Capitolo 1

3603 Words
1 Istruttore d’Accademia della Coalizione Kira Dahl, La Colonia, Base 3, Arena di combattimento “Vedo che quell’Atlan non ti lascia indifferente. Non ti biasimo, è davvero sexy.” Sentire quelle parole pronunciate con l’adorabile accento tedesco della mia amica mi fece quasi scoppiare a ridere. Ma anni di disciplina giunsero in mio soccorso. Mi girai e guardai Melody con il mio famoso sguardo da istruttrice. A dire il vero, e la mia faccia da sbirro, quella da Non-mi-rompete-le-palle, ma lei quello non poteva saperlo. Aveva funzionato abbastanza bene per le strade di Toronto, ma Melody era un’amica e, a quanto pareva, il mio sguardo da dura non aveva alcun effetto su di lei. Lei guardò prima l’Atlan, che stava per battersi nell’arena, e poi me, lanciandomi un’occhiata dolce e innocente, un’occhiata fin troppo familiare. “Cosa? Non dirmi che non è così. Lo stai adocchiando come se fosse il buffet dell’all you can eat.” Mi rigirai verso la scena che avevamo davanti a noi, contrassi le labbra e sperai che le guance non mi stessero diventando rosse. Mi rifiutavo di ammetterlo, ma la mia amica della Terra – un cadetto senior – aveva ragione. Quell’Atlan era un pezzo di maschio come ce n’erano pochi. Dire che fosse alto e bellissimo sarebbe stato un eufemismo. Era alto quasi due metri e aveva un fisico che mi faceva pensare che a colazione si mangiava i patiti Crossfit due alla volta. Ora se ne stava in piedi – a torso nudo, per giunta – in mezzo all’arena, pronto a lottare, e aveva i muscoli gonfi e asciutti di un uomo che era sopravvissuto a tutto. Alla battaglia. Alla devastazione. Era pieno di cicatrici, cicatrici che mi facevano eccitare. Mi facevano eccitare da morire. Volevo leccarle tutte, dalla prima all’ultima. Come il resto dei guerrieri qui sulla Colonia, anche lui aveva delle parti cibernetiche – entrambe le braccia ricoperte da una massa scintillante di circuiti e impianti muscolari. Aveva una spessa cicatrice sul collo, ma non avevo idea se anche quella fosse stato un regalino dello Sciame o se sé la fosse procurata in battaglia. Dopo tutte le volte che ero venuta sulla Colonia per far addestrare le reclute della Flotta, ormai ero abituata a vedere gli innesti argentati che adornavano i corpi dei guerrieri che vivevano qui. Non mi sorprendeva più vedere un guerriero con del metallo luccicante incastonato nella carne. Gli innesti per me non significavano nulla, erano dei segni del loro coraggio. Quell’Atlan aveva combattuto contro lo Sciame, aveva combattuto duramente, ed era sopravvissuto. E così tutti gli altri qui su questo pianeta, e io li rispettavo tutti. Ma questo Atlan mi faceva andare in codice rosso. Non riuscivo a vedergli le gambe sotto i pantaloni, ma la sua schiena e il suo petto erano scoperti. Un’eccitante perfezione muscolare che bramavo di toccare. E leccare. E accarezzare. E baciare. Il mio corpo si era acceso con un desiderio sorprendente. Negli ultimi tempi la mia libido era andata in ibernazione – essendo un’istruttrice, non potevo fraternizzare con i cadetti dell’Accademia della Coalizione, anche se ero più grande di loro solo di qualche anno. L’astinenza non era stata un problema. E dal momento che gli altri istruttori e amministratori non riuscivano ad accendermi in nessun modo, la mia regola niente-uomini, niente-relazioni era stata incredibilmente facile da rispettare. Ma guardando quell’Atlan… mi leccai le labbra. Regola o non regola, ne volevo un pezzo. “Se è così quando è normale, chissà che aspetto ha quando si trasforma,” mi mormorò Melody in un orecchio. Mi fece notare il modo in cui l’Atlan si muoveva, adocchiando il suo nemico dal bordo dell’arena, stringendo e rilassando i pugni. Gonfiando i muscoli dei suoi avambracci. Porca puttana. Lui in modalità bestiale? Più grosso, più muscoloso, più autoritario. Intenso. Spietato. La mia fica mi stava gridando sì, ti prego!, e il combattimento non era nemmeno iniziato. Era… elementale, questo interesse che provavo per lui. Viscerale. Non conoscevo il suo nome, la sua storia. Non mi aveva portata fuori a cena o al cinema, eppure io già lo volevo. Attrazione istantanea. Non era come quello che mi avevano raccontato degli Everian e delle loro Compagne Marchiate. Niente di così intenso da impedirmi di allontanarmi da lui. Ma un cadetto Everian se ne era andato nel bel mezzo degli addestramenti perché il suo marchio si era risvegliato e lui non aveva più la concentrazione e l’interesse necessari. Gli interessava solo rintracciare la sua compagna. Quello che io volevo con questo pezzo di marcantonio era… una botta e via. Una cosa veloce, intensa, primitiva. Ero pessima, ma ogni cosa dentro di me mi stava gridando di spogliarmi e di saltargli addosso. Nome. Niente nome? Alla mia fica non importava. Io volevo un bell’orgasmo procuratomi da un uomo, e il mio corpo aveva deciso che quell’uomo doveva essere questo Atlan. Il suo avversario, a giudicare dalla carnagione color caramello e dai lineamenti più appuntiti, doveva essere un Prillon. Camminava vicino al lato opposto dell’arena, chiacchierando con degli altri guerrieri, discutendo molto probabilmente di strategia. Era più piccolo dell’Atlan, il che significava che era alto solo un metro e ottanta. Due enormi alieni stavano per affrontarsi in un combattimento a mani nude. C’era un sacco di gente seduta a guardarli, doveva essere così che si svagavano, quando non lavoravano. Il ronzio, il mormorio che proveniva dalle loro gole era inebriante. Tutti quelli che avevo conosciuto su questo pianeta erano a dir poco intensi. Le loro vicissitudini passate con lo Sciame avevano di certo contribuito a renderli tali. Tutti i guerrieri qui dovevano sfogare la loro rabbia e il loro dolore, e l’arena – anche quando si limitavano a fare gli spettatori – rappresentava il modo perfetto per farlo. “Sai come si dice,” cominciò Melody. “Che la grandezza delle mani corrisponde alla grandezza del…” Mi misi a ridere e le misi una mano sulla bocca per zittirla. Mosse le sopracciglia con fare ammiccante. E tanti saluti alla mia faccia intimidatrice. “Okay, basta!” Lei e la mia fica mi stavano dicendo la stessa cosa – salta addosso al gigante! – il mio cervello, un’altra. Lei contrasse le labbra, ma era chiaro che moriva dalla voglia di dire qualcos’altro. La nostra amicizia era qualcosa di molto più profondo della classica relazione istruttore/cadetto. Venivamo entrambe dalla Terra, le uniche due in questo anno accademico. Lei era tedesca e io canadese, ma avevamo un sacco di cose in comune. Soprattutto trovarci in una galassia lontana, lontana da casa. Lei aveva quasi terminato il suo periodo di addestramento con l’Accademia e presto sarebbe stata assegnata a una missione di combattimento ufficiale. Io qui ero un’istruttrice; la più giovane di sempre. Grazie alla mia età, avevo più in comune con gli allievi che con gli insegnanti. E Melody? Era burrascosa, e io l’adoravo. Ma non ora. Non le capitava spesso di potermi prendere in giro – non avevamo un sacco di tempo libero, e c’erano dei protocolli da rispettare – e ora si stava divertendo. Come non mai. Era anche raro che non ci trovassimo su Zioria. L’addestramento sugli altri pianeti si teneva quando ormai mancavano poche settimane alla fine del semestre, e solo con quelli che stavano per diplomarsi. Era la nostra ultima occasione per eseguire delle simulazioni di battaglie su vasta scala e cercare di prepararli per quello che li aspettava. C’erano un’altra manciata di istruttori umani, per la maggior parte ex militari o agenti della CIA. Strategia. Armi. Le reclute – giovani, aggressive e ingenue – le chiamavamo zigoti. Bambini. Tutte quante. Non importava da quale pianeta provenissero. Non avevano la più pallida idea in cosa si stavano andando a cacciare. Noi sì. Sapevamo cosa c’era là fuori. Io ormai erano tre anni che lavoravo con l’Intelligence della Coalizione. Fare l’insegnante per l’Accademia era la mia copertura per le operazioni più sensibili. Ma avevo un lavoro da fare con queste reclute, e lo prendevo sul serio. Meglio li addestravamo, meno di loro morivano. Ecco perché eravamo tutti sulla Colonia a simulare missioni con i diplomati di questo semestre. Ma tutte quelle missioni ora erano state completate, e ora avevamo una nottata di relax. Per tutto il gruppo, e per me. “È sexy,” dissi, e subito mi morsi il labbro. Quando lei alzò gli occhi al cielo, aggiunsi: “Va bene. È meraviglioso, bellissimo, se a una piace il tipo del gigante imbronciato.” Sospirai. “A me piacciono.” Oh, se mi piacciono. “Non ci sono regole che ci impediscono di darci da fare con una bestia Atlan,” rispose lei. “Noi siamo qui per addestrarci,” le ricordai. La mia specialità era l’addestramento stealth. Entra, esci, non farti acciuffare. Per quanto ne sapevano i guerrieri, se lo Sciame li catturava, allora era finita. Nessuno sarebbe arrivato a salvarli. E il novantanove percento delle volte era proprio così. Ma, per il restante un percento, c’era l’Intelligence. Andavamo in squadre di due ore e recuperavamo gli obiettivi più caldi. Era un lavoro pericoloso, ma importante. Non potevamo permettere allo Sciame di penetrare nella mente di un membro dell’Intelligence. Sapevamo troppe cose. Su tutto. Due combattenti camminarono lungo la nostra fila e noi ci alzammo per farli passare. Erano entrambi degli enormi guerrieri Prillon. Ci guardarono come se fossimo due dolci in pasticceria e andarono a sedersi alla mia sinistra, non troppo lontano. Sovraccarico di testosterone. Troppi guerrieri sexy da morire. Eravamo letteralmente circondate. I due Prillon ci fissarono per farci sapere che erano interessati. Ma io, al momento, avevo occhi solo per un guerriero. Ed era magnifico. Mi scaldai tutto a guardarlo. Dio, quel cazzo di Atlan era sexy. Avevo incontrato un Atlan solo in un paio di occasioni. Nell’Accademia se ne stavano sempre sulle loro, e anche i loro istruttori erano degli Atlan, in caso uno di loro perdesse il controllo della propria bestia durante l’addestramento. Le loro donne non si trasformavano e non combattevano per la Coalizione – mi rifiutavo di avere un’opinione al riguardo. Sapevo che i loro uomini erano grossi, protettivi, autoritari – e grossi. Il fremito che mi attraversò il corpo non aveva niente a che fare con i guerrieri Prillon che ci stavano squadrando dalla testa ai piedi, e aveva tutto a che fare con il gioco di ombre che adornavano gli addominali dell’Atlan. Volevo leccarglieli, e poi andare più in basso… “L’addestramento è finito da più di due ore,” disse Melody. Perché stava ancora parlando? Si rimise a sedere e continuò a blaterare senza curarsi dei due Prillon e del loro ovvio interessamento. “Sei tu che ci hai congedati tutti quanti e hai detto di andare a divertirci, che era l’ultima notte qui su questo pianeta. Non dobbiamo ripartire prima di domani. Hai tutta la notte.” Si sporse verso di me e mi diede una spallata. Arrivarono altri spettatori, fino a quando non ci fu il pienone. Indossavano tutti le uniformi corrispondenti ai loro gradi prima di arrivare qui sulla Colonia. Ogni guerriero era ricoperto da un’armatura leggera, una mimetica nera e grigia per le battaglie nello spazio profondo. Io e Melody eravamo le uniche che indossavano le uniformi dell’Accademia: la sua era grigia, la mia nera, a indicare il mio ruolo di istruttrice. “Non sono alla ricerca di un compagno.” Assolutamente no. Gli uomini complicavano tutto. Erano egoisti. Autoritari. Difficili. Stronzi. Almeno quelli che avevo conosciuto sulla Terra. E, per colpa loro, avevo evitato pure quelli nello spazio, persino i bonazzi alieni che avevo conosciuto mentre lavoravo nell’Accademia o all’Intelligence. I guerrieri dell’Intelligence non erano egoisti, ma di certo era autoritari, e sarebbe stato difficile stabilire con loro una relazione intima. Non avevo bisogno di un uomo che mi diceva cosa potevo o non potevo fare. Non ero pronta a sistemarmi e a sfornare bambini per un alieno. Là fuori c’erano moltissime persone che avevano bisogno di me, persone che potevo salvare. Come non ero riuscita a salvare i miei genitori. “E chi ha parlato di compagno? Pensavo che qui stessimo parlando di scopare, sorella. E lui è così sexy…” “Se volessi un compagno, mi sarei unita al Programma Spose Interstellari,” aggiunsi per rendere più che palese come la pensassi. “Okay, ma hai avuto delle tresche prima d’ora, no? Sulla Terra? Almeno una?” Le risposi facendo spallucce. Ormai mi ero gettata la Terra alle spalle. Tutto quello che avevo fatto era del tutto irrilevante. Anche se dovevo ammettere di non aver mai visto un esemplare del cromosoma XY come l’Atlan che avevo ora di fronte a me. La folla esultò, molti si alzarono, alcuni si portarono le mani attorno alla bocca e si misero a gridare. I due combattenti cominciarono a fare avanti e indietro. Non sapevo come funzionassero questi combattimenti, quali fossero le regole. Non c’erano un ring, niente corde, niente angolo. Non indossavano delle protezioni. Niente arbitro. “Beh?” chiese Melody, e io mi ricordai della sua domanda. “Sì, ho avuto un paio di avventure,” risposi, come se altrimenti potessi essere una stramba. “Nulla di troppo selvaggio.” Lei si mise a ridere e indicò l’Atlan che stava avanzando verso il centro dell’arena. “Perché sulla Terra non c’è niente di selvaggio come lui.” Si fece aria sventolandosi con una mano. No, non c’era. I due combattenti si tennero a distanza, a un paio di metri l’uno dall’altro, muovendosi in cerchio. Riuscivo a vedere i muscoli sulla schiena dell’Atlan, il modo in cui le sue spalle ruotavano e si rilassavano mentre muoveva le braccia davanti a sé. Pur essendo così grossi, i loro piedi si muovevano silenziosi sul terreno. Questi non erano come i nuovi arrivati dell’Accademia, con le facce fresche e pulite, ansiosi di provare al mondo intero quanto brillanti e spietati potessero essere. No, questi due avevano conosciuto lo Sciame di persona, ne avevano viste troppe, e ora erano spietati, induriti. Il guerriero Prillon era bello a modo suo. Grosso. Muscoloso. Concentrato. Ma io lo notai a malapena. Non riuscivo a staccare gli occhi di dosso dall’Atlan. Grazie al mio addestramento con la Coalizione, sapevo che i due si stavano prendendo le misure. Si parlarono, le loro voci basse e baritonali mi fecero contrarre la fica. La sua voce. Dio. Mi sporsi in avanti per provare a sentire cosa si stessero dicendo. Le minacce. La sfida. Di solito non ero una a cui piaceva la violenza, ma dovetti bloccarmi le cosce con le mani per impedirmi di alzarmi in piedi e gridare all’Atlan di finirlo. Sapevo che il mio Atlan sarebbe stato un fenomeno. La sua stazza. La sua forza. L’intensità del suo sguardo. Volevo che fosse potente. Volevo che fosse magnifico. Era un bisogno scioccante, che mi martellava nel sangue come una scossa elettrica di bassa intensità. E non riuscivo a distogliere lo sguardo. Trattenni il respiro e attesi il primo colpo. Sarebbe stato un match con i fiocchi. L’Atlan fece il giro e di nuovo fu rivolto verso di me. Gli occhi fissi sul suo avversario, come due laser. La gamba sinistra in avanti, la mano sinistra in alto, la mano aperta, la destra più in basso, per proteggersi lo stomaco. “Sì! Vai, vai, vai! Fallo!” Le parole mi esplosero dalla bocca con una violenza a dir poco scioccante. Volevo sentire i pugni che colpivano la carne del Prillon. Forse stavo impazzendo un po’, forse stavo reagendo in modo spropositato a causa di tutto lo stress che si era accumulato nei mesi passati, ma mi sentivo scatenata. Totalmente fuori controllo. Avevo bisogno di guardare il mio Atlan che riduceva in poltiglia il suo avversario. Anche la mia fica lo voleva, era così calda e bagnata che stavo pulsando di desiderio, come se questi fossero già i preliminari, e non un’arena di combattimento in quella che a tutti gli effetti erano una prigione aliena. Per qualche motivo, l’Atlan guardò verso il pubblico. Sorrise e disse qualcosa all’altro lottatore. Non avevo bisogno di sentire le sue parole per sapere che lo stava stuzzicando, ma sarebbe stato bello sentire quello che gli stava dicendo. Giusto o sbagliato, sapevo che mi avrebbe fatto eccitare. Di nuovo, l’Atlan si rivolse verso il pubblico. Ma questa volta mi guardò negli occhi. A lungo. Il mio cuore mancò un battito. Era una strana sensazione, era come andare in macchina e scavalcare un alto pendio, la sensazione di andare in picchiata, che ti scalda la pelle e ti fa sudare freddo. “Porca puttana,” mormorò Melody. La sentii che mi stringeva il gomito, conficcandomi le dita nella carne, ma non mi voltai verso di lei. Non potevo farlo. Quegli occhi scuri stavano guardando me. Mi vedevano. Mi tenevano bloccata al mio posto. Il respiro intrappolato nei polmoni. Avevo i seni pesanti e caldi e non riuscivo a muovermi. “Uhm, Dahl. Ti sta guardando.” Ma non mi dire. L’Atlan, che a quanto pareva fu risvegliato dallo stupore che provava vedendomi – il che era ridicolo: ero ben lungi dall’essere eccitante, con la mia scialba uniforme, i capelli raccolti nella solita coda di cavallo – cominciò a muoversi, muovendosi di nuovo in cerchio, e sempre continuando a guardarmi. A guardare me! “Lo metterà al tappeto se non si concentra,” mormorai. Mi morsi il labbro. D’improvviso, ero preoccupata per lui. Al momento di certo non aveva bisogno di distrarsi. Alle mie ovaie, però, piaceva che fossi io la sua distrazione. La mia fica si contrasse, i miei capezzoli si inturgidirono. Dio, era potente. Era questo quello che provavano gli Everian quando i loro marchi si risvegliavano? No, non era così. Non me lo sentivo nell’anima. Lo sentivo nelle mie parti femminili. In tutte quante. Era lussuria pura. Mi eccitava. Sul serio. Lo volevo. Non per temermelo, ma per scacciare via questo prurito. E se davvero era così grosso dappertutto, come aveva detto Melody, allora sì che sarebbe stata una cavalcata spettacolare. Avevo dodici ore e niente da fare. Niente lezioni, niente missioni per l’Intelligence. Niente se non del tempo libero che avrei potuto sfruttare per allievare questa voglia che mi stava crescendo dentro. E volevo che fosse l’Atlan a prendersi cura di me. Se prima non finiva nell’unità medica. Il Prillon cacciò un gridò e si lanciò all’attacco. L’Altan non smise di guardarmi, non fino all’ultimo secondo. Poi, alla velocità della luce, sferrò un pugno. Il rumore di ossa rotte si udì al di sopra del frastuono della folla. Dal naso del Prillon uscì un getto di sangue. Cadde, come un tronco in una foresta, schiantandosi al suolo. Non alzò le mani per attutire la caduta. Era svenuto. Un pugno. Era bastato quello. Il combattimento era finito. L’Atlan fece un respiro profondo e io guardai i suoi addominali scolpiti che si muovevano al ritmo del suo respiro. Diede una veloce occhiata al Prillon, guardò il team medico che già stava accorrendo per soccorrere il guerriero caduto, e poi guardò di nuovo me. Attraversò l’arena, dritto verso di me, come se fossimo connessi da un filo. La folla si aprì come il Mar Rosso davanti a Mosè e tutti si girarono per guardare cos’avesse catturato l’attenzione dell’Atlan. Dietro di lui, i medici stavano aiutando il Prillon, il cui sangue aveva sporcato l’arena e la cui mascella era piegata formando un angolo bizzarro. Ahia. “Uhm, Dahl, ti sta proprio guardando.” Guardai gli altri due guerrieri che erano venuti per assistere al combattimento, e anche loro mi stavano guardando. Poi, mi girai di nuovo verso l’Atlan. Aveva alzato la mano e stava piegando il dito per farmi cenno di andare da lui. Sussultai. Deglutii. Stava veramente parlando con me? Mi guardai in giro. Mi stavano guardando tutti, in attesa di vedere cosa avessi fatto. Oh, merda. Non stavo avendo le allucinazioni. Melody mi spintonò e io barcollai in avanti. “Vai, ragazza!” Mi avvicinai all’Atlan e guardai Melody. Aveva un sorriso diabolico in volto. “Non fare niente che io non farei. Anzi, no, fa’ tutte quelle cose che io non farei.” Annuì, come per rassicurarmi e spingermi ad andare verso l’Atlan. Mi leccai le labbra e guardai di nuovo l’Atlan. Oh, sì, lo volevo, ed era ovvio che lui volesse me. La sua pelle era lucida di sudore, sudore che non faceva altro che far risaltare i suoi muscoli enormi. Girò la mano all’insù, dicendomi senza parlare che dovevo afferrarla. Mi piazzai di fronte a lui. Era enorme, trenta centimetri più alto di me, forse anche più. Il suo corpo doveva rilasciare una quantità spropositata di feromoni, perché tutto quello che volevo fare era leccargli il collo e avere un assaggio della sua pelle salata. Passargli le mani sul torso e sbottonargli i pantaloni. Prendergli il cazzo in mano e masturbarlo. Controllarlo. Volevo possederlo. Coccolarlo. Cavalcarlo. Lo volevo, lo volevo tutto, e lo volevo per me sola. Volevo che mi riempisse. Che mi facesse implorare. Che mi facesse venire con il suo enorme – Mi accarezzò la guancia e io trattenni il fiato. Sentire la sua carezza gentile era inquietante e sorprendente, considerando la sua stazza. “Mia” disse a voce alta, come se lo stesse dicendo a tutti quelli a portata di orecchio: ora ero fuori dal mercato. Pensai allo sguardo mortificato che ora con ogni probabilità adornava le facce dei due Prillon dietro di me e soffocai un sorrisetto. Per ora, per stanotte, lui era tutto mio. Quindi misi la mano nella sua, pronta a spendere una notte folle con un Atlan – e, si sperava, con la sua bestia.
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