò il poney al tronco d'una betulla, poi prese un piccolo sentiero scavato nella viva roccia che s'innalzava a zigzag. La rupe, chiamata impropriamente lo scoglio di Retz, era di mole enorme, alta un centinaio di metri, e formava il capo più alto dell'isola, verso oriente. La sua fronte massiccia, tagliata a picco, opponeva un formidabile ostacolo all'irrompere delle onde dell'Atlantico, quindi non vi era pericolo che cedesse, nemmeno dopo cent'anni. Giunti sulla cima, che era piatta, anziché terminare a punta, Brandok scorse una muraglia, della circonferenza di quattro o cinque metri, che era sormontata da una cupola di cristallo munita di un parafulmine altissimo. «È quella la nostra ultima dimora?» chiese. «Sì» rispose il dottore. «Quando l'hai fatta costruire?» «Lo scorso anno.» «Lo sanno gli abitanti della borgata?» «No, perché ho fatto venire gli operai ed i vetri da New York.» «E la rispetteranno?» «Lo scoglio è mio: l'ho acquistato dal comune, con contratto regolare, ed il notaio ha l'ordine di far distruggere il sentiero che conduce quassù e di cingere la scogliera con una cancellata di ferro altissima.» «Che ho già ordinata» disse il signor Max. «Nessuno verrà a disturbarvi.» «Entriamo» disse il dottore. Con una chiave a segreto aprì una porticina di ferro tanto bassa che non si poteva entrarvi che carponi, ed i tre uomini si introdussero nel piccolo edificio. L'interno era tutto coperto da vetri molto spessi incastrati in robuste cerniere di rame, e di notevole non aveva che un letto molto largo e basso, con coperte piuttosto pesanti ed un piccolo scaffale su cui stavano delle bottiglie e delle siringhe. «Ecco la mia dimora, o meglio la nostra» disse Toby, rivolgendosi all'amico. «Ti rincresce?» «Niente affatto» rispose il giovane, che guardava l'oceano attraverso la cupola di vetro. «Spero che nessuno verrà a disturbarci prima del giorno che avremo fissato nel nostro testamento. Che piacere udire il fragore delle onde! Ecco una bella compagnia.» «Ritengo inutile che tu ti provveda di un letto. Questo è più che sufficiente per tutti e due.» «Ed il sotterraneo dove hai depositato i tuoi valori?» Il dottore si curvò, levò una piastra di ferro che si trovava ai piedi del letto e mostrò una stretta gradinata scavata nella viva roccia, che doveva mettere in qualche cella sotterranea. «La cassaforte si trova là dentro» disse. «Vi rinchiuderò anche i miei valori. Domani andrò a New York a cambiare la mia carta e le mie azioni ferroviarie in oro. Ne avremo abbastanza al nostro risveglio. A quando il nostro sonno?» «Fra otto giorni; appena avranno chiusa la base della roccia con la cancellata.» «Una domanda ancora, mio caro dottore. Se si dimenticassero di risvegliarci? Sai che io non ho nessun parente.» «Io ho una sorella che ha sette figli» rispose Toby. «Spero che fra cent'anni esisterà ancora qualche pronipote per venire a riaprirci gli occhi, o per impossessarsi del nostro tesoro nel caso che noi fossimo proprio morti; e poi vi è il notaio ed ho anche depositato un atto presso il sindaco. Non temere James: qualcuno verrà a raccogliere la nostra eredità.» «I miei successori non si dimenticheranno di voi, siatene certi» disse il signor Max. «Hai nessun'altra obiezione da fare, James?» chiese Toby. «No» rispose il giovane. «Sei risoluto a tentare l'esperimento?» «Hai la mia parola.» «Allora, torniamo a casa mia a fare gli ultimi preparativi.» Uscirono, chiusero la porticina, scesero lo scoglio e salirono sulla carrozzella senza aggiungere altra parola. Dobbiamo confessare però che tutti e tre erano visibilmente commossi. Otto giorni dopo, prima del tramonto del sole, Brandok, il dottore ed il notaio lasciavano inosservati la borgata e si mettevano in cammino per lo scoglio di Retz. Avevano ormai prese tutte le disposizioni per quella dormita che doveva durare cent'anni, e tutte le misure perché in quel lunghissimo tempo nessuno si recasse a disturbarli. Il signor Brandok aveva già fatto trasportare nottetempo i suoi milioni e li aveva rinchiusi nella cassaforte nascosta nel piccolo sotterraneo; aveva venduto tutti i suoi possedimenti, lasciando una parte del ricavato al comune dell'isola purché vegliasse sulla tomba; il dottore aveva regalato la sua casetta alla sua cuoca e fatto innalzare intorno alla piccola costruzione la cancellata di ferro sulla quale aveva fatto collocare parecchie lastre di metallo con la scritta: Proprietà privata del dottor Toby Holker. Quando giunsero sulla cima della rupe il sole stava per tramontare in un oceano di fuoco. Tutti e tre s'erano fermati, guardando l'oceano che fiammeggiava sotto i riflessi del tramonto e che s'increspava leggermente sotto la brezza della sera. In lontananza un grande piroscafo fumava, dirigendosi verso la costa americana; lungo le scogliere dell'isola alcune barche pescherecce s'avanzavano dolcemente, tornando verso il porto della piccola borgata; alla base della rupe le onde s'infrangevano rompendo il silenzio che regnava sull'immenso oceano. I tre uomini tacevano: il notaio sembrava profondamente commosso; Brandok e Toby un po' preoccupati. Rimasero così parecchi minuti, guardando ora le barche ed ora il sole che pareva si tuffasse in acqua; poi ad un tratto il dottore si scosse, dicendo: «Non ti penti della parola data, James?». «No» rispose Brandok, con voce calma. «Anche se non dovessimo risvegliarci mai più?» «Nemmeno.» «Signor Max, salutiamoci ed abbracciamoci, poiché non ci rivedremo mai più, a meno di un miracolo.» «Bisognerebbe che campassi centoquarant'anni, una età impossibile» disse il notaio, sospirando. «Io morrò, mentre voi resusciterete.» «Un abbraccio, amico, e lasciamoci.» Il signor Max, vivamente commosso, con gli occhi umidi, si strinse fra le braccia il dottore, tenendoselo per qualche momento sul petto. «Addio, signor Brandok» disse poi, con voce rotta, porgendogli la mano. «Vi auguro di tornare in vita e di ricordarvi di me.» «Ve lo promettiamo» rispose il giovane. «Addio, signor Max: noi andiamo a dormire.» Il notaio s'allontanò, volgendosi più volte per un gesto d'addio; poi scomparve per il sentiero che conduceva alla base della rupe dove aveva collocato una grossa cartuccia di dinamite, per distruggerlo. «Vieni James» disse Toby, quando furono soli. «Guarda un'ultima volta l'oceano.» «L'ho guardato abbastanza, e poi non lo troveremo certo cambiato, se risusciteremo.» Aprirono la porticina ed entrarono nella loro tomba, che gli ultimi raggi di sole illuminavano a sufficienza, facendo scintillare la cupoletta di vetro. Toby prese dalla mensola una bottiglia e due bicchieri e la stappò. «Un buon bicchiere di champagne» disse, versando lo spumeggiante nettare. «Alla nostra resurrezione, James!» «O alla nostra morte, che per me sarà lo stesso» rispose il giovine, forzandosi di sorridere. «Almeno lo spleen non mi tormenterà più.» Vuotarono d'un fiato i bicchieri, poi il dottore chiuse in un plico alcuni documenti che collocò entro una cassetta di metallo. «Che cosa fai, Toby?» chiese Brandok. «Qui dentro vi sono le fiale contenenti il misterioso liquido che dovrà ridarci la vita, e insieme la ricetta che insegnerà come dovranno servirsene coloro che verranno a risvegliarci.» «Hai finito?» «Sì. Un altro bicchiere.» «Sia» rispose Brandok. Vuotarono la bottiglia, poi il dottore sturò una fiala ed empì due piccole tazze. Era un liquore rossastro, un po' denso, che aveva un profumo speciale. «Bevi» disse, porgendo una delle tazze a Brandok. «Cos'è?» «Il narcotico che ci addormenterà, o meglio che sospenderà la nostra vita e che impedirà alle nostre carni di corrompersi.» Il giovane prese la tazza con mano ferma, guardò il liquido in trasparenza, poi lo tracannò senza che un muscolo del suo viso avesse trasalito. «È un po' amaro, però non è cattivo» disse. «Ah! che freddo, Toby. Mi pare di avere un blocco di ghiaccio al posto del cuore.» «Non è nulla, e poi durerà poco. Gettati sul letto e copriti.» Mentre Brandok obbediva, il dottore bevve anch'egli la sua tazza, poi s'accostò barcollando ad un vaso di terra che si trovava in un angolo ed afferrato un martello che si trovava lì vicino, con un colpo vigoroso ne spezzò il coperchio, poi raggiunse frettolosamente il compagno. Una temperatura da Siberia aveva invaso la stanza. Pareva che da quel vaso misterioso uscisse una corrente d'aria gelata, come quella che spira nelle regioni polari. Il dottore guardò Brandok: il giovane non dava più segno di vita. Pareva che la morte l'avesse colto di colpo. «Fra... cento... anni...» ebbe appena il tempo di balbettare il dottore, e stramazzò a fianco dell'amico. Nello stesso momento l'ultimo raggio di sole si spegneva e le prime ombre della notte scendevano sul sepolcro.
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