ORA SI FA SUL SERIOIl mio secondo giorno a Palermo è incentrato sulle visite mediche presso i laboratori della scientifica, all’interno del palazzo della Questura. Prima di partire da Torino ero già stato sottoposto a controlli sanitari, non comprendo perché io debba ripetere gli stessi esami. Comunque sia, male non fa e ne approfitto per riprendermi dalle fatiche del viaggio e dall’esperienza vissuta nella mia prima missione operativa ad alto rischio. Oggi mi attende addirittura una seduta con lo psicologo. Il regolamento rende obbligatoria l’assistenza psicologica per gli agenti di Polizia che si sono cimentati in un conflitto a fuoco o, comunque sia, che abbiano usato armi. La mia prova del fuoco poteva essere considerata una sorta di simulazione, una fase di addestramento, ma tenuto conto che io non lo sapevo e credevo di essere davvero nel bel mezzo di un’azione, il Capo ha dato disposizione affinché mi sottoponga a seduta psicologica. Non si sa mai. In effetti, me l’ero proprio fatta sotto dalla paura, immagino che nausea e vomito siano stati il riflesso condizionato del calo di tensione e dell’ansia. La possibilità di un trauma non è così campata per aria. M’informo su dove si trovi l’ufficio della dottoressa Giulia Donati, mi accomodo sull’ampio divano della sala d’attesa e aspetto di essere chiamato. Dall’ufficio esce la dottoressa Donati, una bella signora affascinante e aristocratica. L’età resta un mistero: troppo bella e in forma per essere anziana, ma anche troppo raffinata e ricercata per non esserlo. È la classica donna che resterà giovane a vita perché splende di luce propria. Mi fa sedere su una confortevole poltrona di velluto verde, lei si sistema di fronte a me. Fino a quel momento non ci siamo nemmeno stretti la mano o presentati, tutto è stato compreso a gesti. Lei prende una cartellina, la apre e legge lasciandomi lievemente imbarazzato e a disagio. Ho studiato psicologia e so per certo che la prima cosa da fare è mettere a proprio agio il paziente, tutto il contrario di quel che sta facendo con me la dottoressa Donati.
«Siamo quasi colleghi, vedo» esordisce senza alzare lo sguardo. «Psicologia criminale, ma è pur sempre psicologia. Come saprà, noi psicologi e psichiatri spesso ci sottoponiamo a terapia da un collega, potrei usufruire dei suoi servigi, una sorta di scambio favori. Che ne dice?»
Ora mi sta sorridendo.
«Dubito di poterle essere utile, dottoressa» rispondo divertito, «dovrebbe commettere un crimine efferato per poterla avere come mia paziente.»
Ridiamo di gusto ed ecco che mi ricredo su quanto ho pensato poco prima: in un attimo la dottoressa mi fa sentire perfettamente a mio agio. Mi chiede di raccontare quanto vissuto i giorni precedenti, viaggio in treno compreso, e non ho difficoltà a inondarla di tutto quello che mi è passato per la mente. Senza rendermene conto, parlo per un paio d’ore senza interruzione, lei ascolta attenta e vigile, anzi, direi addirittura divertita. Termino il racconto precisando come mi sono sentito quando mi sono venuti la nausea e il vomito, penso sia quello l’aspetto psicologico che potrebbe interessarla maggiormente. E invece no, la cosa non sembra avere alcun peso.
«Se l’è cavata egregiamente» conclude lei.
Apre nuovamente la cartellina, firma un foglio e mi consegna una copia del certificato medico. È indirizzato al Dirigente Superiore, dottor Pietro Zanardi e per conoscenza al Questore di Palermo e al Responsabile delle Risorse Umane della Questura. Il referto cita: “Nessuna patologia di rilievo, il soggetto può proseguire il servizio senza alcuna prescrizione.” Mi appare evidente che la seduta è conclusa e mi alzo, la dottoressa Donati mi invita a restare al mio posto, mi chiede di pazientare un minuto, spedisce via fax il certificato e ritorna a sedersi di fronte a me, mi fissa e mi prende sorprendentemente le mani.
«Commissario Alfonsi» dice, «lei è perfetto per questo incarico. Ha dei colleghi eccezionali, si fidi di loro. Potrà contare sempre sul mio sostegno, se ne ricordi. Sappia che ne avrà più bisogno di quanto possa immaginare.»
E mi congeda così. Esco dal suo ufficio, non so spiegarmelo, ma sento di aver trovato un’amica su cui fare affidamento.
Nel cortile interno della Questura mi attende l’ispettore capo Gianna Licata, la bandita di ieri. È appoggiata a un’Alfa 155 nera, lampeggiante sulla capote in funzione. Apre il bagagliaio e mi consegna la custodia con la mia fedele Beretta e le manette d’ordinanza. La indosso infilandola nella cintura e la sistemo sul fianco destro, estraggo l’arma, controllo che il caricatore sia pieno e che la sicura sia inserita e aggancio il fermo.
«Hai rovistato nel mio bagaglio?» le chiedo serio. Per questi primi giorni mi hanno affibbiato una brandina presso la sede dell’Antimafia. Camera con vista carceri, ma dotata di ogni confort: bagno con una doccia superlativa e una piccola cucina provvista di caffè e biscotti in quantità industriale. Da quanto mi è stato riferito, ho diritto a un alloggio tutto mio e anche a un’auto ricca di accessori quali: radiotelefono, lampeggiante, sirena, paletta e un bel fucile sistemato nel bagagliaio con annesso giubbotto antiproiettile, scudo, manganello antisommossa e casco. Il tutto mi sarà consegnato a giorni, per ora mi accontento di essere scarrozzato in giro da altri.
«Non c’era tempo per passare in sede, anzi» Gianna mi consegna il distintivo che mi qualifica come alto dirigente dell’Antimafia, «questo è tuo.»
Inserisco anche il distintivo nella cintura, nei pressi dell’inguine, parte destra. Gianna ha il suo a tracolla appeso a una catenella di cui, però, sono sprovvisto.
«In che senso non c’è tempo?»
«Sali, abbiamo un compito.»
«Un’altra prova del fuoco?» rido.
Lei s’incupisce, accende il motore e parte. «No, questa volta si fa sul serio.»
Anche Gianna è un’abile pilota, circolare in auto a Palermo nelle ore di punta è un inferno e, anche con l’ausilio del lampeggiante e della sirena, sono pochi gli automobilisti che ti lasciano passare, magari per paura di perdere qualche metro di vantaggio o a causa di chi, furbescamente, s’incastra dietro alla nostra auto per transitare più velocemente. Non ho idea di dove stiamo andando, Gianna è taciturna, mi dice solo che lei è la mia compagna.
«Da questo momento, noi due siamo l’ombra l’una dell’altro» mi dice.
Bene, penso io. Non che la cosa mi dispiaccia, al contrario. È carina, forse ha atteggiamenti un po’ mascolini, ma lo reputo del tutto normale, è pur sempre una poliziotta che deve rendersi dura per mestiere. Mi diverte pensarla fuori servizio, una gonna al posto dei jeans, una camicetta bianca scollata invece della maglietta, scarpe tacco dodici in sostituzione delle Puma, capelli sciolti piuttosto che quell’orrenda coda di cavallo, ottenuta per merito di un elastico assolutamente antiestetico. Fisso istintivamente le mani, nessun anello, né fede nuziale né quelle piccole vere metalliche che si usano spesso per sancire un fidanzamento e che solitamente costano una fortuna, anche dieci volte più delle semplici vere nuziali. Sempre dalle mani identifico l’età: ventotto anni o giù di lì, comunque meno di trenta. Le mani dicono molte cose, puoi rifarti naso e faccia, le tette e la liposuzione con la chirurgia estetica, ma le mani non mentiranno mai, in qualsiasi occasione paleseranno sempre quello che di certo una donna non vorrebbe rivelare: l’età. Ha un bel viso, una bella pelle e un buon profumo, direi che mi piace come donna. Ancora non so se mi piacerà anche come poliziotta. Questo suo ostinato silenzio non annuncia nulla di buono, oppure questo compito che stiamo per affrontare non è poi così divertente.
«Hai finito di scrutarmi?» ora sorride.
«Sì, ho finito.»
«Avrai capito molte cose di me. Da quanto ne so, tu sei un Profiler, e dicono che sei pure bravo.»
«I Profiler costruiscono il profilo criminale dei delinquenti. Tu non lo sei, anzi, mi sembri una a posto. Ergo, ho capito solo che sei una personcina a modo e, per ora, questo mi basta e avanza.»
«Stiamo andando nel quartiere chiamato Altarello» Gianna finalmente mi ragguaglia. «A Palermo ci sono venticinque quartieri, Altarello è uno di questi. Ti servirà conoscerli tutti, altrimenti rischi di essere come un cieco quando dovrai cavartela da solo in giro per la città. Altarello costituisce anche la ventitreesima unità di primo livello di Palermo: Altarello-Tasca Lanza. Si trova nella zona sud-orientale della città, al confine con il Comune di Monreale. Anche se si tratta di un quartiere periferico, si trova a poca distanza dal centro storico ed è di una bellezza strabiliante. È una delle zone più popolose della città e, purtroppo, anche una delle più pericolose. Lì la Mafia la fa da padrona, essere mafioso da quelle parti è considerata una posizione di privilegio, così la gente è omertosa non perché ha paura, bensì perché considera i boss delle persone a modo. Uomini d’onore che fanno del bene. In effetti, il quartiere è molto florido e la gente sta bene, tutti hanno un lavoro e guadagnano discretamente proprio perché la Mafia controlla tutto, commercio, industria, appalti, ristoranti, pasticcerie e garantisce occupazione e un equilibrio abbastanza stabile. Tutto è nelle mani della famiglia del boss Gerlando o Nino Bonfanti, detto Roccia. Ricordati questo cognome perché lo udrai spesso qui a Palermo, ovunque tu sia.»
«E perché stiamo andando da quelle parti?» chiedo facendomi serio.
«Andiamo a controllare chi è l’ennesimo morto ammazzato, il secondo dall’inizio della settimana, il terzo del mese, il trentunesimo dall’inizio dell’anno.»
«Cazzo!» esclamo saltando sul sedile come una cavalletta. «Trentun morti ammazzati dall’inizio dell’anno? Siamo a maggio, sono più di sei al mese, come media.»
«C’è una guerra in corso, qualcuno ha fatto entrare droga nel quartiere, e non è il normale traffico che fa capo ai Bonfanti. Sembra che la lotta si stia risolvendo a favore del boss, ma a prezzo di un bagno di sangue fra le due fazioni. Fra un po’ capiremo a chi è affiliato questo nuovo morto ammazzato.»
Mi viene in mente solo ora che io non ho mai visto un morto ammazzato di fresco. La mia specializzazione a Quantico prevedeva un corso di medicina legale perciò posso asserire, con notevole sicurezza, di aver visto e ispezionato un numero discreto di cadaveri, ma morti da tempo immemore e utilizzati per lo studio della patologia legale. Mai visto morire un uomo, mai visto un morto ammazzato in vita mia, invece Gianna ne parla come se ne avesse visti a decine un giorno sì e l’altro pure, quasi fosse… normale. Ecco che adesso mi sento inadeguato all’incarico che mi hanno chiamato a svolgere. Per quanto riguarda i morti ammazzati Gianna vince, come minimo, trentuno a zero. Mi conosco, ora entra in gioco una caratteristica che odio di me e che fatico a superare. Se mi sento inadeguato, divento nervoso, introverso, insicuro e mi assale il panico, l’ansia da prestazione. Mi chiedo il perché di questa scelta: inviarmi a verificare un morto ammazzato mafioso, proprio io che sono il pivello, l’ultimo arrivato, il meno operativo di tutti.
Mannaggia!
Vuoi vedere che mi ci mandano per via della benedetta specializzazione di Quantico: Profiler e Criminologo? Questi pensano che di morti ammazzati me ne intenda così tanto da farne la mia colazione ogni mattina. Ho il dubbio che ci si aspetti un po’ troppo da me, stile miracolo alla… ispettore Callaghan, il caso è tuo?
Fine dei pensieri, siamo arrivati.
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