Capitolo I-2

2723 Words
— Sì, essa è un vero pavone, in tutto, fuorché nella bellezza — disse Lord Enrico, strappando i petali della margherita con le lunghe dita nervose. — Io non riuscii a liberarmene; essa mi trascinò davanti ad Altezze Reali, a gente carica di Stelle e di Giarrettiere, a signore anzianotte con gigantesche tiare e nasi di pappagallo… Parlò di me come del suo più caro amico benché fosse la seconda volta che io la vedessi; — insomma si ficcò in mente di far di me l’uomo del giorno. Si vede che qualche mio quadro doveva aver avuto gran successo o che almeno se n’era cianciato nei giornali da due soldi, che al diciannovesimo secolo sono i dispensieri d’immortalità. Quando, improvvisamente, mi trovai faccia a faccia con quel giovanotto, la cui personalità m’aveva così stranamente colpito; tanto, che ci toccammo quasi e i nostri occhi si incontrarono una seconda volta. Allora, come se una forza estranea mi vi spingesse, chiesi a Lady Brandon di presentarmigli — o forse ciò dipese anche da me e fu semplicemente inevitabile; ché — ne son certo — avremmo finito col parlarci senza esser presentati. Lo stesso Dorian più tardi mi confessò infatti che egli avea subito sentito ch’era destino che ci conoscessimo. — E come ti descrisse Lady Brandon questo maraviglioso giovane? — gli chiese l’amico. — Io so che essa ha la mania di delineare un rapido sommario di tutti i suoi ospiti. Ricordo che una volta mi trascinò davanti a un truculento e congestionato vecchio gentiluomo, tutto coperto di onorificenze e di nastri, e mi fischiò nell’orecchio, in un tragico bisbiglio che tutti nella sala devono avere perfettamente udito, i più sorprendenti particolari sul suo passato. Io semplicemente me ne fuggii, perché preferisco far da me l’analisi delle persone, mentre Lady Brandon tratta i suoi ospiti come un mercante che espone le sue merci: essa ne spiega minutamente tutte le particolarità; ma più spesso finisce col dire di ognuno tutto quello che non importa conoscere. — Povera Lady Brandon! Sei ben duro con lei, Enrico — disse Hallward svogliatamente. — Caro mio, essa ha cercato di fondare un salotto, ed è riuscita ad aprire una trattoria. Come ammirarla? Ma, raccontami: che ti disse di Dorian Gray? — Qualcosa di simile: — Ragazzo affascinante — la sua povera cara madre e io assolutamente inseparabili. Dimenticato completamente cosa faccia. Temo non faccia nulla. — Oh! sì, Suona il piano — o forse il violino, caro signor Gray? — nessuno di noi potè trattenere le risa e fummo subito amici. — Il riso è un bellissimo inizio per una amicizia, e ne è certo la miglior fine — disse il giovine Lord, spiccando un’altra margherita. Hallward crollò il capo: — Tu non capisci cosa sia l’amicizia, Enrico — mormorò — o che cosa sia l’odio: appunto per questo. Tu sei un indifferente; ami chiunque, cioè nessuno. — Come sei terribilmente ingiusto! — gridò Lord Enrico ricacciando indietro con un colpo il cappello dalla fronte e fissando in alto le piccole nubi che, come arruffate matasse di liscia seta bianca, galleggiavano attraverso la concava turchese del cielo estivo. — Sì, terribilmente ingiusto. Io ho fatto sempre una gran differenza fra uomini e uomini: scelgo i miei amici per la loro bellezza, le mie conoscenze per il buon carattere, e i miei nemici, per la loro intelligenza. Un uomo non sarà mai troppo cauto nello scegliersi i nemici ed io non ne ho avuto mai uno che fosse pazzo: sono tutti persone di un certo vigore intellettuale e quindi tutti mi stimano. Son forse troppo vanitoso nel dir ciò? Credo di sì. — Parrebbe anche a me, Enrico. Ma, secondo la tua categoria, io sarei appena una conoscenza. — Caro vecchio Basilio; ma assai di più. — Però molto meno che un amico. Forse una specie di fratello. — Fratelli! Non me ne parlare. Il mio fratello maggiore non vuol morire e i minori sembra non facciano mai altro. — Enrico, — esclamò Hallward, aggrottando le ciglia. — Caro mio, non sono affatto serio; ma non posso tenermi dal detestare i miei parenti. Forse dipenderà dal fatto che nessuno di noi può stare a contatto di gente che ha gli stessi difetti nostri. Io simpatizzo completamente con la Democrazia Inglese, quando s’accanisce contro ciò ch’essa chiama: — «i vizi della nobiltà». — Le masse intuiscono che l’ubbriachezza, la stupidità, l’immoralità dovrebbero essere un loro monopolio speciale, e che se ognuno di noi fa di se stesso un asino, egli caccia di frodo nelle loro bandite. Quando il povero Sontwark si presentò alla Corte del Divorzio, la loro indignazione fu assolutamente stupenda e tuttavia non credo che neppure il dieci per cento dei proletari viva come dovrebbe… — Non mi piace neanche una parola di quanto hai detto, e di più son certo che anche tu sei d’accordo con me. Lord Enrico si lisciò la bruna barbetta a punta e, colpendo leggermente la punta dello stivaletto lucente con un bastoncino d’ebano ornato di un fiocco: — Come sei inglese, Basilio! È la seconda volta che mi fai questa osservazione — se uno butta una idea davanti a un vero inglese, — cosa sempre avventata — quello non si sogna mai di considerare se questa idea è giusta, o no; la sola cosa di qualche importanza ch’egli osservi è se chi l’ha detta ci creda. Ora il valore di una idea non ha nulla a che vedere con la sincerità di chi la esprime. Anzi è più probabile il caso che, quanto più insincero sia questi, tanto più sarà quella intellettuale, perché essa non acquisterà colore da nessun bisogno o desiderio o pregiudizio di chi l’espone. Ma non ti propongo di discutere questioni politiche o sociologiche o metafisiche. Ho sempre preferito le persone ai loro principî, e fra di esse, quelle che ne son prive, più che altra cosa al mondo. Ma via! dimmi qualcosa di più su Dorian Gray! Lo vedi spesso? — Ogni giorno. Se non lo vedessi ogni giorno, sarei infelice. Egli mi è assolutamente necessario. — Straordinario! Avrei sempre creduto che non ti saresti mai curato d’altro che dell’arte tua. — Egli è ora tutta la mia arte — disse gravemente il pittore. — Io penso spesso, Enrico, che due sole epoche nella storia del mondo sono di qualche importanza. La prima, quando compare un nuovo mezzo di arte; la seconda, quando compare una nuova personalità per l’arte. Ciò che la invenzione della pittura ad olio è stata per i veneziani, e la faccia di Antinoo per la tarda scoltura greca, sarà un giorno per me il volto di Dorian Gray. Io non soltanto dipingo lui, disegno lui, e ne prendo abbozzi — ciò non mi è venuto che troppo naturalmente; — ma egli è per me assai più che un gesso o un modello; né ti dirò che sono insoddisfatto di ciò che da lui ho tratto già, o che la sua bellezza è tale che l’arte non possa esprimerla. Non v’è nulla che l’Arte non possa rendere, e io so che ciò che ho fatto, dopo l’incontro con Dorian Gray, è buono, è la migliore opera della mia vita. Ma la sua personalità, in un modo strano — puoi tu comprendermi? — m’ha suggerito una maniera d’arte totalmente nuova e un diversissimo stile. Io vedo le cose differentemente e penso diversamente di esse; posso oggi ricreare la vita in un modo che prima mi era nascosto. — Un sogno di forma in giorni di pensiero… Chi disse ciò? Non ricordo. Ma ecco quello che Dorian Gray è stato per me. La presenza di questo ragazzo — egli mi sembra più piccolo di un fanciullo, benché in realtà abbia più di venti anni — la sua presenza soltanto visibile!… ah! mi stupirei se tu giungessi a ricavare il senso di tutto ciò: Inconsciamente egli ha definite per me le linee d’una scuola nuova, che consisterà nel realizzare tutta la passione dello spirito romantico congiunta con tutta la perfezione dello spirito greco. L’armonia dell’anima e del corpo: quale grande problema è mai questo! nella nostra pazzia noi li abbiamo separati; abbiamo inventato un Realismo volgare ed una Idealità vuota. Enrico! se tu sapessi cosa è Dorian per me!… Ti ricordi quel paesaggio per cui Agnea m’offrì un prezzo così alto ma da cui non potei separarmi? È una delle più belle cose che abbia mai fatto. E perché? Perché, mentre lo dipingevo, Dorian Gray sedeva accanto a me e una sottile influenza emanava da lui: sì, per la prima volta nella mia vita io vidi nel piano paese boschivo quel meraviglioso senso che avevo sempre cercato, che sempre mi era sfuggito. — Basilio, ma questo è straordinario! Io devo vedere Dorian Gray. Hallward balzò dal sedile e cominciò a passeggiare su e giù per il giardino. Dopo un poco ritornò. — Enrico, — disse — Dorian Gray è per me soltanto un motivo d’arte. Tu non vedresti nulla in lui; io tutto. Egli non è mai più presente nell’opera mia di quando nessuna sua imagine è qui. Egli è la suggestione — come t’ho detto — di una nuova maniera: io lo ritrovo nella curva di certe linee, nella amorevolezza e nelle sottilità di certi colori. Ecco tutto. — Allora, perché non vuoi esporre il suo ritratto? — chiese Lord Enrico. — Perché, senza volerlo, ho rivelato in esso questa curiosa idolatria artistica, che a lui mi attira e di cui naturalmente mi sono ben guardato dal parlargli. Egli non sa né saprà mai nulla d’essa; ma il mondo potrebbe biasimarla e io non vorrò mai denudare l’anima mia davanti ai suoi occhi volgari e investigatori. Il mio cuore non lo sottoporrò mai al suo microscopio. V’è troppa parte di me in quel ritratto, Enrico! Troppa parte di me! — I poeti non sono scrupolosi, come te: essi sanno come sia utile la passione per la diffusione del libro. Oggi un cuore infranto raggiunge molte edizioni. — Per questo li odio — gridò Hallward. — Un artista deve creare delle cose belle; ma non deve mettere in esse nulla della sua vita. Noi viviamo in età in cui gli uomini trattano l’arte come se non fosse altro che un genere autobiografico; noi abbiamo perduto il senso astratto della Bellezza. Un giorno io mostrerò al mondo cosa ciò voglia dire; e per questo il mondo non vedrà il mio ritratto di Dorian Gray. — Io credo che tu abbia torto, Basilio; ma non discuterò con te. Soltanto chi è intellettualmente perduto discute sempre. Ma, dimmi, Dorian Gray è molto preso di te? Il pittore meditò qualche tempo. — Egli mi ama — rispose poi. — Lo so. Naturalmente io lo adulo assai; provo un piacere strano nel dirgli cose che so mi dorrà di avergli detto. Per solito, egli è affascinante con me; ce ne stiamo nello studio a parlare di mille cose; ma qualche volta egli è terribilmente sventato e sembra proprio che goda di farmi dispiacere. Allora io sento, Enrico, che io ho dato via l’anima intera ad uno che la tratta come se fosse un fiore da mettere all’occhiello, un nastrino che accarezzi la vanità, un vestito elegante fatto per un giorno d’estate… — I giorni estivi, Basilio, agevolano le fantasie dubitose — mormorò Lord Enrico. — E forse ti stancherai di lui ben presto. È una cosa triste a pensarci; ma non v’è dubbio che il Genio dura più a lungo della Bellezza. E ciò ci spiega perché noi tutti ci affatichiamo a raffinare l’educazione nostra. Nella selvaggia lotta per la esistenza, abbiamo bisogno di qualcosa che perduri e perciò riempiamo i cervelli nostri di macerie e di fatti, con la sciocca speranza di non perdere così il nostro posto. Ecco l’ideale moderno: l’uomo bene informato! E il cervello di quest’uomo è una spaventevole cosa: una bottega di antiquario, tutto «mostri» e polvere, con il prezzo già fissato su ogni oggetto, al disopra del suo valore reale. Tuttavia io penso che ti stancherai per primo. Verrà un giorno che guarderai l’amico ed egli ti apparirà «un po’ fuor di linea» o non ti piacerà più il tono della sua carnagione, o qualcosa di simile, e glielo rimprovererai amaramente in cuor tuo, e penserai seriamente ch’egli si è portato assai male con te. E la volta seguente ch’egli ti comparirà davanti, sarai perfettamente indifferente e freddo. Ma la cosa non sarà perciò meno triste: perché ti lascierà un ricordo profondo: altererà te stesso. Poiché, in fondo, tutto ciò che mi hai narrato è un romanzo, un romanzo d’arte, si potrebbe dire, ma il gran male di un tale romanzo è nel ricordo così poco romantico che lascia di sé… — Enrico, non parlare così. Finché vivrò, la personalità di Dorian Gray mi dominerà sempre. Tu non puoi sentire quello ch’io sento, perché sei solito di mutar così spesso… — Caro Basilio, ecco appunto perché posso sentirlo! Quelli che si mantengono fedeli conoscono solo il lato triviale dell’amore; è l’infedeltà che sa dell’amore anche le tragedie. — E Lord Enrico strofinò un cerino contro una graziosa scatoletta di argento e cominciò a fumare una sigaretta con aria di padronanza e di soddisfazione, come se in una frase avesse riassunto il mondo. Vi fu un fruscio di garruli passeri sulle verdi cupe foglie dell’edera e le azzurre ombre di nubi si inseguiron sull’erba come rondini. Quanta amenità in quel giardino! E come deliziose le emozioni altrui! Molto più che le loro idee — gli pareva. La propria anima e le passioni degli amici: ecco le affascinanti cose della vita. Egli dipingeva a se stesso con silenzioso piacere il noioso lunch cui s’era sottratto per rimaner così a lungo con Basilio Hallward. Se egli fosse andato dalla zia, vi avrebbe certo incontrato Lord Goasrwyhr e tutta la conversazione si sarebbe aggirata sul soccorso ai poveri e sulla necessità di alloggi-modello. Ogni classe di persone avrebbe predicato l’importanza di quelle virtù, che la vita non le imponeva di professare. Il ricco avrebbe parlato del valore del risparmio e il fannullone sarebbe fin divenuto eloquente vantando la dignità del lavoro. Come era felice di essere sfuggito a tutto questo! E mentre pensava a sua zia, una idea parve colpirlo. Egli si rivolse ad Hallward: — Caro amico, mi è venuto proprio in mente! — Cosa Enrico? — Dove ho già udito il nome di Dorian Gray. — Dove? — chiese Hallward, corrugando appena le sopracciglia. — Non mi guardar così stizzito, Basilio. — fu in casa di mia zia Agata. Ella mi disse che aveva scoperto un maraviglioso giovanotto, che andava ad accompagnarla nell’East End, e che si chiamava Dorian Gray. Son costretto a constatare che non mi disse mai che era bello. Le donne non sanno apprezzare la bellezza di un giovane; almeno le donne per bene. Ella disse che era serio e che aveva un bel carattere. Io mi figurai subito una creatura occhialuta, con pochi capelli in testa, orribilmente lentigginoso, che se ne va vagabondando su dei grossi piedi… Avrei proprio voluto saper tale il tuo amico. — Son felice che tu non l’abbia saputo, Enrico. — Perché? — Non ho piacere che tu lo incontri. — Non hai piacere che io lo incontri? — No! — Il signor Dorian Gray è nello studio, signore — annunziò il maggiordomo, avanzando nel giardino. — Ora sei costretto a presentarmigli — rise Lord Enrico. Il pittore si volse al cameriere, che stava in piedi, sbattendo le palpebre sotto i raggi del sole. — Prega il signor Gray di aspettare, Parker: lo raggiungerò fra poco. L’uomo s’inchinò e rifece il suo cammino. Allora egli fissò Lord Enrico: — Dorian Gray è il mio più caro amico — disse. — Egli ha una semplice e bellissima natura. Tua zia aveva perfettamente ragione nel parlarti di lui in quel modo. Ma la tua influenza potrebbe esser cattiva. Il mondo è grande e contiene molta gente maravigliosa. Non togliermi la sola persona che dà all’arte mia tutta quella sua poca grazia; la mia vita d’artista dipende da essa. Pensaci, Enrico; io te ne prego. — Parlava assai a bassa voce e le parole sembravano strappate al suo labbro, contro la sua volontà. — Non dir sciocchezze! — gli rispose Lord Enrico sorridendo, e preso Hallward sotto braccio, quasi lo trasse a forza entro la casa.
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