CAPITOLO UNO
CAPITOLO UNO
Luanda stava attraversando il campo di battaglia ed evitò per un pelo un cavallo lanciato al galoppo. Si dirigeva verso la casupola dove Re McCloud intendeva trovare riparo: stringeva tra le mani la fredda lancia di ferro, tremando mentre camminava sul terreno polveroso di quella città che un tempo aveva conosciuto, la città del suo popolo. Erano mesi che veniva costretta a vederli massacrati e ora era giunta al limite. Qualcosa era scattato dentro di lei. Non le interessava il fatto che si stesse mettendo contro l’intero esercito dei McCloud: avrebbe fatto qualsiasi cosa per fermarli.
Luanda sapeva che ciò che stava per fare era una follia, che stava tenendo in mano la sua stessa vita e che McCloud l’avrebbe probabilmente uccisa. Ma spazzò quei pensieri dalla mente e continuò a correre. Era giunto il momento di fare ciò che era giusto, a ogni costo.
Attraverso l’affollato campo di battaglia, tra i soldati, scorse McCloud in lontananza mentre portava la povera ragazza urlante all’interno di una casa abbandonata, una piccola abitazione d’argilla. Sbatté la porta alle sue spalle quando vi fu entrato, sollevando una nuvola di polvere.
“Luanda!” si udì un grido.
Lei si voltò e vide Bronson, forse un centinaio di metri dietro di lei, che la rincorreva. Era rallentato dall’inarrestabile flusso di cavalli e soldati che lo costrinsero diverse volte a fermarsi.
Quella era la sua occasione. Se Bronson l’avesse raggiunta le avrebbe impedito di portare a termine la sua impresa.
Luanda allungò il passo, stringendo la lancia, e cercò di non pensare alla follia del gesto che stava per compiere e a quanto scarse fossero le sue possibilità di successo. Se interi eserciti non erano in grado di battere McCloud, se i suoi stessi generali e il suo stesso figlio tremavano di fronte a lui, che speranze aveva lei da sola?
Inoltre Luanda non aveva mai ucciso un uomo prima d’ora, né tantomeno un uomo della levatura di McCloud. Si sarebbe bloccata in quel momento? Poteva veramente arrivare di soppiatto fino a lui? Era così tremendo come Bronson le aveva detto?
Luanda si sentiva responsabile per quello spargimento di sangue, per la rovina della sua terra. Ripensando al passato si pentiva di aver accettato di sposare un McCloud, nonostante il suo amore per Bronson. Aveva imparato che i McCloud erano un popolo di ingovernabili selvaggi. Si rendeva ora conto di quanto i MacGil fossero fortunati ad avere l’Altopiano a dividerli e a tenerli riparati nella loro parte di Anello. Era stata un’ingenua e una stupida a credere che i McCloud non fossero così male come le avevano insegnato. Aveva pensato di poterli cambiare, aveva creduto che valesse la pena di diventare una principessa McCloud – e un giorno una regina – qualsiasi fosse il rischio da correre.
Ma ora aveva capito che si era sbagliata. Avrebbe rinunciato a tutto – al suo titolo, alle sue ricchezze, alla sua fama, a tutto quanto – se potesse tornare indietro e non aver mai incontrato i McCloud, potesse tornare in salvo tra la sua famiglia nella sua parte di Anello. Ce l’aveva con suo padre ora per aver organizzato quel matrimonio. Lei era giovane e ingenua, ma lui avrebbe dovuto saperlo meglio di lei. La politica era stata così importante per lui da portarlo a sacrificare la sua stessa figlia? Ce l’aveva con lui anche perché era morto, lasciandola sola in quella situazione.
Luanda aveva imparato, negli ultimi mesi, a cavarsela da sola, anche se non era facile, e ora aveva finalmente l’occasione si sistemare le cose.
Tremava quando raggiunse la piccola casa d’argilla e si trovò davanti a una porticina di quercia scura. Si voltò a guardare da entrambe le parti, timorosa che gli uomini di McCloud le saltassero addosso, ma con suo grande sollievo notò che erano tutti troppo occupati nello scompiglio che stavano creando per notarla.
Con la lancia sempre stretta in mano afferrò la maniglia e la ruotò più delicatamente che poté, pregando che McCloud non se ne accorgesse.
Entrò. Era buio e i suoi occhi si adattarono lentamente dopo essere stati a lungo alla forte luce della bianca cittadina. Là dentro era anche più freddo, e mentre varcava la soglia della casupola la prima cosa che le giunse all’orecchio furono i gemiti e lamenti della ragazza. Quando riuscì a vedere scorse McCloud, svestito dalla cintola in giù, che lottava sul pavimento con la ragazza che aveva totalmente spogliato. Lei gridava e piangeva, gli occhi sporgenti. McCloud le mise una delle sue enormi mani sulla bocca per farla tacere.
Luanda stentava a credere che la scena che aveva dinnanzi fosse reale e che lei stesse realmente per fare ciò che aveva premeditato. Fece un cauto passo avanti, le mani le tremavano, sentiva che le ginocchia cedevano, e pregò di avere la forza di arrivare in fondo. Strinse la lancia di ferro come se fosse la sua ancora di salvezza.
Dio, ti prego, dammi la forza di uccidere quest’uomo.
Sentiva McCloud che gemeva e ansimava mentre si saziava. Era implacabile. Le grida della ragazza sembrarono amplificarsi ad ogni suo movimento.
Luanda fece un altro passo, poi un altro ancora, fino a trovarsi a pochi metri da lui. Lo guardò, studiò il suo corpo cercando di decidere quale fosse il punto migliore dove colpirlo. Fortunatamente si era tolta la maglia metallica e aveva indosso solo una camicia di stoffa fina, ora pregna di sudore. Da lì sentì il suo odore e indietreggiò. Essersi tolto l’armatura era stata una mossa sbagliata da parte sua e Luanda decise che sarebbe stato il suo ultimo errore. Doveva sollevare la lancia con entrambe le mani e conficcarla nella schiena esposta di McCloud.
Quando i gemiti di McCloud raggiunsero l’apice, Luanda sollevò la sua arma. Pensò a come sarebbe cambiata la sua vita dopo quel momento; a come, nel giro di pochi secondi, niente sarebbe più stato lo stesso. Il regno dei McCloud sarebbe stato libero dal loro re tiranno; alla sua gente sarebbe stata risparmiata ogni ulteriore distruzione. Suo marito sarebbe salito al trono e finalmente tutto sarebbe andato bene.
Luanda era lì, paralizzata dalla paura. Tremava. Se non agiva subito non l’avrebbe mai fatto.
Trattenne il fiato, fece un ultimo passo avanti tenendo la lancia sopra la sua testa con entrambe le mani e improvvisamente cadde sulle ginocchia, conficcando il ferro con tutte le forze che aveva, pronta a spingerlo nella schiena dell’uomo.
Ma accadde qualcosa che non si era aspettata, e avvenne rapidamente, troppo velocemente perché lei riuscisse a reagire: all’ultimo momento McCloud si levò dalla sua traiettoria. Per la stazza che aveva, era molto più rapido di quanto Luanda potesse credere possibile. Rotolò su un lato, esponendo la donna che giaceva sotto di lui. Era troppo tardi perché Luanda potesse fermare il colpo.
La lancia continuò a scendere e, con grande orrore di Luanda, andò a conficcarsi completamente nel petto della ragazza.
La ragazza si sollevò di scatto a sedere, gridando e Luanda rimase atterrita nel vedere come la lancia le aveva profondamente perforato la carne, andandole dritta al cuore. Il sangue le sgorgava dalla bocca e lei guardava Luanda con orrore, con gli occhi di una vittima tradita.
Subito dopo cadde a terra, morta.
Launda rimase lì inginocchiata, ammutolita, traumatizzata, faticando a concepire ciò che era appena accaduto. Prima di riuscire a comprendere appieno la situazione, prima di rendersi conto che McCloud era sano e salvo, venne raggiunta da un colpo bruciante al volto, e cadde lei stessa a terra.
Mentre veniva scaraventata verso il pavimento, si rese conto a stento che era stato McCloud a darle un pugno, un colpo tremendo che l’aveva fatta letteralmente volare. Aveva effettivamente previsto ogni sua mossa, fin da quando era entrata nella stanza. Aveva finto di non essersene accorto. Aveva aspettato il momento giusto, l’occasione perfetta non solo per scansare il suo colpo, ma per ingannarla e farle uccidere nello stesso momento anche quella povera ragazza innocente, così che lei ne portasse addosso la colpa.
Prima che il mondo diventasse nero davanti ai suoi occhi, Luanda riuscì a scorgere di striscio il volto di McCloud. Stava ghignando, con la bocca aperta e il fiato lungo, come un animale selvaggio. L’ultima cosa che udì, prima che il suo enorme stivale si sollevasse e la colpisse in volto, fu la sua voce gutturale che lo faceva sembrare una bestia: “Mi hai fatto un favore,” disse. “Avevo comunque finito con lei.”