Non si va nei bar a cercare sanità mentale C’era un caldo d’inferno nella stanza che avevo preso in affitto, in quel grottesco pomeriggio di metà agosto, quando venni a conoscenza di tutta la storia. Stavo lì da quasi tre mesi ormai. E ancora non sapevo se per l’inverno avrei continuato ad avere un tetto sopra la testa. Mi ero dato una scadenza, dopodiché avrei iniziato a valutare in quale ricovero per barboni trascorrere il resto della mia vita da scrittore fallito. Mi ero ripromesso di non farlo ma, nell’ultima settimana, avevo gironzolato nella zona sud della città, a osservare e prendere nota su dove andassero a finire quelli come me, che non ce l’avevano fatta. Avevo tempo fino a metà ottobre, poi avrei dovuto sloggiare. Non mi ci vedevo a mettermi in fila alla mensa dei poveri o a