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Desiderata (Libro #5 In Appunti Di Un Vampiro)

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In DESIDERATA (Libro #5 in Appunti di un Vampiro), Caitlin Paine si sveglia per scoprire di aver viaggiato ancora una volta nel tempo. Stavolta, si ritrova nella Parigi del secolo XVIII, un'epoca di grande opulenza, di re e regine—ma anche di rivoluzione.

Riunita con il suo vero amore, Caleb, riescono a vivere un momento romantico insieme, quello che non hanno mai avuto. Trascorrono del tempo idilliaco nella città di Parigi, visitando i luoghi più romantici, mentre il loro amore continua a crescere, diventando più forte. Caitilin decide di rinunciare alla ricerca di suo padre, così da poter assaporare quell'epoca e quel luogo, e trascorrere la vita con Caleb. Caleb la porta al suo castello medievale, vicino all'oceano, e Caitlin è più felice di quanto non lo sia mai stata.

Ma il loro idillio non è destinato a durare per sempre, e gli eventi s'infrappongono tra loro, separandoli. Ancora una volta, Caitlin si trova di nuovo unita con Aiden e il suo covo, con Polly ed i suoi nuovi amici, e si concentra di nuovo sull'allenamento, e sulla sua missione. Viene introdotta nello sfarzoso mondo di Versailles, ed incontra persone ed opulenza di là da tutto quello che lei abbia mai sognato. Con infiniti balli, feste e concerti, Versailles è davvero un mondo a parte. Poi, lei si riunisce felicemente con suo fratello Sam, anche lui tornato indietro nel tempo, e sogna di loro padre.

Ma non va tutto bene come sembra. Anche Kyle ha viaggiato indietro nel tempo — stavolta, affiancato dal suo scagnozzo Sergei — ed è più determinato che mai ad uccidere Caitlin. E Sam e Polly si trovano sempre più legati in una relazione pericolosa, che minaccia di distruggere ogni cosa intorno a loro.

Caitlin diventa una guerriera vera e preparata ed è più vicina che mai a trovare suo padre ed il mitico Scudo. Il finale culminante e intriso di azione, conduce Caitlin nei luoghi medievali più importanti di Parigi, a caccia di indizi. Questa volta, sopravvivere richiederà capacità che lei non ha mai sognato d'avere prima. E per riunirsi con Caleb dovrà fare le scelte più dure — e I sacrifici più grandi — della sua vita.

“DESIDERATA è così ben bilanciato. E' la perfetta quantità di parole ed un grandioso seguito di tutti gli altri libri. I personaggi sono molto credibili e mi lascio davvero coinvolgere dagli eventi che li riguardano. L'introduzione di una figura storica è molto interessante, e lascia molto su cui riflettere in merito a questo libro.”

--The Romance Reviews

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CAPITOLO UNO
CAPITOLO UNO Parigi, Francia (Luglio, 1789) Caitlin Paine si svegliò immersa nell'oscurità. L'aria era pesante, e lei si trovò subito a lottare per respirare, mentre provava al contempo a muoversi. Giaceva sulla schiena, coricata su una superficie rigida. Era freddo e umido; una sottile fascia di luce argentea si fece strada quando guardò in alto. Aveva le spalle compresse, ma con uno sforzo riuscì a sollevare le mani. Con i palmi iniziò a tastare la superficie sopra di lei. Pietra. Fece scorrere le mani lungo di essa, ne verificò le dimensioni e si rese conto di essere chiusa dentro. Proprio in una bara. Il cuore di Caitlin cominciò a battere forte. Odiava gli spazi ristretti e cominciò a respirare più faticosamente. Si chiese se stesse sognando, bloccata in una sorta di limbo, o se si fosse davvero svegliata in un'altra epoca e in un altro luogo. Sollevò di nuovo entrambe le mani e spinse con tutta la forza di cui era capace. La pietra si mosse solo di qualche millimetro ma fu sufficiente a consentirle di inserire un dito nella fessura. Spinse di nuovo, con tutta la sua forza, e il pesante coperchio di pietra si spostò in avanti, nelle orecchie risuonava lo stridio della pietra contro la pietra. Riuscì così a introdurre altre dita nella grossa fessura e, ancora una volta con tutta la forza, spinse. Stavolta, il coperchio scivolò via. Caitlin si sedette in posizione eretta, guardandosi intorno. Respirò a pieni polmoni l'aria fresca e strizzò gli occhi, coprendoli con le mani. Da quanto tempo giaceva in quell'oscurità? si chiese. Mentre sedeva lì, con gli occhi coperti, tendeva gli orecchi, attenta ad ogni singolo rumore, ad ogni movimento. Ricordava bene quanto fosse stato brusco il suo risveglio nella bara in Italia, e, stavolta, non voleva lasciare nulla al caso. Era preparata a tutto, pronta a difendersi contro chiunque, che fossero contadini o vampiri — o contro qualsiasi altra cosa—che si trovassero nei pressi. Ma, stavolta, tutto era silenzioso. Aprì lentamente gli occhi e vide che era davvero da sola. Mentre gli occhi lentamente riprendevano la propria funzionalità, si rese conto che non c'era poi tanta luce. Si trovava in una stanza in pietra, quasi una caverna, con bassi soffitti ad arco. Sembrava la cripta di una chiesa. La stanza era illuminata soltanto da un'unica candela accesa. Doveva essere notte, comprese. Ora che gli occhi non le facevano più male, si guardò intorno attentamente. La sua idea era esatta: era stata rinchiusa in un sarcofago di pietra, posizionato in un angolo di una stanza dai muri egualmente in pietrra, in quella che sembrava essere la cripta di una chiesa. La stanza era vuota, tranne per alcune statue e diversi altri sarcofagi. Caitlin uscì fuori dalla tomba. Si allungò, per far sciogliere tutti i muscoli. Stare di nuovo in piedi la fece sentire bene. Era felice di essersi svegliata senza dover combattere, stavolta. Almeno, avrebbe avuto pochi momenti di tranquillità per se stessa. Ma era ancora molto disorientata. La sua mente sembrava appesantita, come se si fosse destata da un sonno durato mille anni. Inoltre, sentì immediatamente i morsi della fame. Dove si trovava? si chiese di nuovo. Che anno era? E, cosa più importante, dov'era Caleb? Era desolata che lui non fosse al suo fianco. Caitlin osservò attentamente la stanza, cercando un segno della sua presenza, da qualche parte. Ma non c'era nulla. Gli altri sarcofagi erano tutti aperti e vuoti, e non c'era alcun altro posto in cui lui potesse nascondersi. “C'è nessuno?” gridò. “Caleb?” Mosse alcuni passi incerti nella stanza e si accorse dell'esistenza di una bassa apertura, a forma di arco: era l'unica via che conduceva all'interno e all'esterno della stanza. Avvicinatasi, provò a muovere la maniglia della porta, che non oppose resistenza: la porta si spalancò facilmente. Prima di lasciare la stanza, la ragazza si voltò e controllò i dintorni, per assicurarsi di non aver lasciato qualcosa di cui avrebbe potuto avere bisogno. Si tastò il collo e si accorse di indossare ancora la sua collana; mise le mani in tasca e fu sollevata di trovarvi il suo diario e l'unica grande chiave. Era tutto quello che le era rimasto al mondo, e tutto ciò di cui aveva bisogno. Varcata la soglia, Caitlin proseguì per un lungo corridoio ad arco, in pietra. Il suo pensiero era un solo: trovare Caleb. Sicuramente, era tornato indietro nel tempo con lei stavolta. Non era così? E se fosse stato così, l'avrebbe ricordata stavolta? Non poteva neppure immaginare di dover rivivere di nuovo tutto da capo, doverlo cercare e trovare per poi accorgersi che lui non la ricordava. No. Pregò che stavolta tutto fosse diverso. Lui era vivo, rassicurò se stessa, ed erano tornati indietro nel tempo insieme. Dovevano esserlo. Mentre accellerava il passo lungo il corridoio, e poi su per una piccola serie di scalini in pietra, si accorse che la sua andatura andava aumentando e avvertì quel familiare dolore al petto, causato dalla consapevolezza che lui non era tornato indietro con lei. Dopotutto, non si era risvegliato al suo fianco, tenendole la mano, non era lì a rassicurarla. Questo significava che non era tornato indietro nel tempo? Il buco allo stomaco crebbe ancora di più. E Sam? C'era stato anche lui lì. Perché non c'era alcun segno di lui? Caitlin finalmente raggiunse la cima della scala, aprì un'altra porta, e si immobilizzò, estasiato da quello che si trovò davanti. Era nella cappella principale di una straordinaria chiesa. Non aveva mai visto soffitti tanto alti né vetrate colorate così numerose o un altare di tali dimensioni e tanto elaborato. Le file di panche erano infinite e sembrava che il luogo potesse contenere migliaia di persone. Fortunatamente, era vuota. Le candele bruciavano ovunque, ma chiaramente, era tardi. Ne fu lieta: l'ultima cosa che voleva era camminare in mezzo a una folla di migliaia di persone che la guardavano. Caitlin s'incamminò lentamente verso il centro della navata, dirigendosi verso l'uscita. Cercava Caleb, Sam o forse persino un prete. Qualcuno come il prete ad Assisi, che potesse accoglierla, spiegarle le cose. Che potesse dirle dove si trovava, in quale epoca e perché. Ma non c'era nessuno. Sembrava essere del tutto sola. Caitlin raggiunse le enorme doppie porte e si preparò ad affrontare qualsiasi cosa potesse trovarsi all'esterno. Varcata la soglia, rimase senza fiato. Torce, ovunque nelle strade intorno, illuminavano la notte e davanti a lei c'era un'enorme folla di persone. Non sembravano in attesa di entrare in chiesa, ma si muovevano qua e là nei dintorni, in una grossa piazza aperta. Sembrava essere un'affollata festa notturna, e dal tepore dell'aria Caitlin comprese che era estate. Era scioccata dalla vista di tutte quelle persone, dal loro guardaroba antiquato, dalla loro formalità. Per fortuna, nessuno sembrava notarla. Ma lei non riusciva a staccare loro gli occhi di dosso. C'erano centinaia di persone e la maggior parte indossava abiti formali, appartenenti chiaramente tutti ad un altro secolo. Qua e là notò cavalli, carri, venditori ambulanti, artisti, cantanti. Non c'era un angolo che non fosse affollato, in quella serata estiva, e la scena era emozionante. Si chiese in quale anno potesse trovarsi, in quale luogo fosse finita. Ma una domanda ancora più importante le si affacciò alla mente: mentre osservava tutti quei volti estranei, si chiese se Caleb potesse trovarsi in attesa tra di loro. Il suo sguardo vagò disperatamente tra la folla, sperando, provando a convincersi che Caleb, o forse Sam, si trovassero in mezzo a quegli sconosciuti. Guardò in ogni direzione, ma, minuto dopo minuto, le sue speranze svanirono e si rese conto che, semplicemente, nessuno dei due era lì. Caitlin si inoltrò nella piazza per poi voltarsi ad osservare la chiesa; sperava di poter riconoscere la sua facciata e così provare a comprendere dove si trovava. E fu così. Non era propriamente un'esperta in materia architettonica, o in storia e chiese, ma qualcosa la sapeva. Alcuni luoghi erano così ovvi, così radicati nella coscienza pubblica, che era certa che li avrebbe riconosciuti. E quello che le si parava davanti era proprio uno di quelli. Si trovava di fronte a Notre Dame. Era a Parigi. Non era possibile confondersi. Le sue enormi porte d'entrata, adornate di elaborati intarsi; le dozzine di piccole statue al di sopra di esse; la sua elaborata facciata, che si ergeva fino a decine di metri di altezza, puntando verso il cielo. Era uno dei luoghi più riconoscibili sulla terra. L'aveva visto in rete prima, molte volte. Non riusciva a crederci: era davvero a Parigi. Caitlin aveva sempre desiderato andare a Parigi, aveva senpre pregato suo madre di portarcela. Quando una volta aveva un ragazzo, al liceo, aveva sempre sperato che lui ce la portasse. Era un posto in cui lei aveva sempre sognato di andare ed ora era senza fiato … si trovava proprio lì. E in un altro secolo. La folla intorno a lei stava aumentando e Caitlin si sentì sballottata; improvvisamente guardò in basso e restò scioccata accorgendosi di quali abiti indossasse. Era imbarazzata, perché portava ancora la semplice veste da prigioniera, che Kyle le aveva dato al Colosseo a Roma. Indossava una tunica di tela, ruvida sulla pelle, malamente strappata e troppo larga per lei, legata sul busto e sulle gambe con un pezzo di corda. Aveva i capelli arruffati, sporchi, che le coprivano il volto. Aveva l'aspetto di un'evasa, o di una vagabonda. Ancora più ansiosa, Caitlin cercò ancora una volta Caleb con lo sguardo o Sam o una qualsiasi persona che conoscesse, chiunque potesse aiutarla. Non si era mai sentita così sola, e non desiderava altro che posare il suo sguardo su di loro, per sapere che non era tornata indietro nel tempo in quel luogo tutta sola, per sapere che tutto sarebbe andato bene. Ma lei non riconosceva nessuno. Forse sono da sola, lei pensò. Forse sono di nuovo tutta sola. Quel pensiero le trafisse lo stomaco, come un coltello. Lei voleva accucciarsi, strisciare via e nascondersi nella chiesa, per poi essere spedita in qualche altra epoca, in un altro luogo—un luogo qualsiasi in cui si sarebbe potuta svegliare, vedendo qualcuno che conosceva. Ma si fece coraggio. Sapeva che non poteva tirarsi indietro, non aveva alcuna possibilità di andare avanti nel tempo. Doveva solo essere coraggiosa, trovare il motivo per cui si trovava in quei tempo e spazio. Proprio non aveva altra scelta. * Caitlin doveva venir fuori da quella folla. Aveva bisogno di restare da sola, di riposare, di nutrirsi e di pensare. Doveva capire quale direzione prendere, dove cercare Caleb, e se lui fosse davvero lì. Ma altrettanto importante era stabilire, scoprire perché si trovasse in quella città e proprio in quell'epoca storica. Non sapeva nemmeno che anno fosse. Un uomo pulito le passò accanto, e Caitlin si protese afferrandolo per un braccio, sopraffatta da un improvviso desiderio di sapere. L'uomo si voltò a guardarla, infastidito per essere stato fermato così bruscamente. “Mi dispiace,” lei disse, accorgendosi d'improvviso, mentre pronunciava le sue prime parole, di quanto fosse secca la sua gola e di quanto dovesse apparire malridotta, “ma in che anno siamo?” Lei si sentì imbarazzata persino mentre lo chiedeva, rendendosi conto di quanto potesse sembrare pazza. “Anno?” l'uomo confuso le chiese. “Um… Mi spiace, ma non mi sembra di… ricordare.” L'uomo la guardò dall'alto in basso e poi prese a scuotere lentamente la testa, come se avesse deciso di aver trovato in lei qualcosa che non andasse. “E' il 1789 naturalmente. E non siamo nemmeno vicini alla vigilia del Nuovo Anno, perciò, non hai davvero alcuna scusa,” disse, scuotendo la testa in maniera derisoria, e proseguendo per la sua strada. 1789. La realtà di quel numero impressionò Caitlin. Ripensò a tutto quello che aveva visto l'ultima volta nel 1791. Due anni prima. Non era andata poi molto indietro nel tempo. Eppure, era a Parigi ora, un mondo totalmente diverso da quello di Venezia. Perché era lì? Perché adesso? Scavò nella sua mente, provando disperatamente a ricordare le lezioni di storia e che cosa fosse avvenuto in Francia nel 1789. Fu imbarazzata nell'accorgersi di non ricordare. Si rimproverò ancora una volta per non aver prestato maggiore attenzione in classe. Se avesse saputo all'epoca, quando frequentava il liceo, che un giorno avrebbe viaggiato indietro nel tempo, avrebbe studiato la storia persino di notte, e si sarebbe impegnata al massimo per memorizzare ogni cosa. Ora non aveva alcuna importanza, comprese. Ora, era una parte della storia. Ora, aveva una possibilità di cambiarla e di cambiare se stessa. Il passato, si rese conto, poteva essere cambiato. Soltanto perché determinati eventi sono avvenuti nei libri di storia, non significava che lei, viaggiando indietro nel tempo, non potesse cambiarli adesso. In un certo senso, lo aveva già fatto: il fatto di essere apparsa lì, in quell'epoca, avrebbe influito su ogni cosa. Il che, di conseguenza, anche se in un modo minimo, avrebbe potuto cambiare il corso della storia. Questo pensiero le fece sentire l'importanza delle sue azioni ancora di più. Stava a lei creare un nuovo passato. Passeggiando nei dintorni eleganti, Caitlin cominciò a rilassarsi un po', e persino a sentirsi un po' meglio. Almeno, si era ritrovata in un bel posto, in una bella città, e in una bella epoca. Questa non era l'età della pietra, dopotutto, e non si era trovata catapultata nel bel mezzo del nulla. Tutto intorno a lei era pulito, le persone erano vestite splendidamente e le strade in ghiaia lerano illuminate dalle torce. E la sola cosa che lei ricordava della Parigi del secolo XVIII, era che si trattava di un'epoca lussuosa per la Francia, un grande periodo di ricchezza, in cui ancora regnavano re e regine. Caitlin notò che Notre Same si trovava su un'isoletta, e sentì il bisogno di allontanarsi. Era fin troppo affallota, e lei aveva bisogno di un po' di pace. Individuò alcuni ponti, che sembravano consentire di allontanarsi, e si diresse verso uno di essi. Si concesse di sperare che forse la presenza di Caleb la stesse conducendo in una particolare direzione. Mentre percorreva il ponte, ebbe modo di accorgersi di quanto fosse bella la notte parigina, illuminata dalle torce tutte disposte lungo il fiume e dalla luna piena. Lei pensò a Caleb e desiderò che fosse al suo fianco, a godersi quella vista con lei. Passato il ponte, guardando in basso verso l'acqua, alcuni ricordi le tornarono alla mente. Pensò a Pollepel, al Fiume Hudson di notte, al modo in cui la luna illuminava il fiume. Ebbe un'improvvisa voglia di spiccare il volo dal ponte, per mettere alla prova le sue ali, per vedere se riuscisse ancora a volare, e per vibrarsi in alto al di sopra di esso. Ma si sentì debole e affamata; non riuscì nemmeno a sentire la presenza delle sue ali. Si preoccupò se il viaggo indietro nel tempo avesse influito sulle sue capacità, sui suoi poteri. Non si sentì affatto forte quanto lo era una volta. In effetti, si sentì quasi umana. Fragile. Vulnerabile. Non le piacque quella sensazione. Dopo aver attraversato il fiume, Caitlin si incamminò lungo le strade laterali, vagando per ore, smarrita. Percorse strade tortuose e serpeggianti, allontanandosi sempre di più dal fiume, diretta a nord. Lei fu stupita dalla città. Per alcuni aspetti, era simile a Venezia e Firenze nel 1791. Come quelle città, Parigi era sempre la stessa, anche nel modo in cui appariva nel secolo XXI. Non era mai stata lì prima di allora, ma aveva visto delle fotografie e fu scioccata di riconoscere tanti edifici e monumenti. Anche lì le strade erano, per la maggior parte, pavimentate con ciottoli, affollate da cavalli e carri; talvolta si incontrava un cavaliere solitario. Le persone camminavano, sfoggiando elaborati costumi, passeggiando lentamente, come se avessero a disposizione tutto il tempo del mondo. Come nelle altre città che aveva conosciuto poco prima, non c'erano fognature e Caitlin non potè fare a meno di notare i rifiuti nelle strade e il terribile fetore che aleggiava nella calura estiva. Desiderò di avere ancora con sé uno di quei piccoli potpourri che Polly le aveva dato a Venezia. Ma, a differenza di tutte quelle altre città, Parigi anche unica. Le sue strade erano più ampie, gli edifici erano più bassi, ed erano più belli dal punto di vista architettonico. La città sembrava più vecchia, più splendida, più bella. Era anche meno affollata: più lei si allontanava da Notre Dame, meno persone vedeva. Forse era così perché era tardi, ma le strade sembravano quasi vuote. Lei camminò e camminò, e aveva gambe e piedi stanchi, cercando in ogni angolo qualsiasi segno di Caleb, qualsiasi indizio che potesse condurla in una direzione speciale. Non c'era niente. Ogni venti isolati circa, il quartiere cambiava, e anche la sensazione cambiava. Mentre continuava a camminare, diretta sempre più a nord, si ritrovò a salire una collina, in un nuovo distretto, costituito da vicoli stretti e diversi bar. Mentre passava davanti ad un bar d'angolo, vide un uomo sdraiato per terra, ubriaco e privo di conoscenza, appoggiato contro il muro. La strada era deserta e, per un momento, Caitlin sentì una fame feroce prendere il sopravvento. Le sembrava che lo stomaco si spezzasse in due. Osservò l'uomo giacere lì e si concentrò sul suo collo: vide il sangue che gli pulsava all'interno. In quel momento, desiderava più di ogni altra cosa saltargli addosso e nutrirsi. Quella sensazione non era un impulso —era più un comando. Il suo corpo le urlava di farlo. Con le poche forze che le erano rimaste, Caitlin scelse di distogliere lo sguardo. Sarebbe morta di fame, piuttosto che fare del male ad un altro umano. Si guardò intorno e si chiese se ci fosse una foresta nelle vicinanze, un posto in cui potesse cacciare. Mentre camminava, ogni tanto aveva notato qualche strada sterrata e dei parchi nella città, ma non aveva visto nulla di simile ad una foresta. E, proprio in quell'istante, la porta del bar si spalancò, e un uomo uscì fuori o, per meglio dire, fu scaraventato all'esterno da uno dei buttafuori. Li maledisse e urlò contro di loro, chiaramente ubriaco. Poi si voltò e guardò Caitlin. Era robuto e lo sguardo diretto verso di lei denotava chiaramente cattive intenzioni. Caitlin si irrigidì, chiedendosi di nuovo, disperatamente, se qualcuno dei suoi poteri si sarebbe manifestato. Si voltò e fece per allontanarsi, camminando con passo svelto, ma sentì l'uomo seguirla. Un solo istante e, prima di riuscire a voltarsi, si ritrovò stretta in un forte abbraccio. L'uomo era più veloce e più forte di quanto avesse immaginato e poteva sentire il fetore del suo alito sulla sua spalla. Ma era anche ubriaco. Barcollò, nonostante la tenesse, e Caitlin si concentrò, richiamando alla mente quello che aveva imparato, poi si mosse lateralmente e se lo scrollò di dosso, facendo ricorso a una delle tecniche di combattimento che Aiden le aveva insegnato a Pollepel. L'uomo volò in aria, atterrando sulla schiena. Caitlin ebbe improvvisamente un flashback di Roma, del Colosseo, di quando aveva combattuto nell'arena dello stadio, sfidata da numerosi combattenti. Fu così vivido che, per un istante, si paralizzò, dimenticandosi di dove si trovava. Si riprese giusto in tempo. L'uomo ubriaco si alzò e, barcollando, la caricò di nuovo. Caitlin attese fino all'ultimo secondo, per poi schivarlo, e lui volò in aria, cadendo proprio sulla sua stessa faccia. Caitlin profittò dello stupore dell'uomo e, prima che questi si rialzasse, si affrettò ad allontanarsi. Era contenta di essersela cavata bene ma quell'incidente l'aveva scossa. La preoccupava il fatto di vivere ancora dei flashback legati a Roma. E non aveva nemmeno sentito la sua forza soprannaturale. Si sentiva ancora fragile come un'umana. Quel pensiero, più di ogni altra cosa, la spaventava. Era davvero sola ora. Dopo aver seminato l'aggressore, Caitlin iniziò a guardarsi intorno e a chiedersi dove sarebbe andata, che cosa avrebbe fatto. Le gambe le dolevano, tanto aveva camminato, e cominciò a provare un senso di disperazione. Poi, d'improvviso, la vide. Guardò verso l'alto e di fronte a lei c'era un'enorme collina. Sulla cima, si ergeva una grande abbazia medievale. Per qualche ragione che lei non riusciva a comprendere, si sentì attirata da essa. La collina appariva spaventosa, ma non aveva altra scelta. Caitlin salì l'intera collina, più stanca di quanto non fosse mai stata, e desiderò di poter volare. Alla fine, raggiunse le porte anteriori dell'abbazia, costruite in solida quercia. Quel luogo sembrava antico. Si meravigliò del fatto che, sebbene fosse il 1789, quella chiesa dovesse trovarsi lì da quelli che sembravano essere migliaia di anni. Non sapeva perché, ma quel luogo l'attirava. Non vedeva un altro posto dove andare; pertanto si fece coraggio e bussò leggermente alla porta. Non ci fu alcuna risposta. Caitlin provò a girare la maniglia e fu sorpresa di trovare la porta aperta. Entrò. L'antica porta si apì lentamente, e occorse un istante per far sì che gli occhi di Caitlin si abituassero al buio dell'interno della chiesa. Quando la vista glielo consentì, si guardò intorno e rimase stupita dalla grandiosità e dalla solennità del luogo. Era ancora notte fonda e questa semplice ed austera chiesa, fatta interamente di pietra ed adornata da vetrate colorate, era illuminata da grandi candele posizionate un po' ovunque: alcune sembravano appena accese, altre erano quasi spente. In fondo alla navata c'era un semplice altare, intorno al quale erano piazzate altre dozzine di candele. Per il resto, appariva vuota. Per un istante, Caitlin si chiese che cosa ci facesse lì dentro. C'era un motivo particolare? O la mente le stava giocando un brutto scherzo? Improvvisamente, una porta laterale si aprì e Caitlin trasalì. Fu molto sorpresa di vedere una suora —bassa, fragile, che indossava delle vesti bianche fluttuanti, con un cappuccio bianco – dirigersi verso di lei. La donna camminava lentamente, e non vi erano dubbi sul fatto che la volesse avvicinare. Si liberò il volto dal cappuccio, guardò verso di lei e sorrise. Aveva dei grandi e luminosi occhi blu, e sembrava fin troppo giovane per essere una suora. Caitlin sentì il calore che proveniva da lei. E comprese anche che era una della sua specie: una vampira. “Sorella Paine,” la suora disse dolcemente. “E' un onore averti qui.”

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