Chapter 2

2378 Words
Madeline sospirò di piacere. La portò con sé fino nel sotterraneo della sua residenza, dove lui aveva la stanza da letto, lo studio e un’immensa sala delle torture (oltre che un numero pressoché infinito di altre stanze, alcune delle quali Madeline doveva ancora scoprire). «Vai a lavarti. Disinfetta quelle sbucciature. Mettiti carina» le disse Diomedes, quando furono nel primo corridoio. «Ti aspetto vicino al camino». Madeline gli rivolse un lieve inchino e andò verso un bagno. Si spogliò e si fece una doccia, si disinfettò, si aggiustò i capelli, il trucco, le sopracciglia... passò nella cabina armadio e indossò un paio di sandali neri con il tacco a spillo, un reggiseno a balconcino di pizzo nero e una culotte intonata. Non doveva vestirsi troppo perché... be’, perché quella era la sua “grande serata”, come aveva detto Adrian. Quella sera Diomedes l’avrebbe marchiata a fuoco e lei sarebbe stata sua per sempre. Da un lato era così felice che il cuore rischiava di esploderle al solo pensiero, dall’altro era un po’ preoccupata per il dolore. Non sapeva dove Diomedes avrebbe deciso di marchiarla, ma supponeva che sarebbe stato devastante ovunque decidesse di farlo. Finì di prepararsi e andò verso il salone. Le tremavano letteralmente le gambe. Percorse tutto il corridoio con il cuore in gola. Aprì le grandi porte e scese i pochi gradini che la separavano dal livello principale. La prima volta in cui aveva visto quel posto era rimasta senza fiato. Le pareti coperte di strumenti di tortura dall’aspetto perfettamente funzionante, i tavoli, i cavalletti, le catene, i cavi, la grande gabbia sospesa (quella ora non c’era più), le panoplie con le fruste... Ora attraversò la sala senza vedere niente, fino ad arrivare vicino al camino. Il fuoco era acceso e scoppiettante. Diomedes era seduto su una poltrona di pelle nera, con un libro in mano. Lo chiuse e si voltò verso di lei. «Padrone, sono pronta» disse Madeline, con un filo di voce. Diomedes si alzò e le andò davanti. Le accarezzò una guancia. «Shh...» mormorò. «Non sei pronta, sei decisa... è una cosa diversa. Decisa e terrorizzata. Vieni...» Si risedette in poltrona, tirandola verso di sé. Madeline si accoccolò sulle sue cosce e lui iniziò ad accarezzarle le gambe. «Quello è il mio sigillo» le disse, indicandole il ferro che si stava arroventando nel fuoco. Madeline non l’aveva neanche notato. Non ci aveva fatto caso perché sembrava un attizzatoio. La parte finale, tuttavia, non era appuntita. Diomedes lo sollevò prendendolo per il manico e glielo mostrò. Terminava con un simbolo piatto simile a una sorta di ricciolo. «È una delta minuscola, nulla di stravagante» le spiegò lui. Madeline continuò a osservare il metallo rosso e incandescente finché Diomedes non rimise il marchio nelle fiamme. Era... era spaventoso. Lui risprese ad accarezzarle le cosce, facendogliele aprire. Le abbassò la culotte e le posò una mano sulla fica nuda. «Farà male» le disse. «Farà molto male». Madeline deglutì. «L-lo so». Diomedes finì di sfilarle le mutande e le accarezzò l’interno della coscia. «Ti marchierò qua. Ti farò sedere su quella sedia e ti bloccherò le caviglie, poi ti appoggerò il ferro rovente sulla pelle e ce lo terrò qualche secondo». Madeline rabbrividì, guardando la sedia di cui parlava. Era simile a una sedia ginecologica, solo che si poteva regolare l’altezza delle gambe e aveva anche dei braccioli a cui legare chi si sedeva. Era già stata là sopra... non era la sedia a spaventarla. Diomedes le fece scivolare un seno fuori dal reggiseno e si chinò a succhiarle il capezzolo. Madeline si abbandonò alla sua bocca. Aveva paura, ma voleva anche farlo. Per di più, lo sentiva duro, sotto al suo sedere, attraverso la stoffa dei pantaloni. Si chiese se fosse eccitato all’idea di marchiarla a fuoco o per che cosa. «Sì, per quello» confermò lui, toccandola tra le gambe. «Per quello e... per te in generale, diciamo. Sono felice che tu sia mia». La sollevò e Madeline chiuse gli occhi. Il suo terrore cresceva di minuto in minuto, ma ormai aveva deciso. Voleva essere sua per sempre. Lo amava, lo adorava, lo poneva al di sopra di qualsiasi altro essere vivente. Sapeva di significare qualcosa anche per lui. Diomedes non avrebbe marchiato con il suo sigillo il primo che passava. «Decisamente no» confermò lui, con un mezzo sorriso, posandola sulla sedia. Le prese le caviglie e la mise in posizione, allargandole le cosce. Le bloccò le gambe con delle fibbie all’altezza del polpaccio e le braccia con delle fibbie all’altezza dei polsi. Allargò ancora i sostegni, in modo che Madeline fosse completamente esposta. Le sue dita la accarezzarono tra le grandi labbra e sul clitoride. Quando la penetrò con la prima falange Madeline si rese conto di desiderarlo fin quasi al dolore. Aveva il respiro accelerato, i capezzoli eretti e la fichetta grondante. Diomedes continuò a toccarla finché non la sentì ansimare di piacere. Poi prese il ferro rovente e lo appoggiò di piatto sull’interno della sua coscia sinistra, vicinissimo al suo inguine. Il dolore arrivò un istante più tardi e fu... devastante. Madeline aprì la bocca e urlò. Un lungo, lunghissimo grido inarticolato, mentre il dolore continuava e continuava. Per uno, due, tre secondi che durarono come tre anni. Urlò e urlò. Una serie di punti neri le danzarono davanti agli occhi, mentre il dolore la stordiva completamente. «Basta, ti prego, basta! Toglilooo!» gridò, singhiozzando. Diomedes scostò il ferro rovente, ma il dolore non smise. Cambiò leggermente, ma quella sensazione bruciante e terribile non se ne andò. Era come... era come venir presi a morsi da un animale selvaggio. Madeline continuò a urlare. Dei lunghi “Aaaah” disarticolati, mescolati a singhiozzi. Le lacrime le colavano lungo le guance e il mento. Diomedes le spruzzò qualcosa sulla pelle, dandole un fugace sollievo. Madeline riprese fiato e smise di urlare, anche se ricominciò subito a gemere di dolore. Diomedes la spruzzò di nuovo. E poi ancora, finché lei non smise di singhiozzare. Prese un tubetto e le strizzò un po’ di crema sulla ferita, per poi distribuirla delicatamente. «Crema antibiotica» le spiegò. «E ne prenderai anche per bocca, di antibiotici». Le coprì l’interno della coscia con una garza sterile, che poi fermò con delle strisce di cerotto di tela. Quando ebbe finito, si accucciò tra le sue gambe e un istante più tardi Madeline sentì la sua lingua tra le grandi labbra. A quel punto il dolore era scemato, diventando un sottofondo sordo e costante. Si sentiva intontita, per niente lucida e non credeva di avere la forza di camminare, quando anche fosse stata slegata. Diomedes la leccò finché non iniziò a godere, facendo attenzione a non scontrare il punto appena marchiato. «Ti... amo...» mormorò lei, con gli occhi chiusi e la testa abbandonata da un lato. «Mh-mh» rispose lui, mordicchiandola sul clitoride. Poi la morse sul serio, e Madeline avvertì la trafittura dei suoi canini sulle grandi labbra e la sua lingua che lappava il suo sangue. Quella era... una delle cose più eccitanti del mondo, per lei. Per prima cosa il morso di un vampiro è fatto per essere sempre più gradevole col passare del tempo. Madeline era con Diomedes da diversi mesi, ma prima era stata la schiava di un altro vampiro, più giovane, per almeno un anno. Il gradevole formicolio che si diffondeva dal punto in cui i suoi denti le penetravano la carne cresceva velocemente di intensità, in lei, diventando piacere palpitante ed elettrico. Sentire la sua lingua che lappava era un’altra cosa profondamente eccitante, anche perché Diomedes non si limitava a raccogliere il suo sangue, ma la stimolava profondamente, percorrendo la fessura tra le sue piccole labbra e arrivando fino al clitoride. Infine, a Madeline l’idea di essere la sua cena faceva girare la testa dal desiderio. L’idea di nutrirlo e che lui la mangiasse... Diomedes smise di bere prima che lei raggiungesse il piacere. Sentì che slacciava le fibbie che la intrappolavano. Un attimo dopo era tra le sue braccia e lui la stava portando con calma verso la propria camera da letto. Si sentiva febbricitante, eccitata, in uno stato tra la veglia e il sogno. Il marchio continuava a pulsarle, ma ora era quasi tollerabile. Diomedes la depositò delicatamente sul letto e la voltò a pancia in giù. Madeline sollevò il sedere verso l’alto. «Oh, subito» disse lui, in tono divertito, posandole una mano su una natica. Le allargò le gambe e quello le procurò una fitta di dolore all’interno coscia. Poco dopo sentì del gel lubrificante sul buchetto posteriore. «Vuoi?» le chiese Diomedes. Lei sospirò. «Sì, Padrone... per favore, Padrone...» Lo sentì salire sul letto dietro di lei. Percepì la punta del suo uccello sopra il proprio buchetto posteriore. Diomedes la infilzò con un unico movimento, facendole emettere un gemito di dolore. Sebbene le fosse già successo varie volte (e normalmente avrebbe pensato “troppo poche”), il primo affondo le faceva sempre male. Era concepito per farle male, anche se quella notte Diomedes era stato decisamente gentile. «Toccati, puttanella» le disse. Madeline si leccò le dita e cominciò a stimolarsi piano il clitoride. Diomedes le affondò dentro una seconda volta, poi una terza e così via. A ogni colpo sembrava arrivare un po’ più a fondo, sembrava allargarla un altro po’. Il marchio le pulsava di dolore, mentre Diomedes la martoriava, ma la faceva anche godere. Madeline iniziò ad ansimare più forte, stordita dal piacere e dal tormento. Diomedes emise una sorta di gemito e accelerò ancora, per poi rallentare, affondandole completamente dentro. Madeline si sentì attraversare dal piacere come se fosse corrente elettrica. Si contrasse attorno al suo cazzo, grondando sudore e umori. L’orgasmo la travolse con forza, mentre lui finiva di svuotarsi dentro di lei. Un istante più tardi uscì e rotolò su un fianco. Si allungò a prendere un fazzoletto di carta e le pulì attentamente la zona, una cosa che non aveva mai fatto. «I marchi come quello si infettano facilmente. Vanno tenuti pulitissimi. Sapone antibatterico e tutto. Cristo, abbassa quel culo, ora... abbi un po’ di pietà». Madeline sorrise e fece come le diceva. +++ Vederlo steso accanto a lei, nudo e assonnato, era una delle cose che Madeline preferiva. La sensazione che Diomedes fosse completamente a suo agio e che sentisse libero di farle quello che voleva, quando voleva, come voleva. Lui si allungò, stiracchiandosi, e le posò una mano su un seno. A Madeline il suo decolté così prosperoso non era mai piaciuto molto, ma dato che Diomedes lo adorava aveva iniziato a stare bene anche a lei, negli ultimi mesi. Non si sentiva più “troppa”, la maggiorata che gli uomini non guardano mai in faccia e a cui tutti vogliono solo venire sulle tette... «Anche se venirti sulle tette è proprio soddisfacente, sai» mormorò Diomedes, strizzandole un capezzolo. «E l’idea di te che guidi con il petto nudo e ancora gocciolante è... mh. Ho apprezzato molto il regalo di Adrian. Ah, cazzo... guarda qua» sospirò. Madeline spostò lo sguardo tra le sue gambe e vide che gli era tornato duro. «Come posso servirla, Padrone?» chiese, rispettosamente. «Fammi dare un’occhiata al mio lavoro» sorrise lui. Madeline piegò il ginocchio sinistro e staccò delicatamente il rettangolo di garza che copriva il marchio. La pelle all’interno della sua coscia era molto arrossata e la delta minuscola di Diomedes spiccava sulla sua carne, una ferita rosso scuro pulita e precisa. «Ti piace?» le chiese. Madeline annuì. Le piaceva moltissimo che le avesse impresso nella carne il suo sigillo e le piaceva anche il sigillo in quanto tale, esteticamente. Ma specialmente le piaceva che piacesse a lui. E anche se le bruciava ancora da impazzire... be’, ne era valsa la pena. Tornò a guardare il pene eretto dell’altro, desiderando che le ordinasse di prenderglielo in bocca, per cominciare. Ricominciava a essere bagnata e sapeva che la sua fica era leggermente dischiusa. Lui le tirò uno schiaffo proprio lì sopra, facendola gemere di piacere e anche, in misura molto minore, di dolore. «Vorrei che ti fosse chiara una cosa» le disse lui, stringendole un capezzolo. «Puoi desiderare quello che vuoi, ma vederti bagnata e insoddisfatta è quello che fa piacere a me, per lo più. Vederti contorcere ai miei piedi... sentirti implorare... farti piangere di dolore... umiliarti...» Sorrise appena e la percosse di nuovo. Madeline uggiolò piano. «Puoi provare a convincermi a darti piacere, è ovvio. Puoi farlo senza diventare invadente o insistente. Puoi farmi venire inline italics="true" font-style="Times New Roman" font-size="12.00">voglia di farti male... ma non provare a manipolarmi. Quando ti sei chiusa in quella cavolo di gabbia... be’, non negherò che abbia funzionato. Ha funzionato fin troppo, ma questo non significa che tu possa rifarlo quando ti pare». Rotolò dal suo lato e si sedette tranquillamente sulla sua pancia. «Mani posate sul materasso, gambe aperte. Non ti toccare, non ti strofinare, non sperarci nemmeno. Guarda e basta». Madeline seguì la sua mano che iniziava a salire e scendere lungo l’asta del proprio uccello. «Quello che mi aspetto da te, ora che mi appartieni formalmente, è che tutto quello che fai quando sei con me sia per darmi piacere. Solo a me, tu non conti. Apri la bocca, leccati le labbra. Che cosa sei tu?». «Un suo oggetto, Padrone» mormorò lei, facendo come le diceva. Diomedes si chinò su di lei e le strinse un capezzolo, mentre continuava a masturbarsi a pochi centimetri dalla sua faccia. «Già, un mio oggetto. Cerca di non farmi pentire di averti tenuta, va bene?». Strinse più forte e Madeline si morse il labbro inferiore, cercando di non uggiolare di dolore. Le sue dita erano come tenaglie, quando voleva. «Domani sera, e tutte le sere seguenti, ti sveglierai un po’ prima di me...» continuò lui, senza lasciarla. «...Ti infilerai qualcosa di carino e mi preparerai il bagno... senza svegliarmi. Senza accendere la luce, senza fare rumore, senza disturbare. Devi essere invisibile. Fin qui ci siamo?». «S-sì, Padrone...» singhiozzò lei. Il dolore stava diventando quasi intollerabile. Cercò di non scoppiare in lacrime, ma riuscì solo a piangere senza fare rumore. Le lacrime iniziarono a rotolarle giù dalle guance, mentre Diomedes si masturbava proprio davanti al suo naso. «Poi ti inginocchierai ai piedi del letto e aspetterai che io mi svegli. Mi laverai e mi sbarberai. Mi vestirai e non ti alzerai mai dai miei piedi, è chiaro?». Madeline annuì, mentre di nuovo prendeva aria per non mettersi a urlare di dolore. Nel contempo avrebbe voluto che lui le infilasse il cazzo in bocca e la scopasse almeno lì. «Non ti ho sentito, Madeline» disse lui. «S-sì, Padrone» singhiozzò lei. Il dolore era... Diomedes le venne sulla faccia. Molto deliberatamente, come a comunicarle che era quello l’effetto che gli faceva vederla piangere di dolore. «E anche per dimostrati...» aggiunse lui, con una lieve risata, lasciandole il capezzolo, «...che non voglio venirti solo sulle tette. Adesso vatti a lavare e a disinfettare. Non dimenticare l’antibiotico. Copri di nuovo il marchio con una garza. E... lo sai... non provare a toccarti, stanotte». «Sì, Padrone» disse lei. Diomedes scivolò da un lato, stendendosi mollemente su un fianco. «Vattene» la congedò.
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