CAPITOLO DUE
A cena, quella sera, April provò a dire alla sua famiglia quel poco che sapeva della morte di Lois. Ma le sue parole sembrarono strane ed aliene persino a lei stessa, come se fosse un’altra persona a parlare.
Non sembra vero, continuava a ripetersi.
April aveva incontrato Lois diverse volte, quando era andata a trovare Tiffany. Ricordava chiaramente l’ultima volta. Lois era stata sorridente e felice, pronta a raccontare molte delle avventure che viveva andando a scuola lontano da casa. Era davvero impossibile credere che fosse morta.
La morte non era un concetto astratto per April. Sapeva che sua madre l’aveva affrontata ed aveva finito con l’uccidere, mentre lavorava ai casi dell’FBI. Ma quelli erano stati degli uomini cattivi, e dovevano essere fermati. April stessa aveva persino aiutato sua madre a combattere ed uccidere un assassino sadico, dopo che l’uomo aveva tenuto la ragazza prigioniera. Sapeva anche che suo nonno era morto quattro mesi prima, ma non lo aveva visto per molto tempo, e non si erano mai avvicinati.
Ma questa morte era più reale ai suoi occhi, e non aveva alcun senso. In qualche modo, non sembrava nemmeno possibile.
Mentre l’adolescente parlava, vide che anche i suoi familiari erano confusi e depressi. La madre le si avvicinò e le prese la mano. Gabriela si fece il segno della croce, e mormorò una preghiera in spagnolo. La bocca di Jilly si spalancò con orrore.
April provò a ricordare tutto ciò che Tiffany le aveva detto, quando avevano parlato di nuovo quel pomeriggio. Aveva spiegato che, la mattina precedente, Tiffany ed i suoi genitori avevano trovato il corpo di Lois impiccato nel loro garage. La polizia pensava che si trattasse di suicidio. In effetti, tutti si comportavano come se fosse così. Come se tutto fosse scritto.
Tutti, tranne Tiffany, che continuava a ripetere che non ne era affatto convinta.
Il padre di April trasalì, quando lei terminò di raccontare loro tutto ciò che aveva in testa.
“Conosco i Pennington” lui disse. “Lester è manager finanziario per una società di costruzioni. Non esattamente ricchi, ma certo benestanti. Sono sempre apparsi come una stabile famiglia felice. Perché Lois avrebbe dovuto farlo?”
Era tutto il giorno che April non faceva altro che porsi tale domanda.
“Tiffany dice che non lo sa nessuno” l’adolescente rispose.
“Lois era al primo anno del Byars College. Era stressata al riguardo, ma alla fine …”
Il padre scosse la testa, comprensivo.
“Ecco, forse questo spiega tutto” disse. “La Byars è una scuola difficile. Persino più di quella di Georgetown. E molto costosa. Mi sorprende che la famiglia potesse permettersela.”
April fece un profondo sospiro e non rispose. Suppose che Lois avesse ottenuto una borsa di studio, ma non lo disse ad alta voce. Non se la sentiva di parlarne. E non si sentiva nemmeno di mangiare. Gabriela aveva preparato una delle sue specialità, una zuppa a base di pesce chiamata tapado, di cui April andava davvero matta. Ma, finora, non ne aveva mangiato un solo cucchiaio.
Tutti restarono in silenzio per qualche istante.
Poi Jilly sbottò: “Non si è uccisa.”
Sorpresa, April si voltò verso Jilly. Anche gli altri la stavano guardando. La ragazza aveva incrociato le braccia ed aveva assunto un’espressione molto seria.
“Come?” April chiese.
“Lois non si è uccisa” Jilly ripeté.
“Come fai a saperlo?” April le chiese.
“L’ho incontrata, ricordi? Posso dirlo. Non era il tipo di ragazza che commetterebbe mai un atto simile. Non voleva morire.”
Jilly fece una pausa per un momento.
Poi aggiunse: “So come ci si sente a desiderare di morire. Lei non voleva farlo. Ne sono sicura.”
April sentì il cuore balzarle in gola.
Sapeva che Jilly aveva attraversato la sua bella dose di inferno. La ragazza le aveva raccontato di quando il padre violento l’aveva chiusa fuori casa di notte, al freddo, ed aveva dovuto dormire in un tubo delle fogne, e poi era andata alla fermata per camion, dove aveva provato a diventare una prostituta. Era stato allora che la mamma l’aveva trovata.
Se c’era qualcuno che sapeva come ci si sentiva a voler morire, senz’altro si trattava di Jilly.
April fu assalita da dolore e orrore, pronti ad esplodere dentro di lei. Jilly si sbagliava? Lois si era sentita così infelice?
“Scusatemi” disse. “Non credo di poter mangiare ora.”
April si alzò da tavola e si precipitò di sopra, in camera sua. Chiuse la porta, si lanciò sul letto e iniziò a piangere.
Dopo un po’, sentì qualcuno bussare alla porta. Non sapeva quanto tempo fosse passato.
“April, posso entrare?” la madre chiese.
“Sì” rispose la ragazza con voce strozzata.
April si mise a sedere, mentre la mamma entrava in camera sua con un panino a base di formaggio grigliato in un piatto. La donna sorrise, comprensiva.
“Gabriela ha pensato che possa andar giù meglio del tapado” la mamma disse. “E’ preoccupata che tu stia male, se non mangi. E anch’io sono preoccupata.”
April sorrise tra le lacrime. Era un gesto molto dolce da parte di Gabriela e della mamma.
“Grazie” riuscì a rispondere.
Si asciugò le lacrime e diede un morso al panino. La mamma sedette sul letto accanto a lei e le prese la mano.
“Hai voglia di parlarne?” chiese alla figlia.
April soffocò un singhiozzo. Per qualche ragione, si ritrovò a ripensare al fatto che la sua migliore amica, Crystal, aveva recentemente traslocato. Suo padre Blaine era stato picchiato brutalmente lì in quella casa. Sebbene lui e sua madre fossero attratti l’uno dall’altra, ne era rimasto talmente scioccato da decidere di traslocare.
“Ho la stranissima sensazione” April iniziò “che sia stata colpa mia, in qualche modo. Continuano ad accaderci delle cose terribili, ed è quasi come se fosse una cosa contagiosa. So che non ha alcun senso ma …”
“So come ti senti” la mamma la interruppe.
April era sorpresa. “Davvero?”
L’espressione della mamma si intristì.
“Anch’io mi sento così spesso” disse. “Il mio lavoro è pericoloso. E mette tutti quelli che amo in pericolo. Mi fa sentire in colpa. Molto.”
“Ma non è colpa tua” April osservò.
“Allora come mai pensi che sia colpa tua?”
April non seppe che cosa rispondere.
“Che cos’altro ti preoccupa?” la mamma chiese.
April rifletté per un momento.
“Mamma, Jilly ha ragione. Non penso che Lois si sia suicidata. E anche Tiffany la pensa allo stesso modo. Conoscevo Lois. Era felice, una delle persone più solari che avessi mai incontrato. E Tiffany la guardava con ammirazione. Era l’eroina di Tiffany. Non ha alcun senso.”
April intuì dall’espressione materna che non le credeva.
Crede solo che io sia isterica, pensò April.
“April, la polizia crede che si tratti di suicidio, e la madre ed il padre—”
“Allora si sbagliano” April disse, sorpresa dalla durezza della propria voce. “Mamma, devi controllare. Conosci questo genere di cose più di tutti loro. Anche più della polizia.”
La mamma scosse tristemente la testa.
“April, non posso farlo. Non posso semplicemente cominciare ad indagare su un caso che è già stato chiuso. Pensa a come si sentirebbe la famiglia a riguardo.”
April fece uno sforzo enorme per impedirsi di scoppiare di nuovo a piangere.
“Mamma, ti supplico. Se Tiffany non dovesse mai scoprire la verità, la sua vita sarebbe rovinata. Non riuscirà mai a superarla. Ti prego, ti prego, fai qualcosa.”
Era un enorme favore da chiedere, ed April ne era consapevole. La mamma non rispose per un istante. Si alzò e si diresse alla finestra della camera, guardando fuori. Sembrava stesse riflettendo.
Continuando a guardare fuori, la mamma infine disse: “Andrò a parlare con i genitori di Tiffany domani. Cioè, sempre che intendano parlare con me. E’ tutto quello che posso fare.”
“Posso venire con te?” April chiese.
“Hai la scuola domani” la mamma disse.
“Facciamolo dopo la scuola, allora.”
La donna divenne di nuovo silenziosa, per poi aggiungere semplicemente: “OK.”
April si alzò dal letto ed abbracciò forte la madre. Voleva dirle grazie, ma le era troppo grata, perché le parole venissero fuori.
Se c’è qualcuno in grado di scoprire che cosa c’è che non va, quella è la mamma, April pensò.