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Hotel Venice

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Blurb

Perché Lord Montbarry ha lasciato senza alcun motivo plausibile la fidanzata Agnes? E perché ha deciso di sposarsi con l’equivoca Contessa Narona, una donna instabile che pare in ogni momento sull’orlo della pazzia? Chi è veramente l’angelo sterminatore che la terrorizza? O è lei, invece, l’assassina dagli occhi di ghiaccio? E chi è l’altrettanto equivoco “barone” che l’accompagna come un’ombra, presentato al mondo come “il fratello”? Dalla fredda Inghilterra fino alla seducente laguna veneziana, Hotel Venice corre sul sottile confine che separa la realtà dalla fantasia, le suggestioni dalla follia, l’immaginazione dalla crudele evidenza del delitto e del rimorso. Una storia moderna e imprevedibile, tra i sotteranei e le stanze di un antico palazzo ora diventato hotel di lusso, al chiarore mortale di una Venezia "cinematografica" e lunare, sempre più gotica e sottilmente inquietante.

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Chapter 1
I Nel 1860, a Londra, la reputazione del dottor Wybrow aveva raggiunto il suo apice. Dicevano tutti che aveva uno dei redditi più alti che potesse mai derivare dell’esercizio della sua professione, quella di medico. Verso la fine della stagione londinese, un pomeriggio, il dottore aveva appena pranzato dopo una mattinata di lavoro molto faticosa nel suo studio, e con un'interminabile lista di visite da fare presso i vari pazienti che gli avrebbe preso il resto della giornata, quando il domestico gli disse che c'era una signora che voleva parlargli. Di cosa si tratta? — chiese il dottore. — È una sconosciuta? — Sì, signore. — Non ricevo sconosciuti fuori dall’orario. Dille quando può venire e mandala via. — Gliel’ho già detto, signore. — E allora? — Non se ne vuole andare. — Non se ne vuole andare? — Il dottore sorrise nel ripetere queste parole. Era dotato di umorismo alla sua maniera e la situazione aveva un suo lato assurdo che un po’ lo divertiva. — E questa signora dura di testa ti ha detto come si chiama? — si informò. — No, signore. Si è rifiutata: ha detto che non vi avrebbe preso più di cinque minuti e che la questione era troppo delicata per aspettare fino a domani. Adesso è di là nello studio e come farla uscire va oltre le mie capacità. Il dottor Wybrow ci pensò su un attimo. La conoscenza che aveva delle donne (s'intende professionale) si poggiava su un’esperienza maturata in oltre trentanni. Ne aveva incontrate di tutti i tipi, in particolar modo del tipo che non conosce il valore del tempo e non esita un momento a farsi scudo dei privilegi tipici del suo sesso. Un’occhiata all’orologio gli fece capire che ben presto avrebbe dovuto cominciare il suo giro tra i pazienti che lo stavano aspettando a casa. Decise su due piedi di prendere la sola decisione saggia che dato il caso gli si presentava. In parole povere, decise di darsi alla fuga. — La carrozza? — domandò. — Sì, signore, è all'ingresso. — Benissimo. Apri il portone senza farti sentire e lascia la signora tranquilla padrona dello studio. Quando sarà stanca di aspettare sai cosa dirle. Se ti chiede per che ora sarò di ritorno, dille che mangio al club e che passo la serata a teatro. E adesso fai piano, mi raccomando, Thomas! Se le scarpe ti scricchiolano sono un uomo finito. E si avviò senza fare rumore verso l’atrio, seguito in punta di piedi dal domestico. La signora nello studio si accorse di qualcosa? O erano state le scarpe di Thomas a scricchiolare e la donna aveva un udito particolarmente acuto? Qualunque sia la spiegazione, le cose si svolsero così. Proprio mentre il dottor Wybrow passava davanti al suo studio la porta si spalancò, la donna apparve sulla soglia, e appoggiò la mano sul suo braccio. — Vi prego di non andare, signore, non prima che vi abbia parlato. Aveva un accento straniero, il tono basso e fermo. Le sue dita stringevano delicate ma decise il braccio del dottore. Né le sue parole né il suo gesto ebbero la benché minima influenza sulle decisioni che il dottore intendeva prendere. Ciò che lo bloccò immediatamente mentre si avviava verso la carrozza fu il suo volto, l'effetto che ebbe su di lui. L'incredibile contrasto fra il pallore cadaverico della sua pelle e la vivacità e la fiamma irresistibili, lo scintillante splendore metallico dei suoi occhi neri, lo avevano letteralmente conquistato. Vestiva un abito scuro, di gusto perfetto; era alta nella media e (apparentemente), un anno o due oltre i trenta. Gli altri lineamenti — il naso, la bocca, il mento — avevano quella finezza e delicatezza di forme che è più facile vedere fra le donne di altra origine che fra quelle inglesi. Era senza dubbio attraente, con l’unica seria controindicazione di un colorito spettrale, al quale andava aggiunta una totale assenza di tenerezza nell’espressione degli occhi. Oltre alla prima reazione di sorpresa, la sensazione che suscitava nel dottore può essere descritta come un irresistibile senso di curiosità professionale. Avrebbe potuto essere un caso del tutto nuovo nella sua professione. “Così appare”, pensava, “e sarà meglio non andare”. La donna si rese conto di avere provocato su di lui una forte impressione e così gli lasciò il braccio. — Avete aiutato molte donne che soffrivano nella vostra vita, — disse lei. — Aiutatene una anche questa volta. Senza aspettare risposta si avviò, lei per prima, verso la stanza. Il dottore la seguì e chiuse la porta. La fece accomodare sulla sedia destinata ai pazienti davanti alle finestre. Quel pomeriggio d'estate, il sole era di uno splendore abbagliante addirittura a Londra. La luce si riversava su di lei. I suoi occhi le andavano incontro senza battere ciglio, con la decisione ammirabile degli occhi di un rapace. Il pallore piano della sua pelle liscia era di un biancore più pauroso che mai. In tanti e tanti anni il dottore sentì i battiti del suo polso accelerare davanti a una paziente. Una volta che la sua attenzione si era posata su di lei, cosa strana, lei sembrava non avere nulla da dirgli. Una strana apatia pareva essersi impadronita di quella donna decisa. Il dottore fu così obbligato a parlare per primo e quindi si attenne alla formula convenzionale, ovvero si informò su cosa potesse fare per lei. Il suono della sua voce sembrò risvegliarla. Continuando a fissare la luce, lei disse all'improvviso: — Vi devo fare una domanda spiacevole. — Di che cosa si tratta? Il suo sguardo distolse piano dalla finestra per posarsi sul viso del dottore. Senza dimostrare il benché minimo turbamento, fece la “spiacevole domanda” con queste incredibili parole: — Vorrei sapere, vi prego, se rischio di diventare pazza? Qualcuno si sarebbe messo a ridere, qualcun altro si sarebbe preoccupato. Il dottor Wybrow sembrava solamente deluso. Era quindi questo il caso raro al quale aveva immaginato, giudicando stupidamente dalle apparenze? La nuova paziente era quindi solo una donna ipocondriaca, la cui malattia era uno stomaco in disordine e la cui disgrazia era un cervello grande come una noce? — Perché siete venuta da me? — chiese scocciato. — Perché non andate un medico cui compete la cura dei malati di mente? La donna aveva già la risposta pronta. — Se non vado da un medico del genere, — disse, — è esattamente perché è uno specialista e quindi è sua abitudine giudicare tutti in base a regole e principi che lui stesso si è dato. Sono venuta qui da voi perché il mio caso non rientra in alcuna regola o principio e perché voi siete noto nel vostro ambiente per le scoperte dei misteri che si nascondono nel male. Siete soddisfatto? Era più che soddisfatto: la prima idea che si era fatto alla fine era quella corretta. Era anche bene informata sulla sua posizione professionale. Infatti a farlo diventare noto era stata la sua capacità (per la quale non aveva rivali) di scoprire malattie rare, inusuali. — Sono a vostra disposizione, — rispose. — Vediamo se riesco a scoprire cosa c’è che non va in voi. Iniziò così con le sue domande professionali. Alle quali la donna rispose subito e in modo chiaro. Una sola conclusione era possibile trarre: la strana signora godeva, mentalmente e fisicamente, di ottima salute. Non soddisfatto dalle domande, cominciò ad esaminare con cura i punti vitali dell’organismo. La sua mano e lo stetoscopio non riuscirono a scoprire nulla di anormale. Con tutta la pazienza e l'attenzione che lo avevano contraddistinto fin da quando era uno studente, continuò a sottoporla a un esame dopo l’altro. Il risultato non cambiava. Non solo non si notava alcuna tendenza verso i disturbi mentali, ma non era nemmeno riscontrabile un minimo squilibrio nervoso. — Non c'è proprio nulla fuori posto, — disse. — Non so neanche spiegarmi l'eccessivo biancore della vostra pelle. Mi lasciate sconcertato, davvero. — Il pallore della mia pelle non è nulla, — rispose con un minimo moto d’impazienza. — Una volta per poco non sono morta avvelenata. Da allora il colorito mi ha abbandonato... e poi ho una carnagione cosi delicata che non mi posso truccare senza irritarmi tremendamente. Ma ciò non ha alcuna importanza. Volevo un responso preciso. Avevo fiducia in voi e mi avete deluso. — Abbassò il capo contro il petto. — Questo è il risultato! — disse fra sé amaramente. Il dottore, molto sensibile, ne fu scosso. Forse sarebbe meglio dire che era stato un po’ ferito nel suo orgoglio professionale. — Il risultato potrebbe essere molto migliore, — osservò, — se voi voleste veramente aiutarmi. La donna risollevò con un lampo negli occhi la testa: — Spiegatevi, — disse. — Come vi posso aiutare? — Voi, signora, voglio essere chiaro, arrivate da me come un enigma da risolvere eppoi mi lasciate con i soli mezzi messi a disposizione dal mia mestiere a cercare di trovare la soluzione di tutto. La mia professione può molto ma non può tutto. Qualcosa dev’essere accaduto, ad esempio — qualcosa che non è per forza collegato alla vostra salute fisica — perché voi abbiate paura, altrimenti non sareste mai venuta qui per un consulto. Non è così? La donna sbatté le mani sulle sue ginocchia. — È vero! — disse agitandosi. — Ricomincio ad avere fiducia in voi. — Molto bene. Non aspettatevi però che io capisca ciò che vi ha turbata. Posso affermare con assoluta certezza che la cosa non ha alcuna causa fisica, ma (a meno che non mi diate la vostra completa fiducia) non posso andare oltre. Lei si alzò e fece il giro della stanza. E se vi raccontassi tutto? — disse. — Ma... non farò nomi! — I nomi non mi interessano, sono i fatti che voglio. — I fatti non sono niente, — riprese lei. — Posso solo confessarvi le mie impressioni... e voi finirete per credermi una stupida con troppa fantasia quando saprete di che cosa si tratta. Ma non fa niente. Cercherò di accontentarvi: comincerò con i fatti che volete sapere. Ma datemi retta, non vi aiuteranno molto. Si sedette di nuovo e, con le parole più semplici possibili, cominciò la più strana e folle confessione che mai l’orecchio del dottore avesse ascoltata.

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