CAPITOLO CINQUE

1594 Words
CAPITOLO CINQUE Avery aveva un nome: Cindy Jenkins. Conosceva la sorellanza, la Kappa Kappa Gamma. E aveva molta familiarità con l'Università di Harvard. La prestigiosa scuola l'aveva rifiutata il suo primo anno, ma lei aveva ugualmente trovato un modo per godersi la vita a Harvard durante la sua carriera al college, uscendo con due ragazzi che la frequentavano. A differenza degli altri college, le sorellanze di Harvard non erano riconosciute ufficialmente. Non esistevano case delle sorellanze, all’interno o fuori dal campus. Invece le feste si tenevano regolarmente in diversi appartamenti esterni al campus o in complessi residenziali sotto il nome di ‘organizzazioni’ o ‘club’ specializzati. Avery stessa era stata testimone del paradosso della vita al college durante la sua carriera accademica. Tutti fingevano di essere concentrati unicamente sui voti, fino a quando non tramontava il sole e si trasformavano in un branco di scatenati animali da festa. A un semaforo rosso, Avery fece una rapida ricerca online e scopri che la Kappa Kappa Gamma affittava due spazi nello stesso quartiere di Cambridge: Church Street. Uno degli spazi era per gli eventi e l'altro per le riunioni e per socializzare. Attraversò il Longfellow Bridge, oltre il MIT, e svoltò a destra sulla Massachusetts Avenue. Alla sua destra apparve l’Harvard Yard, con i suoi magnifici palazzi di mattoni rossi incastonati in una foresta di alberi e sentieri pavimentati. Trovò parcheggio su Church Street. Avery lasciò l'auto, chiuse la portiera e sollevò il volto verso il sole. Era una giornata calda, con temperature che raggiungevano quasi i trenta gradi. Il palazzo della Kappa era una lunga struttura a due piani con una facciata di mattoni. Il primo piano ospitava un gran numero di negozi di vestiti. Avery immaginò che il secondo piano fosse riservato agli uffici e alle attività della sorellanza. Accanto al campanello del secondo piano l'unico simbolo era un giglio blu, simbolo di Harvard; lo premette. Una roca voce femminile si alzò dal sistema di interfono. “Sì?” “Polizia,” disse a denti stretti, “aprite.” Silenzio per un momento. “Davvero,” rispose la voce, “chi è?” “È la polizia,” ripeté con fermezza. “Va tutto bene. Nessuno è nei guai. Ho solo bisogno di parlare con qualcuno della Kappa Kappa Gamma.” La porta fu aperta. In cima alle scale, Avery venne accolta da una ragazza stanca e assonnata in una maglietta grigia troppo grande per lei e pantaloni della tuta bianchi. Mora, sembrava una festaiola. Ciuffi di capelli le nascondevano la maggior parte del volto. Attorno agli occhi aveva cerchi scuri, e il fisico che normalmente sottolineava con tanto orgoglio sembrava grosso e senza forma. “Che cosa vuole?” chiese. “Calma,” rispose Avery. “Non ha niente a che fare con le attività della sorellanza. Sono qui solo per fare qualche domanda.” “Posso vedere un documento di identificazione?” Avery le mostrò il distintivo. La ragazza squadrò Avery da capo a piedi, studiò il distintivo e fece un passo indietro. L’area della Kappa Kappa Gamma era ampia e luminosa. Il soffitto era alto. Un gran numero di comodi divani in pelle e pouf blu riempivano l'area. Le pareti erano state dipinte di blu scuro. C'era un bar, un impianto stereo e un’enorme TV a schermo piatto. Le finestre erano alte quasi fino al soffitto. Dall'altra parte della strada, Avery poteva vedere la cima di un altro basso complesso di appartamenti, e poi il cielo. Qualche nuvola attraversò pigramente il cielo. Immaginò che la sua esperienza al college fosse stata molto diversa da quella della maggior parte delle ragazze nella Kappa Kappa Gamma. Tanto per cominciare, si era pagata la scuola da sola. Ogni giorno dopo le lezioni era andata in uno studio legale locale e aveva fatto carriera, da segretaria a celebrata paralegale. Inoltre a scuola aveva bevuto molto raramente. Suo padre era stato un violento alcolizzato. Durante la maggior parte delle serate era stata l'autista designato o nel dormitorio a studiare. Un’espressione di speranza illuminò il volto della ragazza. “Si tratta di Cindy?” chiese. “Cindy è una tua amica?” “Sì, la mia migliore amica,” rispose. “Per favore, mi dica che sta bene?” “Come ti chiami?” “Rachel Strauss.” “Sei tu che hai chiamato la polizia?” “Esatto. Cindy se ne è andata ubriaca dalla nostra festa di sabato notte. Da allora non l'ha più vista nessuno. Non è da lei.” Alzò gli occhi al cielo e fece un sorrisetto, aggiungendo: “Di solito è molto prevedibile. È tipo, miss perfettina, capisce? Sempre a letto alla stessa ora, stesso programma che non cambia mai, le serve un preavviso di circa cinque anni per qualsiasi novità. Sabato era fuori di testa. Ha bevuto. Ha ballato. Per un po' ha gettato via l'orologio. È stato un bello spettacolo.” Per un momento Rachel si perse a guardare nel vuoto. “Era solo molto felice, sa?” “Qualche motivo in particolare?" chiese Avery. “Non so, è la migliore della classe. Deve iniziare a lavorare questo autunno.” “Che lavoro?” “Alla Devante? Sono, ecco, lo studio migliore di Boston. È specializzanda in contabilità. È così noioso, lo so, ma in fatto di numeri è un genio.” “Mi puoi raccontare di sabato notte?” Gli occhi di Rachel si riempirono di lacrime. “Si tratta davvero di Cindy, non è vero?” “Sì,” ripose Avery. “Magari possiamo sederci?” Rachel crollò sul divano e scoppiò a piangere. Tra i singhiozzi cercò di parlare. “Sta bene? Dov’è?” Era la parte del lavoro che Avery odiava di più, dover parlare con gli amici e i parenti. Aveva il permesso di dare solo alcune informazioni. Più dettagli la gente sapeva a proposito di un caso, e più ne parlava, e quelle parole riuscivano inevitabilmente ad arrivare ai responsabili del crimine. Nessuno lo capiva né se ne curava sul momento, erano troppi sconvolti. Tutto ciò che volevano erano delle risposte. Avery si sedette accanto a lei. “Siamo molto felici che tu abbia chiamato,” disse. “Hai fatto la cosa giusta. Temo di non poter parlare di un'indagine in corso, ma quello che posso dirti è che sto facendo tutto ciò che è in mio potere per scoprire che cosa è successo a Cindy quella notte. Non posso farcela da sola, ho bisogno del tuo aiuto.” Rachel annuì e si asciugò gli occhi. “Posso aiutarla,” disse, “posso aiutarla.” “Voglio sapere tutto quello che ti ricordi di quella notte, e di Cindy. Con chi ha parlato? C’è stato qualcosa che ti ha colpito particolarmente? Commenti che ha fatto? Persone che si sono interessate a lei? Qualsiasi cosa a proposito del momento in cui è uscita?” Rachel crollò completamente. Alla fine alzò una mano, annuì e si ricompose. “Sì,” disse. “Certo.” “Dove sono tutte le altre?” chiese Avery per distrarla. “Pensavo che le case delle sorellanze fossero piene di ragazze con i postumi, vestite con il logo della Kappa?” “Sono a lezione,” rispose Rachel asciugandosi gli occhi. “Un paio di ragazze sono andate a prendere la colazione. A proposito,” aggiunse, “tecnicamente non siamo una sorellanza. Questo è solo un posto che affittiamo per rimanere a dormire quando non vogliamo tornare al dormitorio. Cindy non è mai rimasta qui. Troppo moderno per lei. Lei è più una da atmosfera “casalinga”.” “Dove vive?” “Negli alloggi per gli studenti, non lontano di qui,” disse Rachel. “Ma sabato notte non era diretta a casa. Doveva vedersi con il suo ragazzo.” Avery drizzò le orecchie. “Un ragazzo?” Rachel annuì. “Winston Graves, noto studente dell’ultimo anno, canoista e stronzo. Nessuna di noi ha mai capito perché uscisse con lui. Beh, io credo di saperlo. È bello e la sua famiglia è ricca. Cindy non ha mai avuto denaro. Credo che se non hai mai avuto dei soldi, sembrino molto interessanti.” Già, pensò Avery, lo so. Ricordava come il denaro, il prestigio e il potere del suo precedente lavoro allo studio legale le avesse fatto credere di essere in qualche modo diversa dalla ragazzina spaventata ma determinata che aveva lasciato l’Ohio. “Dove vive Winston?” chiese. “A Winthrop Square. È qui vicino. Ma Cindy non ci è mai arrivata. Winston è passato domenica mattina presto a cercarla. Aveva pensato che si fosse dimenticata dei loro piani e che si fosse addormentata. Quindi siamo andati insieme a casa sua. Non era neanche lì. È allora che ho chiamato la polizia.” “Sarebbe andata da qualche altra parte?” “Assolutamente no,” disse Rachel. “Non sarebbe stato da Cindy.” “Quindi, quando se ne è andata di qui, tu sei sicura che fosse diretta verso casa di Winston.” “Assolutamente.” “C’è qualcosa che avrebbe potuto cambiare i suoi piani? Qualcosa che le è successo all’inizio di quella sera, o alla fine?” Rachel scosse la testa. “No, beh,” si rese conto, “c’è stato qualcosa. Sono sicura che non sia niente, ma c’è un ragazzo che ha da anni una cotta per Cindy. Si chiama George Fine. È carino, con un’aria da duro, un solitario, ma un po’ strano, capisce cosa intendo? Si allena e spesso fa jogging dentro il campus. L’anno scorso ho seguito un corso insieme a lui. Scherzavamo sempre ha frequentato un corso insieme a Cindy quasi in ogni semestre sin dal primo anno. È ossessionato da lei. Era qui sabato, e la cosa folle è che Cindy ha ballato con lui e si sono persino baciati. Non è stato da lei. Voglio dire, esce con Winston, non che la loro sia una relazione perfetta, ma era davvero ubriaca, e scatenata. Si sono baciati, hanno ballato e poi se ne è andata.” “George l’ha seguita fuori?” “Non lo so,” disse. “Davvero. Non mi ricordo di averlo visto dopo che Cindy se ne è andata, ma potrebbe anche essere perché ero completamente sbronza.” “Ti ricordi a che ora se ne è andata?’ “Sì,” rispose, “esattamente alle due e tre quarti. Sabato era la nostra festa annuale per la Notte del Pesce d’Aprile, e dovevamo fare un bello scherzo, ma ci stavamo divertendo tutti al punto che ce ne siamo dimenticati fino a quando Cindy non è andata via.” Rachel bassò la testa. Per un momento il silenzio riempì l’aria. “Beh, ascolta,” disse Avery, “è stato molto utile. Grazie. Ecco il mio biglietto da visita. Se ti viene in mente qualcos’altro, o se le tue consorelle hanno qualcosa da aggiungere, sarò felice di ascoltarvi. È un’indagine aperta, quindi anche il più piccolo dettaglio può darci un indizio.” Rachel la guardò con occhi pieni di lacrime. E mentre le lacrime cominciavano a scenderle sulle guance, la sua voce rimase calma e ferma. “È morta,” disse, “non è vero?” “Rachel, non posso.” Rachel annuì, poi si prese il volto tra le mani e scoppiò a piangere. Avery si avvicinò e l’abbracciò forte.
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