IV-1

2012 Words
Capitolo IV È proprio la cosa più grande del mondo Appena chiusa la porta la signora Challenger uscì dalla sala da pranzo e, nonostante fosse di piccola statura, sbarrò la strada a suo marito, come una gallina rabbiosa di fronte a un bulldog. Sicuramente aveva visto la mia uscita, ma non aveva fatto caso al mio rientro. “Sei un bruto, George! - strillò - Hai fatto male a quel simpatico giovanotto.” Lui indicò dietro di sé col pollice. “Eccolo qui, sano e salvo dietro di me.” Lei rispose confusa: “Mi spiace, non l’avevo vista.” “Le assicuro, signora, che va tutto bene.” “Ha segnato la sua povera faccia! Oh George, che bruto sei! Nient’altro che scandali da un fine settimana all’altro. Tutti ti odiano e si fanno beffe di te. Hai esaurito la mia pazienza. Questo è il colmo.” “I panni sporchi...” tuonò lui. “Non è un segreto - gridò lei - Pensi forse che tutta la strada, tutta Londra... Vada via, Austin, non c’è bisogno di lei qui. Pensi forse che non parlino tutti di te? Dov’è la tua dignità? Dovresti essere un regio professore in una grande università con un migliaio di studenti a riverirti. Dov’è la tua dignità, George?” “Che ne è della tua, mia cara?” “Tu mi metti troppo spesso alla prova. Un farabutto; un volgare e rissoso farabutto, ecco cosa sei diventato.” “Sta buona, Jessie.” “Un bullo urlante e infuriato!” “Basta! Seggiolino di penitenza!” Così dicendo lui si chinò, la sollevò e la mise a sedere su un alto piedistallo di marmo nero in un angolo della sala. Era alto almeno sette piedi, ([7]) ed era così stretto che lei poteva a mala pena rimanervi in equilibrio. Non avrei potuto immaginare un oggetto più assurdo di quello; guardavo stupito la donna, innalzata lì sopra con la faccia congestionata dall’ira, i piedi penzolanti e il corpo rigido per la paura di cadere. “Mettimi giù.” gemette. “Di’ «per favore».” “Sei un bruto, George! Mettimi giù all’istante!” “Venga in studio, signor Malone.” “Ma, signore...” obiettai, guardando la donna. “C’è qui il signor Malone che intercede per te, Jessie. Di’ «per favore» e scenderai.” “Oh, che bruto! Per favore, per favore!” La mise giù come se fosse stata un canarino. “Devi controllarti, cara. Il signor Malone è un giornalista. Farà uscire tutto sul suo giornalaccio domani e ne manderà una dozzina di copie in omaggio, ai nostri vicini. Strana avventura nell’alta società. Ti sentivi piuttosto in alto su quel piedistallo, vero? Poi un sottotitolo: Descrizione di una strana coppia. Il signor Malone è uno che si ciba d’immondizia, un mangiatore di carogne, come tutti quelli della sua specie, «porcus ex grege diaboli», porco nel gregge del diavolo. È così Malone, vero?” “Lei è veramente insopportabile!” dissi, piccato. Scoppiò a ridere, poi guardando alternativamente me e sua moglie tuonò: “Adesso avremo una coalizione.” Cambiando improvvisamente tono aggiunse: “Scusi questa frivola schermaglia familiare, signor Malone. L’ho fatta rientrare per qualcosa di più serio, non per immischiarla nelle nostre piccole piacevolezze domestiche. Fila via, donnetta e non ti arrabbiare.” Mise una mano enorme sulle sue spalle. “Tutto quello che dici è assolutamente vero. Sarei un uomo migliore se facessi come dici tu, ma non sarei più George Edward Challenger. Ci sono tantissimi uomini migliori mia cara, ma di G.E.C. ce n’è uno solo. Così, accontentati di lui.” Inaspettatamente le diede un bacio sonoro che mi imbarazzò anche più di quanto non avesse fatto la sua violenza. “Ora, signor Malone - continuò, in modo notevolmente più dignitoso - da questa parte, prego.” Entrammo di nuovo nella stanza che avevamo lasciato in modo tumultuoso dieci minuti prima. Il professore chiuse accuratamente la porta dietro di noi, mi indicò una poltrona e mi mise una scatola di sigari sotto il naso. “Veri San Juan Colorado. - disse - Per gente eccitabile come lei non c’è nulla di meglio dei narcotici. Cielo! Non lo morda! Tagli. E tagli con riverenza! Ora si appoggi allo schienale e ascolti attentamente tutto ciò che le racconterò. Se le dovesse venire in mente qualche osservazione, può riservarla per un momento più opportuno. Innanzitutto, quanto al suo rientro in casa mia dopo la sua ben meritata espulsione - sporse in fuori la barba e mi fulminò come sfidandomi e invitandomi a smentire - il motivo risiede nella sua risposta a quell’invadente poliziotto, nella quale mi è sembrato di discernere un debole barlume di buoni sentimenti da parte sua; più di quanto sia abituato ad attribuirne alla sua professione. Ammettendo che la colpa dell’incidente era sua, lei ha dato prova di un certo distacco mentale e di una larghezza di vedute che hanno attirato favorevolmente la mia attenzione. La sottospecie umana alla quale lei sfortunatamente appartiene è sempre stata al di sotto del mio orizzonte mentale. Le sue parole l’hanno portata improvvisamente al di sopra. Lei è emerso a livello della mia attenzione. Per questo motivo le ho chiesto di rientrare con me, poiché avevo intenzione di fare la sua conoscenza in modo più approfondito. Per cortesia depositi la cenere nella ciotolina giapponese sul tavolo di bambù che sta accanto al suo bracciolo sinistro.” Disse tutto questo con voce tonante, come un professore che si rivolge alla classe. Ruotò su se stessa la sedia girevole in modo da fronteggiarmi e sedette ansimando come un’enorme rana gigante, con la testa all’indietro e gli occhi semichiusi da palpebre sdegnose. Poi, si girò improvvisamente di lato e tutto ciò che potevo vedere di lui furono i capelli arruffati e un rosso orecchio sporgente. Stava frugando sul tavolo in quella confusione di carte. Adesso era di nuovo di fronte a me e teneva in mano qualcosa che somigliava a uno sbrindellato blocco di schizzi. “Le parlerò del Sudamerica. - disse - Niente commenti, per favore. Innanzitutto, vorrei che lei capisse che niente di ciò che sto per dirle ora, dovrà essere ripetuto pubblicamente, in alcun modo, senza il mio esplicito permesso. Questo permesso, secondo ogni umana previsione, non sarà mai dato. È chiaro?” “È molto duro. - dissi - Senz’altro un resoconto molto giudizioso...” Lui rimise il blocchetto sul tavolo. “La cosa finisce qui. - disse - Le auguro un’ottima giornata.” “No, no! - esclamai - Mi sottometto a ogni condizione. A quanto pare, non ho scelta.” “Nessuna al mondo.” disse lui. “Bene, allora prometto.” “Parola d’onore?” “Parola d’onore.” Mi guardò con un dubbio negli occhi insolenti. “Dopo tutto, cosa ne so del suo onore?” disse. “Sulla mia parola, signore - esclamai irato - lei si prende delle libertà eccezionali. Non sono mai stato insultato così in vita mia.” Lui sembrò più interessato che infastidito dalla mia esplosione. “Testa tonda - borbottò - Brachicefalo, occhi grigi, capelli neri, con lievi tracce del tipo negroide. Celtico, suppongo?” “Sono irlandese, signore.” “Irlandese irlandese?” “Sì, signore.” “Questo, naturalmente, spiega tutto. Vediamo; lei ha promesso che la mia confidenza sarà rispettata. Questa confidenza sarà tutt’altro che completa, ma sono pronto a darle alcune indicazioni che risulteranno interessanti. In primo luogo, lei è probabilmente al corrente del fatto che due anni fa io feci un viaggio in Sudamerica; un viaggio che farà epoca nella storia della scienza. Scopo del mio viaggio era quello di verificare alcune conclusioni di Wallace e Bates, ([8]) cosa che poteva essere fatta solo osservando i dati da loro riportati, nelle stesse condizioni in cui loro stessi li avevano notati. Se la mia spedizione non avesse avuto altri risultati, sarebbe stata ugualmente degna di nota; ma mentre ero lì, mi capitò un curioso incidente che aprì una linea d’indagine completamente nuova. Lei è al corrente (o probabilmente, in questa epoca semianalfabeta, non è al corrente) del fatto che la zona che circonda alcune parti del Rio delle Amazzoni è ancora parzialmente inesplorata? E che un gran numero di affluenti, alcuni dei quali non sono nemmeno segnati sulle carte, si gettano nel fiume principale? Il mio compito era percorrere questa regione poco conosciuta, esaminarne la fauna e recuperare il materiale per i capitoli di quella grande e monumentale opera sulla zoologia che sarà la giustificazione della mia vita. Una volta finito il mio lavoro, stavo tornando indietro, quando una notte mi fermai in un piccolo villaggio indiano, nel punto in cui un certo affluente (del quale ometto il nome e la posizione) sbocca nel fiume principale. Gli indigeni erano indiani Cucama, una razza affabile ma degradata, con facoltà mentali appena superiori a quelle del londinese medio. Avevo operato alcune guarigioni fra loro nel mio percorso d’andata e li avevo considerevolmente impressionati con la mia personalità, cosicché non fui sorpreso nel vedermi ansiosamente atteso al mio ritorno. Dedussi dai loro cenni che qualcuno aveva urgente bisogno dei miei servigi medici e seguii il loro capo in una delle capanne. Quando entrai, trovai che il malato era spirato in quel preciso istante. Con sorpresa mi resi conto che non era un indiano, ma un bianco. In realtà, potrei dire che era bianchissimo, perché aveva i capelli color stoppa e molte caratteristiche del tipo albino. Era vestito di stracci, era molto emaciato e portava tutti i segni di lunghe privazioni. A quanto potei capire dal racconto degli indigeni, che era per loro un perfetto sconosciuto ed era arrivato al loro villaggio attraverso la foresta, da solo e all’ultimo stadio dell’esaurimento. Lo zaino dell’uomo era in terra vicino al giaciglio e ne esaminai il contenuto. Il suo nome era scritto su una piastrina attaccata all’interno: “Maple White, Lake Avenue, Detroit, Michigan”. È un nome dinanzi al quale sarò sempre pronto a togliermi il cappello. Non è troppo dire che sarà messo al pari con il mio, quando verrà definitivamente stabilita la parte di merito che spetta a ognuno in questa vicenda. Dal contenuto del suo zaino era evidente che quell’uomo era stato un artista e un poeta alla ricerca dell’effetto. C’erano dei frammenti di versi. Non pretendo di essere un giudice competente in questo genere di cose, ma mi sembrarono singolarmente privi di valore. C’erano anche alcuni disegni abbastanza banali del paesaggio fluviale, una scatola di colori, una scatola di gessetti colorati, dei pennelli, quell’osso curvo che sta sul mio portapenne, un volume dell’opera di Baxter Farfalle notturne e diurne, un fucile a buon mercato e qualche cartuccia. Quanto al bagaglio personale, non aveva niente o lo aveva perso durante il viaggio. Questi erano tutti gli effetti di quel bohémien americano. Mi stavo allontanando, quando osservai che qualcosa sporgeva dal petto della sua giacca stracciata. Era questo blocco di schizzi, che già allora era così sbrindellato come lei lo vede adesso. E posso assicurarle che un originale di Shakespeare non sarebbe stato trattato con maggior riverenza di quanto lo fu questa reliquia, dal momento in cui entrò in mio possesso. Gliela porgo, le chiedo di esaminarne il contenuto e di considerarla, pagina per pagina.” Prese un sigaro e si appoggiò all’indietro, con un paio d’occhi fieramente critici, pronti a prendere nota dell’effetto che quel documento avrebbe prodotto. Avevo aperto il blocco aspettandomi una rivelazione, benché non immaginassi quale. La prima pagina fu deludente, giacché non conteneva altro che il disegno di un uomo assai grasso, in giacca da marinaio, con la didascalia: Jimmy Colver sul battello postale. Seguivano parecchie pagine riempite con piccoli schizzi di indiani e del loro ambiente. Poi, c’era il disegno di un allegro e corpulento ecclesiastico con un cappello a pala, seduto di fronte a un europeo magrissimo, con la scritta: Pranzo con frate Cristoforo a Rosario. Studi di donne e bambini occupavano parecchie altre pagine e poi c’era una serie ininterrotta di disegni di animali con queste spiegazioni: Lamantino su un banco di sabbia, Tartarughe e loro uova, Ajouti nero sotto una palma miriti (quest’ultimo mostrava una specie di animale simile a un porcello); e alla fine una pagina doppia con studi di sgradevolissimi sauri dal lungo muso. Non riuscivo a cavarci nulla e lo dissi al professore. “Sono solo coccodrilli, no?” “Alligatori! Alligatori! È praticamente impossibile che ci sia un vero coccodrillo in Sudamerica. La differenza tra i due...” “Volevo dire che non sono riuscito a vederci niente d’insolito, niente che giustifichi ciò che lei ha detto.” Sorrise serenamente. “Provi con la pagina seguente.” Non riuscivo ancora a capire. Era uno schizzo a piena pagina di un paesaggio colorato in modo approssimativo: il tipo di dipinto che un artista che lavora all’aria aperta avrebbe potuto usare come esempio per un futuro lavoro più elaborato. C’era un primo piano verde pallido di tenera vegetazione, un pendio in salita che terminava con una linea di rocce di color rosso scuro e scanalate come certe formazioni basaltiche. Queste si stendevano come una parete ininterrotta da una parte all’altra dello sfondo. A un’estremità c’era una roccia piramidale isolata, coronata da un grande albero, che un crepaccio pareva separare dagli altri picchi. Dietro a tutto, un cielo blu tropicale. Una riga sottile di vegetazione orlava la sommità dei picchi rossastri. Nella pagina seguente c’era un altro acquerello dello stesso luogo, ma visto molto più da vicino, cosicché si potevano distinguere chiaramente i particolari. “Beh?” chiese lui. “È senza dubbio una formazione curiosa - dissi - ma non sono abbastanza geologo per dire che è meravigliosa.”
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