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SARAH
Venerdì sera
Uno strattone delle sue dita al laccio attorno alla mia vita e il mio abito si aprì. Le sue nocche mi sfiorarono la pelle nuda ed io rabbrividii. Non per il caldo, ma per il desiderio. Il tessuto leggero si scostò rivelando il mio reggiseno e le mutandine abbinate.
«Questo è il mio nuovo genere d’abito preferito,» mormorò Huck, la testa china, il suo sguardo fisso sul mio corpo. I suoi capelli color sabbia erano folti e ricci e avrei voluto allungare le mani e farci passare le dita. Tuttavia rimasi immobile. Cercai di riprendere fiato perché mi aveva a malapena toccata ed ero eccitata da morire. Il modo in cui i suoi occhi azzurri si scurirono, il modo in cui strinse la mascella… mi voleva. Non potevo nemmeno non notare lo spesso rigonfiamento del suo uccello contro la parte frontale dei jeans. Mi si contrasse la figa al ricordo della sensazione che mi aveva dato dentro di me. Eravamo stati innamorati, sciocchi e—
«Piccola, sei ancora più bella di quanto mi ricordi.» Il suo sguardo si sollevò. Incrociò il mio. Lo sostenne. «E me ne ricordo spesso.»
Piccola.
Non ero stata chiamata così per anni e l’aveva fatto solamente Huck. Non da quando mi aveva lasciata appena prima che me ne andassi per il college. Mi era mancato quel vezzeggiativo, così come mi era mancato lui. Quella parola mi ricordava che era veramente Huck Manning quello in piedi di fronte a me. Che mi toccava. Che ce l’aveva duro per me.
Ero pazza a fare quella cosa? L’ultima volta che mi aveva avuta—non solo l’ultima, ma la prima—ci avevo messo il cuore. Gli avevo dato tutto, inclusa la mia verginità. Avevo bramato lui e tutto ciò che mi aveva promesso.
Non avevo più diciannove anni. Non avevo il paraocchi quando si trattava di lui. Mi trovavo di fronte a lui. Più grande. Più saggia.
Tuttavia… quello era Huck. Mi trovavo nella sua camera da letto ed ero quasi nuda. Per nascondere le mie mani tremanti, le portai al suo petto e strinsi il cotone della sua camicia. Con uno strattone audace, i bottoni a scatto cedettero rivelando il suo ampio torso.
Era cambiato nel giro di sei anni. Si era gonfiato. Aveva messo su muscoli. La sua pelle era abbronzata dal sole estivo. Il suo petto aveva una spruzzata di peli biondi in mezzo a due capezzoli scuri e piatti. Quando la punta delle mie dita gli sfiorò il ventre, gli addominali si contrassero.
«Cazzo,» mormorò, poi mi strinse il polso in una presa delicata.
Io sollevai lo sguardo, chiedendomi perché mi avesse fermata.
Lui incurvò un angolo della bocca verso l’alto. «Continua così e finiremo troppo in fretta. Voglio che duri.»
«Solamente a toccarti?» sussurrai io, meravigliata. Non perché potesse sfuggirgli facilmente il controllo, ma perché percepivo il potere che avevo su di lui.
«Già, solamente lo sfioramento delle tue dita potrebbe finirmi.» La sua mano mi strinse leggermente ed io sollevai lo sguardo su di lui attraverso le ciglia. «Dobbiamo parlare di questa cosa prima di--»
Io scossi la testa. L’ultima cosa che volevo fare era parlare. Avevo una missione, lì. Dovevo rimanerci concentrata. Il suo tocco… cazzo, solo il suo profumo mi stava facendo perdere la testa. Non era l’unico che sarebbe potuto venire con un solo tocco. Il mio clitoride pulsava e la figa mi si contrasse trepidante. Non era la mia figa ad avere il controllo della situazione, però.
«Niente parlare,» sussurrai.
Lui lasciò la presa, le sue mani che mi scivolavano lungo le braccia fino alle spalle dove mi spinse via l’abito. Quello scivolò silenziosamente a terra così che rimasi con indosso solamente l’intimo e i miei stivali da cowgirl.
Lui fece un passo indietro e mi scrutò. Cercai di non agitarmi, perché era davvero passato un sacco di tempo. Non ero più un’adolescente. Mi ero riempita. Lui era troppo intenso, il suo sguardo carico di passione. Era così che mi aveva guardata prima dall’altra parte dell’auditorium pieno di gente al centro sociale quando avevo urlato la mia puntata all’asta di scapoli.
Non aveva fatto che diventare più intenso una volta che l’avevo vinto e lui era saltato giù dal palco per raggiungermi tra la folla. Per prendermi per mano e condurmi fuori dall’edificio. Dove adesso ci trovavamo in camera sua al ranch con solamente un paio di articoli d’abbigliamento tra di noi.
Era come se non fosse più stato in grado di sopportarlo e allungò una mano, facendomela passare dietro la nuca e attirandomi a sé. Baciandomi.
Oh sì. Quello. Mi ricordavo il suo sapore. La sensazione leggermente rozza della sua presa. La sua voglia a malapena controllata. Il delicato sfregamento del suo accenno di barba.
Gli tirai fuori l’estremità della camicia dai jeans mentre ci baciavamo, le mie mani che adesso gli scorrevano addosso. Il suo petto, la schiena, il culo da sopra il denim.
Lui mi attirò contro di sé così che percepii ogni suo singolo centimetro duro. Mi ricordò quanto fosse alto, venti centimetri più del mio metro e sessanta. Avrebbe potuto sopraffarmi. Dominarmi in modi che non erano perversi o divertenti.
Ma non l’avrebbe fatto. Quell’uomo poteva aver ferito il mio cuore, ma sapevo che non mi avrebbe mai messo le mani addosso con rabbia. Tra le sue braccia era l’unico posto in cui mi fossi mai sentita davvero al sicuro.
Ora mi ci trovavo di nuovo ed era come se i sei anni fossero evaporati.
Con un braccio avvolto attorno alla mia schiena, lui mi sollevò, mi portò a letto e mi fece sdraiare con la testa sul suo cuscino. Con una mano premuta contro il materasso accanto alla mia spalla, rimase sospeso sopra di me. Col bagliore della lampada sul comodino, il suo volto era profondamente ombreggiato. Vidi il bagliore del desiderio. La felicità.
Chinando di nuovo la testa, lui mi baciò lungo la mascella, il collo e poi il rigonfiamento del mio seno sopra il bordino in pizzo del reggiseno.
Mi sfuggì un piagnucolio e le mie dita si intrecciarono tra i suoi capelli. Strattonai quelle ciocche setose. Mi ricordavo il suo odore, era come tornare a casa.
Chiusi gli occhi godendomi quella sensazione deliziosa.
Cosa stavo facendo? Non potevo perdermi nel suo tocco!
Avevo un piano. Una missione. Ma cazzo, era così bello. Si ricordava esattamente che cosa mi eccitasse.
Ma sapeva anche esattamente che cosa avesse posto fine alla nostra relazione.
Lo afferrai ai lati della testa e lo tirai su. Impennando i fianchi, cercai di farci rotolare. Lui era troppo grosso per riuscire a costringerlo a muoversi, ma mi permise di assumere il comando, rotolando sulla schiena mentre io mi mettevo a cavalcioni sui suoi fianchi.
I suoi occhi si accesero di passione e un sorriso gli si aprì lentamente in volto.
«Vuoi avere tu il controllo, piccola?» mi chiese.
Il fatto che me lo chiedesse dimostrava che non avevo davvero il controllo affatto, però ce l’avevo già, solo che lui non lo sapeva. Inarcai un sopracciglio e gli rivolsi un sorriso malizioso in risposta. «Ti ho comprato io all’asta, no?»
Lui mi posò le mani sui fianchi, i polpastrelli dei suoi pollici che mi accarezzavano il basso ventre.
Un ghigno gli si aprì lentamente in volto. Era calmo, rilassato. Contento, perfino. Mi voleva nel suo letto con lui. Era soddisfatto di quella cosa. Di me.
Io mandai giù tutte le emozioni che quella consapevolezza mi suscitava.
«Sì, l’hai fatto,» mormorò. «Vuoi una cavalcata selvaggia? Ti darò ciò per cui hai pagato.»
Mi ero dimenticata che gli piacesse parlare sporco e sembrava essere solamente migliorato in quel campo. Per quanto fossimo usciti insieme per un paio di mesi, eravamo stati effettivamente insieme, avevamo fatto sesso, solamente una volta. Una notte in cui lui mi aveva toccato in modi che non mi ero mai immaginata. Non mi ero mai dimenticata.
Tuttavia io ero stata ingenua e insicura su cosa fare. Lui era stato delicato e attento. Chiaramente, gli piaceva quella versione più audace di me.
Scossi la testa—per dirgli di no e per schiarirmela dalla nebbia carica di desiderio—e guardai la sedia nell’angolo della sua stanza. Appesa allo schienale c’era la sua cintura di servizio. Scesi da in braccio a lui, andai lì e presi le manette. In quanto capo della polizia, aveva anche una pistola di servizio, ma non si trovava nella fondina. Dal momento che aveva una bambina piccola che viveva in casa con lui, non avevo dubbi che la tenesse sotto chiave assieme a qualunque altra arma possedessero i Manning sul ranch.
Lasciai penzolare le manette di ferro da un dito mentre me ne stavo in piedi di fronte a lui.
«Vuoi farti legare, piccola?» mi chiese, i suoi occhi che si scurivano a quell’idea.
Io scossi la testa. «No. Voglio legare te.»
Lui strinse la mascella mentre mi fissava, scrutandomi come a volermi memorizzare. «Cazzo, sei bellissima.»
Si slacciò i jeans, se li tirò giù assieme ai boxer così da liberarsi il cazzo. Aveva solamente la camicia e i pantaloni aperti, a parte ciò indossava ancora gli abiti.
Toccò a me sbavargli addosso. Avevo già visto il suo cazzo quando avevamo pomiciato, l’avevo toccato. L’avevo sentito a fondo dentro di me quell’unica volta. Tuttavia, ero stata troppo giovane e vergine all’epoca. Non avevo saputo quanto fosse effettivamente incredibile il cazzo di Huck. Lungo, spesso e duro com’era, con la punta larga. Una piccola goccia di liquido preseminale ne imperlava la cima. Lui se lo strinse alla base e se lo menò bruscamente. Poi sollevò le mani sopra la testa e mi fece l’occhiolino.
«Sono tutto tuo, piccola.»
Io trassi un respiro profondo. Avrei voluto salirgli in braccio e affondare su di lui. Cavalcarlo come una cowgirl. Ma non era quello il piano. Lui era Huck Manning. L’uomo che si era preso la mia verginità, mi aveva detto di amarmi e poi mi aveva scaricata. Si era preso il mio cuore, ma mi aveva lasciato una parte del suo. Era morta troppo tempo prima assieme alle mie speranze e ai miei sogni di stare con lui per sempre.
Avrei messo in atto il mio piano e ciò avrebbe significato tornare al letto e salire di nuovo a cavalcioni su di lui, tenendomi le mutandine addosso. Sporgendomi in avanti, gli afferrai un polso e vi misi la manetta attorno, chiudendola con uno scatto.
Sussultai quando la bocca di Huck si chiuse su un mio capezzolo. Col modo in cui mi ero sporta, gli avevo offerto quella punta coperta dal pizzo. Mi concessi un istante per godermi la sensazione della sua eccitante suzione.
«Huck,» sussurrai, il piacere che mi scorreva dal capezzolo dritto al clitoride.
Lui lasciò ricadere la testa sul cuscino. Sogghignò.
Io trassi un altro respiro profondo. Le mie mutandine erano fradicie e il mio clitoride pulsava dalla voglia di venire.
Feci passare rapidamente le manette attorno ad una sbarra della sua testiera, poi gli assicurai l’altro polso. Lui diede un leggero strattone per testarle ed io gli sorrisi.
Proprio come lo volevo.
«Prima che ti faccia una cavalcata sul mio cazzo, salimi in faccia. Voglio divorarti quella figa prima di prendermela con forza.»
Oh. Mio. Dio.
Lo fissai. Quegli occhi scuri erano carichi di desiderio, ma anche di onestà. Voleva proprio ciò che aveva detto.
«Non l’ho mai assaggiata prima.»
Perché mi aveva mollata.
Era arrivato il momento di lasciarlo lì, insoddisfatto e senza aver scopato, ma Huck Manning si stava offrendo di leccarmela. Ero stata con due uomini da quando Huck mi aveva lasciata, ma non erano stati poi un granché. Ragazzini del college che avevano avuto bisogno di una mappa e di una bussola per trovare il mio clitoride.
Quello che avevo sotto di me era tutto uomo e non avevo dubbi che la sua sicurezza di sé fosse meritata.
Voleva divorarmi la figa? Diamine, non avevo intenzione di negarmi quell’opportunità di un orgasmo indotto dall’uomo, specialmente dal momento che era legato e non avrebbe potuto fare nient’altro.
Spostandomi, mi tolsi le mutandine per poi afferrare la testiera e salirgli sul viso.
«Riuscirai a respirare?» gli chiesi, abbassando lo sguardo su di lui. Volevo punirlo, non soffocarlo.
Lo sguardo di Huck si spostò dalla mia figa al mio volto. «Bambola, sarà il modo migliore di andarmene. Ora chinati su di me.»
Non disse altro perché io lo feci e lui, anche senza mani, ci diede dentro. Leccando, stuzzicando, succhiando, baciando.
Io ondeggiai i fianchi, sfruttando il bellissimo Huck Manning per raggiungere l’orgasmo.
Oh. Mio. Dio. Era bravo. Era bello. Troppo bello.
Ci vollero circa sessanta secondi prima che sussultassi e mi aggrappassi alla testiera mentre il miglior orgasmo della mia vita mi travolgeva. Non ero certa se dimostrasse le sue abilità di amante o il fatto che io avessi avuto un bisogno tanto disperato di venire.
I capezzoli mi si erano induriti, la mia pelle era madida di sudore. Mi ritrassi, riprendendo fiato mentre Huck si leccava le labbra luccicanti.
«Non ho finito,» disse, la voce profonda per l’eccitazione. «Prendi un preservativo, salimi sul cazzo e divertiamoci un po’.»
Io sbattei le palpebre. Abbassai lo sguardo su Huck. Avrei voluto fare sesso con lui. Disperatamente. Sarebbe stato un piacere vuoto, però. Lui mi aveva ferita tanto tempo prima. A fondo e, mentre lo guardavo, seppi che quella ferita non si era mai rimarginata. Non avevo intenzione di passarci di nuovo.
La vendetta era dolce, specialmente quando arrivava con un orgasmo.
Scesi dal letto, afferrai le mutandine e me le infilai. «No, grazie.»
Lui non disse nulla, si limitò ad accigliarsi mentre mi guardava rimettermi l’abito.
«Bambola, che stai facendo?»
«Ciò che avrei dovuto fare tanti anni fa.»
Recuperai la mia borsetta da terra, ne tirai fuori il pezzo di carta che avevo trovato prima, avanzai verso di lui e glielo schiaffai sul petto nudo.
Lui abbassò lo sguardo su di esso, poi guardò me. «Non riesco più di tanto a vedere che cosa sia.»
«È una lettera che attesta che Claire non è biologicamente tua,» spiegai.
I suoi occhi si accesero alle mie parole e le manette emisero un clangore quando lui le strattonò. Già, sapeva di cosa stessi parlando, ma non se l’era aspettato in quel momento, in quella situazione. Proprio come non me l’ero aspettato io prima quando avevo tirato fuori le cose del suo avvocato dall’auto distrutta.
«Sarah,» disse, la prima volta che usava il mio nome quella sera.
«Mi hai mentito. Per anni,» dissi. Le mie parole erano intrise di rabbia. «Mi hai fatto credere che avessi avuto una figlia con un’altra donna.»
«Posso spiegare.» Le manette sbatacchiarono di nuovo mentre cercava di liberarsi.
«Non ce n’è bisogno,» dissi, sollevando una mano. «Fottiti, Huckleberry Manning.» Lanciai un’occhiata al suo cazzo ancora duro. «Anzi, lascia perdere.»
Girai i tacchi e uscii dalla sua stanza. Dalla sua vita ancora una volta mentre lo sentivo urlare il mio nome. Quella volta, alle mie condizioni.