CAPITOLO UNO
Emily fece scorrere la mani lungo la seta nera del vestito, distendendone le pieghe per quella che doveva essere la centesima volta, quella sera.
“Sembri nervosa,” disse Ben. “Hai appena toccato la cena.”
Scoccò un’occhiata al pollo che per metà aveva lasciato nel piatto, e poi risollevò lo sguardo verso Ben, che le sedeva di fronte a una tavola meravigliosamente imbandita, con il viso illuminato dalla luce della candela. Per il loro settimo anniversario, l’aveva portata nel ristorante più romantico di New York.
Ma certo che era nervosa.
Soprattutto visto che la scatolina di Tiffany che aveva trovato nascosta nel cassetto dei calzini settimane prima non c’era più quando aveva controllato quella sera. Era sicura che quella sarebbe stata la sera in cui finalmente le avrebbe chiesto di sposarlo.
Pensarci le faceva battere forte il cuore dalla trepidazione.
“È solo che non ho molta fame,” rispose.
“Oh,” disse Ben, un po’ perplesso. “Quindi non vuoi il dolce? Io ho messo gli occhi sulla mousse al caramello.”
Il dolce proprio non lo voleva, ma d’un tratto le venne il timore che forse Ben avesse nascosto l’anello nella mousse. Sarebbe stata una proposta di matrimonio stucchevole, ma a questo punto le sarebbe andata bene qualsiasi cosa. Dire che Ben aveva paura di impegnarsi era minimizzare. Gli ci erano voluti due anni di relazione per lasciarle tenere uno spazzolino nel suo appartamento – e quattro per farla trasferire da lui.
Se lei introduceva l’argomento bambini, lui diventava bianco come un lenzuolo.
“Ordina pure la mousse se vuoi,” disse. “Io ho ancora il mio bicchiere di vino.”
Ben alzò le spalle e poi chiamò il cameriere, che portò via veloce il piatto vuoto e il mezzo pollo di Emily.
Ben allungò le mani e prese quelle di Emily nelle sue.
“Ti ho detto che sei bellissima stasera?” chiese.
“Non ancora,” rispose lei, sorridendo maliziosamente.
Sorrise anche lui. “Allora, sei bellissima.”
Poi infilò una mano in tasca.
Il cuore di Emily parve fermarsi. Ecco. Stava accadendo davvero. Tutti quegli anni di angoscia, di pazienza da monaco buddista, stavano finalmente per ripagarla. Stava per provare a sua madre che era in errore, sua madre che sembrava divertirsi a dirle che non sarebbe mai riuscita a far percorrere la navata a un uomo come Ben. Per non parlare della sua migliore amica, Amy, che aveva di recente sviluppato la mania dopo un bicchiere di vino di troppo di mettersi a implorare Emily di non sprecare altro tempo con Ben perché trentacinque anni non erano assolutamente “troppi per trovare il vero amore.”
Deglutì mentre Ben tirava fuori la scatolina di Tiffany dalla tasca e la faceva scivolare sulla tavola verso di lei.
“Che cos’è?” riuscì a chiedere.
“Aprila,” rispose con un largo sorriso.
Non si era messo in ginocchio, notò Emily, ma andava bene comunque. Non le serviva una proposta tradizionale. Le serviva un anello. Qualunque anello sarebbe andato bene.
Prese la scatolina, la aprì – e poi si accigliò.
“Cosa… diavolo…?” balbettò.
La guardò sotto choc. Era una bottiglia da trenta millimetri di profumo.
Ben sorrise, come estasiato dalla sua opera.
“Non sapevo che vendessero anche profumi,” rispose Ben. “Pensavo che vendessero solo gioielleria troppo costosa. Vuoi che te lo metta?”
Improvvisamente incapace di contenere le proprie emozioni, Emily scoppiò a piangere. Tutte le sue speranze andarono in pezzi. Si sentiva un’idiota anche solo per essersi permessa di pensare che quella sera avrebbe potuto chiederle di sposarlo.
“Perché piangi?” chiese Ben, corrucciato, improvvisamente addolorato. “La gente ci guarda.”
“Avevo pensato…” balbettò Emily, sfiorando con lo sguardo la tovaglia, “con il ristorante, e visto che era il nostro anniversario…” Era incapace a tirar fuori le parole.
“Sì,” disse Ben freddamente. “È il nostro anniversario e io ti ho preso un regalo. Scusami se non è abbastanza bello, ma tu non me l’hai neanche comprato.”
“Avevo pensato che mi avresti chiesto di sposarti!” urlò alla fine Emily, buttando il tovagliolo sulla tavola.
Nella sala il mormorio si zittì quando le persone smisero di mangiare per voltarsi a fissarla. A lei non importava più.
Gli occhi di Ben si spalancarono dalla paura. Sembrava anche più spaventato di quando lei parlava della possibilità di mettere su famiglia.
“Perché ti vuoi sposare?” chiese.
Emily venne colta da un momento di chiarezza. Lo guardò come se lo vedesse per la prima volta. Ben non sarebbe mai cambiato. Non si sarebbe mai impegnato. Sua madre, Amy, avevano avuto entrambe ragione. Aveva sprecato anni in attesa di qualcosa che ovviamente non sarebbe accaduto, e quella minuscola bottiglietta di profumo era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
“È finita,” disse Emily, senza fiato, gli occhi improvvisamente asciutti. “È davvero finita.”
“Sei ubriaca?” gridò Ben, incredulo. “Prima vuoi sposarti, e adesso vuoi rompere?”
“Non sono ubriaca,” disse Emily. “Solo che non sono più cieca. Tutto questo – io e te – non è mai stata una cosa buona.” Si alzò, gettando il tovagliolo sulla sedia. “Me ne vado da casa tua,” disse. “Per stanotte starò da Amy, e domani verrò a prendere la mia roba.”
“Emily,” disse Ben, cercando di toccarla. “Possiamo parlarne, per favore?”
“Perché?” replicò. “Così puoi convincermi ad aspettare altri sette anni prima di comprarci una casa nostra? E altri dieci prima di avere un conto in banca in comune? Diciassette anni prima che tu possa anche solo considerare l’idea di prendere un gatto insieme?”
“Per favore,” diceva Ben sottovoce, guardando il cameriere che si avvicinava col dolce. “Stai facendo una scenata.”
Emily sapeva di fare una scenata, ma non le importava. Non avrebbe cambiato idea.
“Non c’è nient’altro di cui parlare,” disse. “È finita. Goditi la tua mousse!”
E con queste ultime parole, si precipitò fuori dal ristorante.