II. L’AVVOCATO DELLE HIGHLANDSCarlo Stewart, l’avvocato, abitava in cima alla scala più lunga che mai muratore avesse costruito: quindici rampe, non meno, tanto che quando giunsi alla sua porta e un impiegato mi aprì dicendomi che il suo principale era in casa, trovai a mala pena il fiato per spedir via il mio fattorino.
«E vattene a est e a ovest!», esclamai; presi la borsa di denaro dalle sue mani e seguii l’impiegato nell’interno. La prima stanza era un ufficio con una sedia per il giovane di studio e un tavolo cosparso di fogli. Da qui si passò nella seconda camera dove si trovava un ometto dall’aria sveglia, intento a studiare un documento da cui sollevò appena gli occhi al mio apparire; in realtà egli tenne il dito sul foglio come se pensasse di rimandarmi indietro e di ripiombare subito nei suoi studi. La cosa non mi garbò affatto e ciò che mi piacque ancor meno fu il pensiero che l’impiegato si trovasse proprio nel luogo migliore per poter udire quanto avremmo detto. Gli domandai se fosse il signor Carlo Stewart, l’avvocato.
«In persona», rispose; «e se posso rivolgerle la stessa domanda, lei chi sarebbe?».
«Non ha mai sentito nominare né il mio nome né la mia persona», feci, «ma le porto un pegno da parte di un amico che lei conosce benissimo», continuai abbassando la voce, «ma che forse lei non ha molta voglia di sentir nominare in questo momento. L’affare che debbo proporle è di natura piuttosto confidenziale. In breve, desidererei che fossimo completamente soli».
Egli si alzò senza aprir bocca, lasciò cadere il foglio con aria seccata, spedì fuori l’impiegato per una commissione, e chiuse la porta di casa alle sue spalle.
«E ora, signore», disse tornando, «esponga il suo pensiero senza timore, sebbene, prima che cominci, debba dirle che lei non mi ispira molta fiducia. Lei è uno Stewart o è uno Stewart che la manda. È un buon nome e tale che non può essere preso alla leggera dal figlio di mio padre, senonché io rabbrividisco al solo sentirlo nominare».
«Io mi chiamo Balfour», dissi, «David Balfour di Shaws. Quanto a colui che mi manda, lascerò parlare il suo pegno». E gli mostrai il bottone d’argento.
«Lo rimetta in tasca per carità!», esclamò l’avvocato. «Non occorre far nomi. Riconosco il suo bottone. Ma che razza di ostinato! Che il diavolo se lo porti! E ora dove si trova?»
Gli dissi che non sapevo dove Alan si trovasse ma che aveva un nascondiglio sicuro, o per lo meno credevo che lo avesse, sulla riva settentrionale, dove pensavo sarebbe rimasto fin quando non gli avessimo trovato una nave, e aggiunsi dove e quando aveva stabilito gli si potesse parlare.
«Ho sempre pensato che sarei finito appeso a una fune per colpa di questa mia famiglia», esclamò l’avvocato, «e, accidenti, penso che ora sia giunto il momento. Procurargli una nave, dice lui. Ma chi pagherà? Quell’uomo è pazzo!»
«Di questo me ne occupo io, signor Stewart», dissi. «Qui c’è una borsa di denaro e se ne occorrerà dell’altro se ne può avere ancora dal luogo donde è venuto questo».
«Non occorre domandarle quali siano le sue idee politiche», osservò Stewart.
«Non occorre», risposi sorridendo, «perché sono Whig quanto è possibile esserlo».
«Si fermi, si fermi un momento», esclamò l’avvocato. «Che significa tutto ciò? Lei è un Whig? Allora come mai si trova qui col bottone di Alan? E che razza di strana faccenda è questa nella quale la trovo immischiato, signor Whig? Qui abbiamo un ribelle privato di ogni diritto e accusato d’omicidio, con duecento sterline di taglia sulla testa e lei mi chiede di immischiarmi in questo affare dicendomi poi di essere un Whig! Non mi ricordo di aver mai visto dei Whigs simili prima, e sì che ne ho conosciuti parecchi».
«Se si tratta di un ribelle che ha perso ogni diritto, questo è tanto più doloroso», dissi, «in quanto egli è mio amico, e posso solo rimpiangere che non sia stato meglio guidato. Quanto all’essere accusato d’omicidio, lo è per sua disgrazia, ma lo è ingiustamente».
«Questo lo dice lei», fece Stewart.
«Oltre a lei altri me lo sentiranno dire fra non molto. Alan Breck è innocente e lo è pure Giacomo».
«Oh!», fece lui; «i due casi sono collegati. Se Alan non c’entra anche Giacomo ne è fuori».
Allora gli raccontai brevemente della mia conoscenza con Alan, del caso che mi aveva portato a essere presente all’assassinio di Appin, dei punti salienti della nostra fuga attraverso la brughiera e del recupero delle mie sostanze. «Così, signore, lei ha ora il resoconto completo degli avvenimenti», proseguii, «e può benissimo rendersi conto di come io mi sia venuto così a trovare immischiato negli affari della sua famiglia e dei suoi amici che, per amore di tutti noi, avrei desiderato più normali e meno sanguinari. Lei stesso può vedere come abbia alcune faccende da sistemare e come queste non siano le più adatte a essere sottoposte a un avvocato scelto a casaccio. Non mi rimane quindi altro da fare che chiederle se lei vuol mettersi al mio servizio».
«Veramente non ne ho una gran voglia, ma presentandosi, come lei ha fatto, col bottone di Alan, non mi rimane molto da scegliere», rispose Stewart. «Quali sono le sue istruzioni?», aggiunse prendendo la penna.
«La prima è quella di fare uscire clandestinamente Alan dal paese», dissi, «ma questo non occorre ripeterlo».
«È poco probabile che lo dimentichi», fece Stewart.
«La seconda faccenda riguarda quel denaro che debbo a Cluny», proseguii. «A me riuscirebbe difficile trovare un mezzo sicuro per farglielo avere, mentre la cosa sarebbe assai semplice per lei. Si tratta di due sterline, cinque scellini e tre pence e mezzo».
Egli prese nota.
«Poi», feci, «ci sarebbe un certo signor Henderland, un predicatore autorizzato e missionario di Ardgour, a cui sarei felice di fare avere un po’ di tabacco; e siccome suppongo che lei entrerà in contatto con i suoi amici di Appin, che si trova lì vicino, penso che questo sia un incarico che potrà portare a compimento insieme all’altro».
«Quanto deve essere il tabacco?», chiese Stewart.
«Facciamo un paio di libbre», risposi.
«Due libbre».
«Poi c’è quella ragazza di Lime Kilns, Alison Hastie», continuai. «Fu lei che aiutò Alan e me ad attraversare il Forth. Penso che se potessi farle avere un abito per la festa, qualcosa di adatto alla sua condizione, la mia coscienza sarebbe più tranquilla; poiché la pura e semplice verità è che le dobbiamo la vita».
«Vedo con piacere che lei è una persona economa», signor Balfour», disse Stewart prendendo nota.
«Mi vergognerei a non esserlo il primo giorno della mia fortuna», feci. «E ora se volesse calcolare le spese e il suo onorario, gradirei sapere se mi rimane ancora del denaro da spendere. Ciò non significa che non lo darei anche tutto, e volentieri, per Alan, e nemmeno che non ne abbia dell’altro; ma avendone ritirato tanto in un giorno solo, penso che farei una brutta figura se ritornassi il giorno successivo a chiederne ancora. Si assicuri solo di averne a sufficienza», aggiunsi, «dato che non desidero affatto incontrarmi ancora con lei».
«Bene, sono contento di vedere che lei è anche previdente», disse l’avvocato. «Ma ritengo che corra un bel rischio a lasciare a mia disposizione una così ingente somma di denaro».
Ciò dicendo sorrise ironicamente.
«Devo correre questo rischio», risposi. «E ho un’altra cosa da chiederle. Mi indichi un alloggio poiché sono ancora senza tetto. Ma deve essere un alloggio dove io possa sembrare capitato per puro caso, perché sarebbe un guaio se il procuratore generale finisse con l’avere qualche sospetto sulla nostra relazione».
«Lei può stare tranquillo», fece lui. «Non farò mai il suo nome, signore, ed è mia opinione che il procuratore non abbia ancora avuto la fortuna di sapere della sua esistenza».
Mi accorsi di non avere preso l’uomo per il verso giusto.
«Allora si prepara una giornata radiosa per lui», feci, «perché dovrà venirne a conoscenza suo malgrado non più tardi di domani, quando passerò da lui».
«Quando passerà da lui!», ripeté il signor Stewart. «Sono pazzo io o lo è lei? Che cosa la spinge ad andare dal procuratore?»
«Oh, vado semplicemente a costituirmi», feci.
«Signor Balfour», gridò lui, «si sta burlando di me?».
«No, signore», dissi, «sebbene ritenga che lei si sia preso questa libertà con me. Vorrei farle capire una volta per sempre che non ho alcuna voglia di scherzare».
«E neppure io», fece Stewart. «E desidero farle capire, per servirmi della sua stessa espressione, che il suo modo di fare mi piace sempre meno. Lei viene qui con ogni sorta di richieste che mi coinvolgeranno d’ora in poi in una quantità di azioni sospette e mi metteranno a contatto con persone poco raccomandabili, e poi mi viene a dire che ha intenzione di andare, appena fuori dal mio ufficio, dal procuratore per riconciliarsi con lui. Bottone di Alan sì o bottone di Alan no, egli stesso in carne e ossa non mi farebbe procedere oltre in questa faccenda».
«Se fossi al suo posto me la prenderei meno», dissi, «e forse si potrebbe evitare ciò che a lei non garba. Io non vedo altra via che quella di costituirmi, ma forse lei ne vede un’altra; se è così non potrò certo negare di sentirmi assai sollevato. Infatti penso che questa mia visita al procuratore non sia tale da giovare alla mia salute. Una sola cosa è chiara, e cioè che devo dare la mia testimonianza, poiché spero che ciò salverà l’onore di Alan, o ciò che ancora ne rimane, e il collo di Giacomo, cosa ben più urgente».
Stewart rimase in silenzio un secondo, poi riprese:
«Ragazzo mio, lei non potrà mai fare una simile testimonianza».
«Lo vedremo», dissi, «sono ostinato, quando voglio».
«Asino che non è altro!», gridò Stewart, «è Giacomo che vogliono; Giacomo deve venire impiccato, e Alan pure se potessero acciuffarlo. Ma Giacomo in ogni modo! Avvicini il procuratore per una simile faccenda e vedrà se quello non troverà il modo di imbavagliarla!».
«Ho un’opinione migliore del procuratore», dissi.
«Al diavolo il procuratore!», gridò. «Sono i Campbell, ragazzo mio, che contano! Avrà tutto il loro clan contro di lei; e così pure il procuratore, povero diavolo! È incredibile come lei non riesca a capire la situazione! Se non ci sarà un mezzo pulito per farla stare zitto, se ne troverà uno sporco. La possono portare sul banco degli accusati, non lo capisce questo?», gridò l’avvocato dandomi un colpetto sulla gamba.
«Già», risposi, «la medesima cosa mi venne detta non più tardi di questa mattina da un altro avvocato».
«E chi era?», chiese Stewart. «Se non altro diceva delle cose giuste».
Gli dissi che doveva scusarmi se non lo nominavo dato che si trattava di un vecchio e dignitoso Whig che aveva poca voglia di venire immischiato in simili faccende.
«Mi sembra che tutti vi siano immischiati!», esclamò Stewart. «Ma che cosa le disse?»
Gli raccontai quanto era avvenuto tra Rankeillor e me davanti alla casa di Shaws.
«Benone, così anche lei verrà impiccato!», esclamò. «Sarà impiccato a fianco di Giacomo Stewart; ecco la sua sorte».
«Spero ancora in qualcosa di meglio», replicai, «ma debbo riconoscere che ci sono dei rischi».
«Rischi?», fece lui e rimase un attimo in silenzio. «Dovrei ringraziarla per la sua fedeltà nei riguardi dei miei amici verso i quali mostra una così buona disposizione», proseguì, «se pure avrà la forza di perseverare. Ma la avviso che sta correndo un pericolo serio. Non mi metterei al suo posto, io che sono uno Stewart, per tutti gli Stewart che ci furono da Noè in poi. Rischi! Ebbene io ne corro molti: ma venir giudicato in tribunale davanti a una giuria di Campbell e a un giudice Campbell, e ciò in un paese Campbell sopra una questione Campbell, ebbene, pensi di me ciò che vuole, è superiore alle mie forze».
«Si tratta, probabilmente, di un modo diverso di pensare», dissi; «io fui educato così da mio padre».
«Pace all’anima sua! Ha lasciato un figlio degno del suo nome», fece. «Non vorrei però che lei mi giudicasse troppo severamente. Il mio caso è assai difficile. Vede, signore, lei mi dice di essere un Whig: io mi chiedo che cosa sono. Un Whig no di certo; non potrei proprio esserlo. Ma, lo tenga per lei, signore, non sono forse neppure troppo propenso verso l’altro partito».
«Davvero?», gridai. «È proprio quello che avrei pensato di un uomo della sua intelligenza».
«Suvvia, non mi aduli!», esclamò. «Ci sono persone intelligenti da ambedue le parti. Ma d’altronde io non ho proprio alcun desiderio di fare del male a re Giorgio; e per quanto riguarda re Giacomo, Dio lo benedica! Per me fa benissimo a rimanere al di là del mare. Sono un avvocato, vede: amo i miei libri e la mia bottiglia, una buona arringa, una causa ben condotta, un dibattito in Parlamento con altri avvocati, e magari una partita di golf il sabato pomeriggio. A che mi servono i plaid e gli spadoni scozzesi?»
«Ebbene», dissi, «lei ha veramente poco del selvaggio Highlander».
«Poco?», esclamò. «Nulla, ragazzo mio, nulla. Eppure sono Highlander di nascita e quando il clan suona la cornamusa, chi se non io dovrei danzare? Il clan e il proprio nome, questo avanti tutto. È proprio come diceva lei; mio padre me lo insegnò e ne ho ricavato davvero un bel lavoro. Tradimenti e traditori, e il farli uscire e il farli entrare e poi il reclutamento per la Francia; sono stanco morto di tutto ciò, e del fare uscire le reclute, e della loro difesa… che disgrazia quelle cause! Qui stavo appunto curandone una per Ardshiel, un mio cugino; rivendicazioni di beni vincolati dal contratto matrimoniale, di beni confiscati. Gli dissi che era un’assurdità: ma sì che se ne preoccupò! Ed eccomi qui a sudare insieme a un altro avvocato cui questa faccenda piace quanto a me; è un vero disastro per entrambi, un marchio nero, il sospetto che grava sul nostro capo come il nome del proprietario segnato sul bestiame! Ma che cosa posso farci? Sono uno Stewart, vede, e devo difendere il mio clan e la mia famiglia. E poi non più tardi di ieri uno degli Stewart venne portato al castello. Per che cosa? Lo so benissimo: decreto del 1736: reclutamento per il re Luigi. E vedrà se non cercherà me come avvocato, e così ci sarà un altro marchio nero sulla mia persona. Le dico sinceramente: se solo sapessi un po’ di ebraico, manderei al diavolo tutto e mi farei prete».
«È davvero una posizione difficile la sua», dissi.
«Spaventosa!», gridò. «Ed ecco perché mi stupisco tanto che lei, pur non essendo uno Stewart, si spinga così addentro negli affari degli Stewart. E per qual motivo, non capisco: a meno che non sia per senso del dovere».
«Spero proprio si tratti di questo», dissi.
«Ebbene», riprese l’avvocato, «questa è una bella qualità. Ma ecco di ritorno il mio impiegato, e, col suo permesso, andremo tutti e tre a mangiare un boccone. Fatto ciò le darò l’indirizzo di un uomo assai per bene che sarà felice di averla come pensionante e inoltre le riempirò le tasche coi soldi presi dalla sua stessa borsa. Per questa faccenda non sarò così caro come lei crede, neppure per ciò che riguarda la nave.
Gli feci segno che l’impiegato ci stava ascoltando.
«Per carità, non si deve preoccupare di Robbie», esclamò. «È uno Steward anche lui, povero diavolo! e ha fatto uscire di contrabbando più reclute per la Francia e trattato con più papisti di quanti peli abbia sul viso. Infatti è Robin che cura questo ramo della mia attività. Chi avremmo adesso per la traversata, Rob?»
«Ci sarebbe Andie Scougal con il Thristle», rispose Rob. «Ho visto anche Hoseason l’altro giorno, ma sembra che sia in cerca di una nave. Poi ci sarebbe Tam Stobo, ma non sono molto sicuro di Tam. L’ho visto complottare insieme a della strana gente e, se si tratta di qualcosa di importante, lascerei perdere Tam».
«Si tratta di una testa che vale duecento sterline, Robin», fece Stewart.
«Accidenti, non sarà quella di Alan Breck?», esclamò l’impiegato.
«Proprio di lui», replicò il suo padrone.
«Santi numi! questo è un affare serio», esclamò Robin. «Proverò con Andie, allora; Andie è il migliore».
«Sembra si tratti di una faccenda complicata», osservai.
«Altro che complicata, signor Balfour», disse Stewart.
«Il suo impiegato ha fatto un nome», proseguii: «Hoseason. Questo è l’uomo che fa per me, credo. Hoseason del brigantino Covenant. Si fiderebbe di lui?».
«Non si comportò molto bene con lei e con Alan», disse il signor Stewart; «ma la mia opinione complessiva dell’uomo è buona. Se avesse preso a bordo della sua nave Alan in base a un accordo, penso che si sarebbe dimostrato fedele ai patti. Che ne dici Rob?».
«Non c’è sul mercato un capitano più onesto di Eli», disse l’impiegato. «Mi fiderei della parola di Eli anche se si trattasse del Cavaliere o di Appin stesso», aggiunse.
«Fu lui che portò il dottore, vero?», chiese Stewart.
«Proprio lui», disse l’impiegato.
«E penso che l’abbia anche riportato indietro», domandò Stewart.
«Sì, e con la borsa piena!», esclamò Robin. «Ed Eli lo sapeva!1».
«Davvero, sembra sia molto difficile conoscere le persone a fondo», dissi.
«Questo è proprio ciò cui non pensai quando entrò qui lei, signor Balfour!», disse l’avvocato.