CAPITOLO UNO
CAPITOLO UNO
Keira si svegliò sul divano bitorzoluto di Bryn con il collo irrigidito e i piedi ghiacciati. La temperatura a New York stava scendendo per via dell’arrivo dell’autunno. Nonostante il divano scomodo e i brividi, era di ottimo umore.
Quel giorno, il 22 di ottobre, Keira sarebbe tornata a lavoro alla rivista Viatorum con un nuovo ruolo di maggior livello e anche meglio pagato. Non vedeva l’ora di riabbracciare Nina, la sua amica ed editrice alla rivista, e smaniava dal desiderio di rimettersi a scrivere. Quale sarebbe stato il suo prossimo incarico, ancora non lo sapeva, ma era certa che non sarebbe stato eccitante come il suo ultimo mese in Irlanda.
Dava per scontato che quella volta Elliot le avrebbe affidato qualcosa di meno rilevante e a lei andava assolutamente bene. Quasi non aveva avuto il tempo di reinserirsi nella sua vita a New York, di rivedere i suoi amici e sua madre. E oltretutto, di lì a una settimana Shane sarebbe andato a trovarla e la sua visita le premeva molto di più che girare per il mondo.
Proprio in quel momento Bryn, sua sorella maggiore, entrò di corsa nel soggiorno, con i capelli in disordine, saltellando con una scarpa infilata e una no.
“Sono in ritardo per il lavoro,” farfugliò la ragazza. “Perché non mi hai svegliata?”
Keira controllò l’orologio.
“Perché sono le sette. Hai ancora un’ora prima di dover uscire.” Scoppiò in una risata davanti alla perpetua sbadataggine della sorella.
Bryn si fermò e fissò l’orologio, per rimanere a bocca aperta. “Oh, già.” Si sfilò la scarpa con un calcio e andò a sedersi sul divano accanto a Keira. “Ero davvero sicura che sarei stata un’adulta migliore una volta arrivata ai trent’anni,” rimuginò.
Keira sorrise. “Non succederà mai.”
A nessuna delle due sorelle Swanson interessava molto crescere.
Bryn le si avvicinò e la sgomitò. “Quindi… primo giorno di lavoro dopo la pausa. Come ti senti?”
“Sto bene,” rispose lei. “Sarà tutto diverso senza Joshua a rovinare l’atmosfera. Soprattutto non vedo l’ora di rivedere Nina. E ovviamente sono in ansia di scoprire quale sarà il prossimo progetto che Elliot mi affiderà.”
“Sarà un altro viaggio all’estero?” ipotizzò Bryn.
“Ne dubito,” commentò Keira. “Anche se un po’ di sole mi farebbe bene!” Scoppiò a ridere e lanciò uno sguardo fuori dalla finestra verso il cielo autunnale di New York, carico di nubi.
“E anche tornare al tuo letto,” scherzò Bryn, dando una pacca sul divano.
“A questo proposito…” esordì Keira. “Voglio assicurarti che non ho intenzione di rimanere qui per sempre. È solo che ci sto mettendo un po’ più di quanto avevo pensato per trovare un appartamento. E prima mi servirebbe anche riavere la cauzione della casa che dividevo con Zach. Lo sai quanto la sta tirando per le lunghe.”
“Non è un problema,” disse Bryn, accantonando la sua giustificazione. “Rimani tutto il tempo che ti serve. Basta che non mi giudichi per gli uomini che mi porto a casa.” Fissò la sorella con uno sguardo severo. “Ho visto come mi guardi certe volte.”
Keira scoppiò a ridere. “Credo solo che se riuscissi a vedere quanto sei bella veramente, non perderti tutto questo tempo con degli uomini orrendi.”
Bryn roteò gli occhi. “Lasciamo perdere. Dunque, perché pensi che non ti manderanno di nuovo all’estero?”
“Non lo so.” Keira alzò le spalle. “Perché non sarebbe giusto nei confronti degli altri scrittori, tanto per iniziare. Sembrerebbe favoritismo.”
“Non dimenticarti che ormai sei a un livello più alto.” Le sottolineò Bryn. “E favoritismo è una parola molto infantile da usare. Si tratta di lavoro. Se sei più brava degli altri, allora è così e basta. Impara ad accettarlo.”
Keira non condivideva la sicurezza di sua sorella. Si agitò a disagio. “Beh, in ogni caso, anche se fosse all’estero, non potrei andarci.” Pensò a Shane e sorrise con aria sognante. “Ho dei progetti qui.”
“Ah, sì,” disse Bryn, sogghignando. “Il fidanzato. Tra quanto arriverà?”
La mente di Keira evocò l’immagine dell’affascinante volto di Shane, la barba incolta sulla sua mascella scolpita, i meravigliosi occhi blu, e fluttuò attraverso una miriade di fantastici ricordi del mese che avevano passato a innamorarsi l’uno dell’altra.
“Una settimana,” rispose con un sospiro estatico, ripensando alla sensazione delle sue labbra sulle proprie, il tocco di quelle dita sulla pelle. “E a questo proposito, devo proprio chiamarlo.”
Doveva essere quasi mezzanotte in Irlanda, dove viveva Shane, e quindi sarebbe stata la sua ultima possibilità di parlare con lui prima che andasse a dormire. Così avrebbe dovuto sopportare otto ore senza Shane, mentre il ragazzo dormiva. Nessuna comunicazione, niente messaggi provocanti o battute buffe. Quelle otto ore erano quasi insopportabili per Keira, tanto era intensa la sua voglia di lui al momento.
“Lo chiami tutte le mattine?” chiese Bryn, sorpresa.
Keira percepì un accenno di disprezzo nella voce della sorella. Era una single perenne e una maniaca degli appuntamenti, cosa che la rendeva immediatamente sospettosa di chiunque dichiarasse di aver trovato l’amore.
“Già,” rispose Keira. “Di solito stai ronfando e quindi non te ne accorgi.”
“Beh, secondo me non è sano,” iniziò Bryn. “Dipendi già troppo da lui.”
Keira si alzò roteando gli occhi verso il cielo. L’attività preferita di Bryn era dare aria alla bocca, nonostante fosse un modello di comportamento tremendo. Invece lei era convinta che se solo avesse saputo, se solo avesse visto, ciò che condivideva con Shane, non sarebbe stata tanto sicura di sé.
Keira si chiuse in bagno con il telefono, consapevole che quello fosse l’unico luogo dove avrebbe potuto avere un po’ di privacy nel minuscolo appartamento di Bryn, e fece il numero di telefono di Shane. Un familiare brivido di eccitazione la attraversò tutta mentre aspettava, ascoltando il segnale di libero, in attesa di sentire di nuovo la sua voce affascinante. Non vedeva l’ora di raccontargli delle cose interessanti che aveva organizzato per la sua visita, tutte le attrazioni di New York che voleva svelargli, dagli assaggi di cibo lungo il Restaurant Row alle passeggiate sul fiume a Tribeca, per poi passare al Tenement Museum, ai giardini a Battery Park, al frutteto fuori città e le gallerie d’arte a Chelsea. L’itinerario era strapieno e sapeva che Shane sarebbe stato emozionato dalla sua visita della città quanto lei lo era di mostrargliela.
Finalmente rispose alla chiamata e il cuore di Keira prese a battere forte. Invece della solita voce allegra, Shane aveva un tono provato. E piuttosto che iniziare la chiamata con un nomignolo esagerato e buffo, come coniglietta o fiorellino, usò il suo vero nome.
“Keira, ehi,” disse, sembrando esausto, come se avesse avuto la giornata peggiore che si potesse immaginare.
La gioia di Keira si trasformò subito in angoscia. In lontananza sentiva suoni poco familiari, diverse conversazioni sovrapposte e telefoni che squillavano.
“Che cosa è successo?” chiese, iniziando a spaventarsi. “Dove sei?”
“All’ospedale.”
“Oh, mio Dio, perché?” Il cuore di Keira perse un colpo per la paura, e una miriade di possibilità le riempì la mente. “Sei ferito? Malato?”
“Non è per me,” rispose lui. “Io sto bene. È per mio padre.”
Un’immagine del padre di Shane, Calum Lawder, le apparve davanti agli occhi. Era una delle persone più gentili e dolci che avesse mai avuto la fortuna di incontrare. L’idea che gli fosse successo qualcosa era agghiacciante.
“Sta bene? Dimmi che cosa sta succedendo!”
Shane fece un profondo sospiro. “Starà bene adesso che è stato operato.”
A Keira si gelò il sangue nelle vene. “Operato?” ripeté in uno strillo.
“Sono stato tutto il giorno al Pronto Soccorso. Ha avuto un attacco di cuore. Gli hanno dovuto mettere uno stent. È un miracolo che sia ancora vivo. Se non ci fosse stato un chirurgo cardiaco qua all’ospedale per un altro appuntamento, non ce l’avrebbe fatta.”
“Oh, Shane, mi dispiace così tanto,” disse Keira, con il petto stretto dall’ansia. Avrebbe voluto poter attraversare la linea telefonica e raggiungere Shane, per stringerselo al cuore e dimostrargli tutto il suo affetto. “Come sta tua madre? E le tue sorelle?”
“Stiamo bene,” rispose Shane. “Siamo ancora tutti sotto shock, a dir la verità. Specialmente Hannah.”
Keira ripensò alla sua sorella minore, la sedicenne dai capelli dorati a cui si era tanto affezionata. “Povera ragazza,” disse. All’improvviso quello non le sembrò il momento giusto per discutere della sua futura visita a New York. Non era corretto parlare di progetti emozionanti dopo la giornata spaventosa che doveva aver appena passato. “E ora come adesso Calum?”
“È sveglio e fa delle battute, ma si capisce che sta fingendo di essere coraggioso per tutti noi.“
“Mi dispiace così tanto, tesoro,” disse Keira. “Vorrei essere lì con te per sostenerti, ma immagino di dover conservare tutti i miei abbracci per quando arriverai, la prossima settimana.”
Dall’altro capo del telefono, Shane rimase in silenzio. Gli unici suoni che Keira riusciva sentire erano gli squilli dei telefoni dell’ospedale in piena attività, i bip delle macchine, il rumore lontano delle sirene e il viavai generale dello staff medico che si dedicava ai propri compiti.
“Sembra molto caotico lì,” aggiunse, quando Shane continuò a non rispondere.
“Keira,” disse lui, non appena ebbe finito di parlare.
Alla ragazza non piacque il tono della sua voce. Ebbe la netta sensazione che Shane stesse per darle una pessima notizia.
“Cosa c’è…?” sussurrò la domanda, come se la facesse soffrire.
“Dovrò cancellare il mio viaggio,” annunciò Shane.
Keira capì dal suo tono quanto era devastato. La sua stessa voce si abbassò in un bisbiglio afflitto. “Davvero?”
“Mi dispiace,” continuò lui, “ma devo rimanere qui. Per mamma e le ragazze. Sono a pezzi e io mi sentirei uno stronzo se me ne scappassi a New York e le abbandonassi.”
“Ma manca ancora una settimana,” insistette Keira. “Le cose andranno meglio per allora. Calum sarà di nuovo in forma. E tu non staresti via tanto. Solo una settimana. Non è un mese o un periodo assurdo di tempo. Non avranno problemi senza di te per qualche giorno. Voglio dire, riescono a resistere senza la tua presenza una volta all’anno, quando fai il tuo lavoro di guida turistica a Lisdoonvarna.”
Si rendeva conto che stava parlando a vanvera, e che doveva sembrare decisamente disperata. Aveva atteso con tanta ansia il momento in cui avrebbe rivisto Shane, in cui lo avrebbe portato nel proprio mondo come lui aveva fatto in Irlanda. L’attesa era stata così difficile, la sua assenza tanto dolorosa da sopportare. Senza parlare dei soldi che aveva già speso per il suo volo, e tutto il resto per cui aveva speso una fortuna, le attività che aveva prenotato e che non poteva cancellare per farsi rimborsare. Avrebbe potuto usare il bonus in denaro che aveva ricevuto da Elliot per trovare casa invece che rimanere sul divano di Bryn, a rovinarsi la schiena. Sarebbero riusciti a rinviare il viaggio? Shane non aveva molti soldi per contribuire.
“Mio padre è quasi morto, Keira,” disse seccamente Shane. “È una situazione completamente diversa da un viaggio di lavoro di un mese all’anno.”
“Lo so,” rispose umilmente lei. “Non volevo essere egoista. È solo che mi manchi così tanto.”
“Anche tu mi manchi,” replicò Shane, con un profondo sospiro.
A Keira venne un nodo alla gola per l’infelicità. Ma non voleva insistere, specialmente perché a finire all’ospedale non era stato un suo parente. Decise di farsi forza.
“Immagino che non ci sia altro da fare,” dichiarò, con più calma di quanto non provasse. “Decidiamo subito un’altra data così non lasciamo il viaggio in sospeso. Non so come potrei resistere senza fare il conto alla rovescia fino al momento in cui ci rivedremo.” Ridacchiò, cercando di dare l’impressione di stare meglio di quanto non fosse.
Ancora una volta, da Shane non venne alcuna risposta. Al posto della sua voce, Keira sentì solo il suono di una receptionist che spiegava a qualcuno come andare verso il reparto dialisi.
“Shane?” lo chiamò timidamente, quando non riuscì più a sopportare il suo silenzio.
Alla fine lui rispose.
“Non credo di poter fissare un’altra data,” le disse.
“Per via di tuo padre? Shane, si riprenderà in un batter d’occhio. Si rimetterà in piedi e potrà tornare alla fattoria. Ti prometto che per novembre sarà tornato tutto come prima. Oppure se preferisci potremmo fare per dicembre. Così avrà avuto tutto il tempo per tornare a lavoro.”
“Keira,” la fermò Shane.
Lei chiuse la bocca di scatto, interrompendo il flusso di coscienza in cui sapeva si stava buttando come tattica diversiva, per rimandare ciò che temeva sarebbe avvenuto, un modo per fermare la tremenda inevitabilità di quello che stava per dire Shane.
“Non posso venire da te,” affermò. “Mai.”
Keira sentì le mani che iniziavano a tremare. Improvvisamente il telefono le sembrò scivoloso tra le dita, come se non potesse stringerlo adeguatamente.
“Allora verrò io in Irlanda,” disse piano lei. “Per me non è un problema viaggiare, se tu non te la senti. Ho adorato l’Irlanda. Posso tornare da te.”
“Non è quello che volevo dire.”
Keira sapeva che cosa aveva voluto dire, ma non voleva crederci. Non aveva intenzione di rinunciare a Shane alla prima difficoltà. Il loro amore era più forte di così, più importante e più speciale. Doveva fargli cambiare idea, anche se significava sembrare disperata o diventare, per usare le parole di Bryn, troppo dipendente da lui.
Ascoltò Shane che prendeva un lungo e triste sospiro. “C’è bisogno di me alla fattoria, e con la famiglia. L’Irlanda è la mia casa. Non mi posso trasferire da un’altra parte.”
“Nessuno ha mai parlato di trasferirsi,” rispose Keira.
“Ma lo dovremo fare, presto,” disse Shane. “Se vogliamo che la nostra relazione funzioni, a un certo punto dovremo vivere nello stesso paese. Io non posso trasferirmi lì da te, e tu non ti trasferirai qui da me.”
“Potrei farlo,” balbettò Keira. “Sono sicura che potrei. A un certo punto.”
Pensò al magnifico paese di cui si era innamorata. Era certa che avrebbe potuto vivere lì se fosse servito per stare insieme a Shane.
“In una fattoria?”
“Certo!”
L’incantevole cottage pieno di amore e vita familiare la attirava moltissimo. La sua famiglia era frammentata, con Bryn sempre impegnata, sua madre a miglia di distanza e suo padre completamente assente dalle loro vite. Che cosa c’era di meglio della famiglia istantanea che Shane poteva darle?
“Con i miei parenti? Le mie sorelle? I miei genitori?” Le domandò Shane. “E tutte quelle pecore?”
Keira ripensò alle feci di pecore in cui si era trovata immersa fino alle ginocchia. Pensò alle sei sorelle di Shane, che erano tutte adorabili ma vivevano ancora a casa. Sarebbero stati stretti. Sarebbe stato molto diverso da quello che aveva voluto per sé, ma lo era anche dormire sul divano di Bryn. Se poteva sopportare di vivere con sua sorella, avrebbe potuto decisamente resistere vivendo con tutte e sei quelle di Shane! E non era forse quello il senso della vita, riuscire a superare le sfide che lanciava? Il punto non era proprio accogliere ogni assurdità a braccia aperte?
“Shane,” rispose Keira, cercando di sembrare rassicurante. “Non dobbiamo decidere tutto proprio adesso. La vita cambia. Chi lo sa, le tue sorelle potrebbero sposarsi e trasferirsi altrove. I tuoi genitori potrebbero decidere di vendere la fattoria e viaggiare per il mondo su uno yacht. Non puoi prevedere il futuro quindi smettiamo di preoccuparcene.”
“Ti prego, ascoltami,” disse Shane, con voce rotta dall’emozione. “Sto cercando di farla finita adesso, così in futuro non diventerà ancora più doloroso di quanto non sia già.”
Le parole farla finita rimbombarono nella mente di Keira, come un martello sul ferro. Sussultò, e il groppo doloroso che aveva in gola diventò più grande di prima.
Per la prima volta si rese conto che Shane aveva già preso la sua decisione. Non avrebbe fatto marcia indietro. Niente che poteva dire gli avrebbe fatto cambiare idea.
“Non farlo,” supplicò Keira. All’improvviso stava piangendo, singhiozzava apertamente, inconsolabilmente, mentre si rendeva conto che Shane non avrebbe ceduto. Che la stava davvero lasciando. Il Vero Amore. L’uomo della sua vita.
“Mi dispiace,” anche lui stava piangendo. “Devo farlo. Ti scongiuro, devi comprendermi. Se non ci fosse stato un oceano tra di noi, io sarei voluto rimanere con te per sempre. Ti avrei anche sposata.”
“Non dirlo!” singhiozzò Keira. “Così rendi tutto più difficile.”
Shane esalò bruscamente. “Ho bisogno che tu sappia quanto sei importante per me, Keira. Non devi pensare che io abbia avuto paura. Se non ci trovassimo in una situazione del genere non lo farei mai. Non è quello che voglio. Neanche lontanamente. Lo capisci?”
“Sì,” rispose Keira, mentre le scendevano lacrime amare lungo le guance. Lo capiva bene. L’uomo dei suoi sogni, l’uomo che la amava e che la faceva ridere ogni singolo giorno, stava rinunciando a lei solo perché le cose si erano fatte un po’ complicate. L’uomo di cui si era profondamente innamorata nel mese più trasformativo della sua vita si stava arrendendo alla prima difficoltà. In fin dei conti non voleva impegnarsi nella loro relazione. Quel pensiero le aleggiò tetro nella mente.
“Quindi immagino che questo sia un addio?” disse Keira, freddamente.
Shane doveva aver notato il suo tono improvvisamente sconfortato. “Non fare così,” disse. “Possiamo rimanere in contatto. Possiamo essere amici. Ci sono sempre i social media. Non voglio allontanarti del tutto dalla mia vita.”
“Ma certo,” rispose lei tristemente, sapendo che nonostante le migliori intenzioni, era molto raro che una relazione d’amore si trasformasse in un’amicizia platonica. Semplicemente non era così che funzionava. Una volta che l’amore era finito, il sentimento svaniva per sempre, per le meno nella sua esperienza.
“Sei arrabbiata con me?” chiese Shane, sembrando giovane e fragile.
“No,” rispose Keira, rendendosi conto che era vero. Le ragioni per cui Shane aveva deciso di chiudere la loro relazione erano nobili. Stava dando la priorità alla sua famiglia. Erano esattamente le qualità che lei cercava in un partner, quindi sarebbe stato ingiusto da parte sua fargliene una colpa. “Penso che adesso dovresti andare e stare insieme alla tua famiglia,” aggiunse. “Dai a tutti un abbraccio da parte mia, va bene?”
“Okay,” disse lui.
Keira non ne era certa, ma il modo in cui lo pronunciò le diede la sensazione che Shane pensasse che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui si sarebbero parlati. Sembrava devastato.
Seguì un lungo momento di silenzio.
“Addio, Keira,” fu il suo saluto finale.
Prima ancora di avere la possibilità di rispondergli, la chiamata si chiuse. Si allontanò il telefono dall’orecchio e lo fissò, tenendolo tra le dita. Come poteva quel minuscolo ammasso di metallo e microchip farla sentire come se tutto il suo mondo le fosse caduto sotto i piedi? Come aveva potuto una sola conversazione ribaltare la sua vita? Era come se ogni briciola di felicità che avesse mai provato fosse stata risucchiata attraverso il microfono del telefono per essere risputata in un abisso oscuro, e mai più ritrovata.
E peggio ancora, Keira non poteva nemmeno arrabbiarsi. Shane non era stato un bastardo come ogni altro ragazzo con cui si era lasciata. Non c’erano stati tradimenti, bugie, litigi o colpi deliberati sotto la cintura. Forse era per quello che faceva molto più male. Forse era perché si era permessa di pensare che Shane potesse essere il Vero Amore, che fosse possibile trovarlo.
Ancora in lacrime, uscì dal bagno e gettò il telefono sul divano. Bryn, che era al bancone della cucina a preparare il caffè, sussultò per la sorpresa.
“Che cosa è successo?” chiese lei. “Stai piangendo?”
Ignorando le domande di Bryn, Keira afferrò il suo itinerario autunnale dal tavolino, scorrendo rapida con lo sguardo la lista di eventi che aveva organizzato per sé e Shane, luoghi dove avrebbero dovuto creare ricordi preziosi da raccontare ai nipotini, e lo strappò bruscamente a metà.