Nel deserto della notte

Nel deserto della notte

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Blurb

È il deserto freddo della notte che mette spietatamente gli individui di fronte alle loro fragilità e paure, alle loro vigliaccherie e frustrazioni, quando l’istinto di sopravvivenza supera la vergogna, fa dimenticare ogni sentimento di amicizia o solidarietà, rende gli uomini delatori o carnefici. Un apologo politico – La convocazione – una parabola soprannaturale – La zuppa del diavolo – e un dramma dell’assurdo di impronta kafkiana – Il rito – formano il trittico di storie di taglio fantastico che compone questo volume, in cui l’ironia drammatica dell’autore dà vita a tre protagonisti, imbozzolati in un sistema ineluttabile, che si rivelano pavidi, egoisti, manipolabili, costretti a lottare contro un destino crudele per sopravvivere, ma anche incapaci di dare un senso alla loro vita.

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La convocazione-1
La convocazione Era ormai la mezzanotte passata quando Pedro Basquets, proprietario del «Jolly Catering», udì il campanello del proprio piccolo appartamento suonare con insistenza. Strappato via – in modo brusco ma provvidenziale – da un incubo atroce, si alzò di soprassalto e ansimò a bocca aperta, prima di realizzare dove si trovava. Nel tentativo di accendere la luce batté il polso contro lo spigolo del comò. Il colpo, piuttosto violento, ebbe l’effetto di risvegliarlo del tutto. Urlò con voce arrochita al perentorio visitatore che stava arrivando, inforcò gli occhiali, si diresse all’uscio e lo aprì. Un uomo, con cappello floscio e trench color ocra, stava in piedi oltre la soglia, dritto come una lancia e non meno minaccioso. Il padrone di casa si sentì letteralmente risucchiare da due occhietti che parevano voraci quanto le fessure di una slot-machine. «Il Signor Pedro Basquets?» sibilò il personaggio, con tono autoritario. Il timbro di voce tagliente ebbe sull’intontito Pedro un effetto terribile: le ginocchia iniziarono a tremargli, la parlantina – solitamente sciolta se non addirittura brillante – si inibì e le lenti gli si appannarono. Quelle semplici parole gli avevano fatto capire di essere nel mirino delle autorità. Incapace di acconsentire con la favella, annuì con il capo. In fondo, se lo aspettava. Quella sciocca smania di scrivere poesie che, per quanto innocue, qualcuno avrebbe potuto considerare come sovversive, era già di per sé foriera di guai non indifferenti ma, a peggiorare le cose, a lui si potevano imputare anche recenti frequentazioni di artisti non proprio bene accetti dalle alte sfere politiche e militari. Da quando la situazione del Paese era precipitata, tutte le voci non concilianti erano state zittite e Pedro, sebbene non si fosse particolarmente distinto nel milieu della sinistra colta, si era da subito sentito esposto in qualche misura a possibili ritorsioni. Né mancavano concorrenti sleali, pronti alla maldicenza o alla delazione, pur di giovarsi di una sua caduta in disgrazia. Eppure, dentro di sé, egli sapeva che c’era ben altro. Si era messo nei guai soprattutto a causa di Magda, la bellissima venticinquenne che conosceva da meno di sei mesi e che lo aveva stregato. Magda, la gatta dagli occhi verdi che, purtroppo per lui, si illuminavano solo davanti a Claudio Bioy, amico fraterno di Pedro, ben più giovane e fisicamente ben più attraente di lui, quarantenne ansioso, occhialuto e dalla calvizie incipiente. Nonostante ciò, si era aggregato ai due, noti attivisti, solo per stare vicino a Magda e condividere con lei almeno un po’ di tempo. Non pago, quando l’aria per i due si era fatta pesante, aveva pure acconsentito a nasconderli. Ormai la frittata era fatta, il suo nome era stato segnalato e lo avevano messo sulla lista nera dei potenziali nemici del nuovo governo. Chi o che cosa avrebbe mai potuto salvarlo, adesso? «Se permette, dovrei entrare» disse lo sconosciuto, superando la soglia con decisione. Pedro si fece da parte per farlo passare e poi chiuse la porta. Deglutendo, chiese: «Di che cosa mi si accusa?» L’incrinatura avvertibile nella voce di Pedro parve divertire l’uomo. «Nervoso? Ne ha ben donde. Lei ci è stato segnalato come partecipante assiduo a convegni sediziosi.» «I-io? Ma no, io sono solo un piccolo imprenditore del settore alimentare. Come potrei mischiarmi a gente che vorrebbe impiccare quelli come me, e non solo in effigie? Io ho solo partecipato ad alcune manifestazioni culturali.» A Pedro sembrò meno sciocco e più dignitoso impostare la propria difesa sull’innocuo amore per la cultura, privo di secondi fini ideologici, piuttosto che insistere sul vero motivo – prettamente personale ed egoistico – delle sue frequentazioni. Lo sconosciuto, che nel frattempo si era posizionato al centro del soggiorno, lo ascoltò senza muovere un muscolo, prima di replicare freddamente: «Questo resta da vedere. Intanto si vesta. Lei è convocato dal Comitato di Igiene Pubblica e deve seguirmi seduta stante». Pedro fu sul punto di avanzare una timida protesta, ma una nota stringata, che lo sconosciuto prese da una tasca del proprio trench e che gli porse con decisione, soffocò ogni velleità di resistenza. Nella nota, senza data né firma, si convocava il signor Pedro Santiago Basquets per non meglio specificati “accertamenti”. Altre spiegazioni non erano fornite. A Pedro non restò che adeguarsi. S’infilò in camera da letto e, dopo qualche minuto, vestito in modo del tutto informale, ritornò nel soggiorno. Qui, s’accorse che l’incaricato del suo arresto – perché tale si doveva ritenere quella convocazione – stava fissando qualcosa, segnatamente un vaso di vetro. Pareva inoltre che le sue mascelle si stessero muovendo. «Che cosa c’è qui dentro?» chiese al padrone di casa, senza distogliere lo sguardo. «Sono una mia specialità. Mi diletto di pasticceria e quelli sono… ehm, datteri ripieni di una crema al rum e cioccolato» spiegò Pedro. L’uomo, che ancora non aveva fornito le proprie generalità, lo squadrò, divertito. Schioccò la lingua, quasi a testimoniare il proprio apprezzamento, e disse: «Notevoli. Li metta in un sacchetto e li porti con sé. Potrebbero giovare alla sua causa». Sebbene non capisse appieno quel curioso suggerimento, Pedro lo seguì alla lettera. Dopodiché uscì dalla sua abitazione, ne chiuse l’ingresso e scese le scale, davanti al visitatore notturno. Quando fu in strada, Pedro comprese di aver sottovalutato il vento di quella precoce primavera, ancora carico del gelo delle montagne. Rabbrividì, facendo ridacchiare l’incaricato. «Non ha pensato, dunque, che la temperatura a quest’ora di notte poteva essere poco clemente? Voi sovversivi, anche nelle piccole cose… bah! Non tema, useremo quella macchina lì. Ecco, ci salga.» Pedro obbedì, sedendo vicino al posto del guidatore, subito occupato dallo scorbutico scagnozzo. Ma, quando costui prese la chiave dal proprio trench e cercò di avviare il motore, l’auto non partì. Ci riprovò ancora e ancora, ma senza successo. «Ingolfata. Ecco lo schifo che passano a quelli chiamati a collaborare con i volontari del Comitato, robaccia da rottamare. Bene, vuol dire che all’Hotel Zuniga de Jorba ci andremo a piedi. Scenda.» Appena udì il nome dell’hotel, il cuore di Pedro accelerò i battiti. Non solo conosceva bene quel celebrato albergo, per aver spesso fornito il rinfresco destinato a numerosi convegni ivi ospitati, ma prima che quell’uomo lo svegliasse egli stava sognando di trovarsi proprio lì. Scesero e presero a camminare. Durante il percorso verso l’hotel, cercò di rammentarsi l’incubo spaventoso e sgradevole che aveva sognato. Lui, vestito in modo impeccabile, stava tenendo una conferenza sulla poesia davanti a una tavolata imbandita, quando si era reso conto che le donne e gli uomini davanti a lui erano semplici manichini di plastica, con tanto di sorrisi dipinti. Con stupore, s’accorgeva di tenere in mano un foglio sul quale era apposta, con inchiostro vermiglio, la propria firma, prima di spostare lo sguardo sul tavolo, dove era apparso un lenzuolo rigonfio che egli si era risolto a togliere, scoprendo qualcosa di orrendo. Giusto in quell’istante, una folata impetuosa di vento lo investì, gelandolo. Chiuse gli occhi e scosse la testa, come se cercasse invano di scacciare quella visione che tanto lo aveva turbato. Intanto, il suo accompagnatore commentò: «Sì, fa freschino, ma non si crucci troppo; in dieci minuti saremo a destinazione. Ehilà, chi si vede. Il buon Adolfo Garcia. Ciao, Adolfo». Quel saluto improvviso era indirizzato a un soldato che stava in piedi, vicino a un’utilitaria parcheggiata in flagrante divieto di sosta. In quella stessa macchina, un altro militare stava per caricare un individuo corpulento, che Pedro riconobbe subito: era il rubizzo e cherubico Antonio Ferri, tipografo, un fervente sinistrorso che gli aveva stampato un paio di raccolte ciclostilate da donare a membri scelti del «Circolo Culturale Ortega» (una, con dedica speciale, era stata stampata anche per Magda). Antonio sembrava decisamente sconvolto e Pedro notò da alcuni particolari – le calze spaiate e il pigiama infilato alla bell’e meglio nei calzoni – che quel suo conoscente doveva essere stato prelevato in piena notte dall’esercito; ammise che al tipografo era andata peggio che a lui. «Ma che ci fai in giro a quest’ora, Pablo?» chiese a sua volta il soldato, un giovanotto baffuto con uno strano tic alla bocca, rispondendo al saluto dello sconosciuto e chiamandolo per nome. «Non mi dirai che ti sei perso.» «Hai poco da fare lo spiritoso! Tu lavori per l’esercito e hai mezzi più che decenti a disposizione. Io, per contro, sono stato assegnato ai volontari da operetta del Comitato, le cui vetture sono roba di terz’ordine. Puah! Per mia fortuna, il punto di raccolta non è troppo lontano.» «Non ti lamentare, sei pur sempre agli ordini di Carvajal-Garranzo. Quello è un pezzo grosso, un intellettuale in ascesa, molto stimato dal Presidente. E anche i suoi paramilitari sono rispettati.» Mentre questo scambio di battute proseguiva, Pedro provò a incrociare lo sguardo di Antonio. Ma questi, quasi raggrinzito dalla paura, sedeva ammanettato e fissava con occhi inespressivi il sedile davanti a sé. L’altro militare, che intanto si era accomodato vicino al prigioniero, a un certo punto si spazientì e gridò: «Allora, Garcia, vogliamo levare le ancore? O dobbiamo fare notte?» Il soldato, in tutta evidenza un subordinato, non se lo fece ripetere ed entrò di corsa in macchina, salutando Pablo. Costui ricambiò, agitando la mano destra. Una volta che la vettura ebbe ingranato la prima, i due ripresero a camminare. Il silenzio regnò tra di loro fino a quando l’uomo che era venuto a prelevarlo non trasse dall’interno del trench un pacchetto di sigarette. Ne prese una, rimise a posto il pacchetto, e disse con un sorriso oscenamente maligno: «Lei non fuma, spero. È un vizio che nuoce alla salute e accorcia la vita». Pedro non reagì davanti alla provocazione, restando zitto e lasciando che fosse l’altro a parlare. «E dunque, lei ora conosce il mio nome. Poco male. Anzi, sarà meglio che completi la presentazione: mi chiamo Pablo Satrustegui e lavoro per la Polizia di Stato. Sulla scia del glorioso pronunciamento contro quel governo di malfattori che stava per condurre la nostra Patria allo sfascio, mi hanno assegnato al sostegno del Comitato per identificare e rastrellare tutti quei pesci piccoli con i quali l’esercito non vuole perdere tempo. Gente come lei, insignificante ma pericolosa, perché ignara di ciò che combina e che ricade sullo Stato, su tutti noi.» In effetti, il golpe non era stato senza conseguenze nemmeno per i militari e la polizia. Gli uomini e le donne in uniforme fedeli al governo legittimo erano stati epurati e, per operazioni di vasto respiro, si era reso necessario il sostegno di un’organizzazione paramilitare, il Comitato di Igiene Pubblica. Tale comitato faceva capo a un gruppo di personaggi di spicco, tra cui Carvajal-Garranzo, poeta e intellettuale di assoluto spessore, benché irriducibilmente reazionario. A lui, e ad altri quattro “illustri” esponenti dell’estrema destra, era stata affidata l’istituzione di quel Comitato, legittimato a ripulire il paese da elementi sgraditi ma di secondaria importanza, appartenenti al sottobosco dell’intellettualità impegnata. Quel corpo speciale – quasi del tutto privo di professionisti – rispondeva del proprio nefando operato solo all’esercito. Pedro, al contrario di Ferri, era un neofita non ancora ben inserito in quel tessuto politicizzato; eppure, in tutta evidenza, era bastata una sua pur limitata partecipazione a certe riunioni per farsi marchiare come nemico del nuovo regime. Pablo Satustregui, immerso in una nuvola di fumo, continuò a sproloquiare, senza che le sue parole scalfissero Pedro, fino a quando entrambi giunsero in vista della facciata – maestosa ancorché kitsch nelle sue decorazioni in stile Gaudì – dell’Hotel Zuniga. Mentre si avvicinavano all’entrata, i due notarono che, disteso sul selciato, c’era un corpo ricoperto da un lenzuolo. Pedro, con una semplice occhiata, colse un dettaglio che lo folgorò: il dito medio della mano sinistra, che fuoriusciva dal lenzuolo, era troncato a metà. Comprese allora di trovarsi di fronte al cadavere di Arturo Cuadrado, un operaio che aveva conosciuto al circolo culturale. A quella vista, le orecchie iniziarono a ronzargli. In piedi, davanti al morto, sostava un paramilitare. Indossava la tipica uniforme color kaki e aveva appena finito di tracciare con un gessetto la silhouette dei mortali resti di Cuadrado. Accortosi dei nuovi arrivati, disse: «Ciao, Pablo. Vedo che ne hai rastrellato un altro, eh?» L’odioso Satustregui annuì, prima di sentenziare: «Un altro che non voleva parlare e ha deciso di farla finita, immagino». «Ah, ah, ah… già, sta diventando un’epidemia. Questo qui ha scelto di fare un bel volo di nove piani.» Pedro, intanto, fissava il dito tronco di Cuadrado e, sofferente di vertigini com’era, pensava tra sé: «Dio, che morte tremenda gli è toccata». Satustregui, intanto, decise di tagliare corto. «Bene, Guillermo. Io entro con questo, poi magari ci vediamo per un liquorino. La notte sarà ancora lunga.» Dopodiché, prese per il gomito l’intontito Pedro e lo trascinò verso l’entrata principale dell’albergo. Una volta passata la porta girevole, la hall dell’hotel – non priva di maestosità ma arredata in modo stravagante ed eterogeneo – accolse i due come una bocca sensuale ma traditrice, pronta a ingoiare chi si avvicinava troppo. Quel luogo, una volta rinomato ritrovo per uomini d’affari locali e stranieri, era divenuto una spettrale parodia di ciò che era stato. Nessun turista vi pernottava più ma, in compenso, lo stabile brulicava di uomini e donne del Comitato, che lo avevano requisito per farne il proprio centro di detenzione temporanea.

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