Capitolo Due
Yzebel indossava un vestito di trapunta digialli e marroni sbiaditi e un lacero grembiule legato attorno alla sua vita stretta. I suoi lunghi capelli scuri erano intrecciati e legati in un complesso chignon alto. Non era vecchia, neanche a metà della sua vita.Trovai straordinario il fatto che non avesse rughe. I suoi tratti,dal colore della crema di cannella, erano delicati come il chiaro di luna sulla seta.
Abbassai lo sguardo sul mio corpo e notai i numerosi tagli e le ferite. Solo in quel momento realizzai che terribile disavventura ebbi affrontato. Mi faceva male tutto, soprattutto la nuca. Mi ricordai di essere stata malata e bollente, tanto bollente, prima che mi buttassero nel fiume. A parte quello, non rammentavo altro. La debolezza mi travolse e mi sentii fragile come un arto rotto esposto al gelido vento. Scossi la testa in risposta alla domanda di Yzebel.
“Sei così magra.”La donna richiuse gentilmente il mantello e mi strinse intorno le braccia.
Non riuscivo a ricordare se qualcuno mi avesse mai abbracciata prima. Lasciai la mia roccia, sperando che non l’avesse sentita cadere a terra.
“Hai i capelli bagnati.” Prese una lunga ciocca e me la sistemò sulla spalla, poi mi strinse la mano. “Vieni qua al caldo.”
Yzebel mi condusse vicino al focolare, dove mi sedetti appoggiandomi a un tronco. Il fuoco riscaldò il mio corpo dolente, e il fumo dei pini mi avvolse in modo piacevole e tranquillizzante. Fissai il fuoco, guardando le fiamme balzare e danzare. Ricordava un bagliore di vita.
Dov’è che va il fuoco dopo che tutta la legna è bruciata?
“Puoi mangiare contu luca con wuhasa?”Mi chiese.
“Sì.”Non avevo mai sentito di contu luca, però sapevo che avrei potuto mangiare qualsiasi cosa.
Yzebel prese una ciotola di terracotta e la pulì con un angolo del suo grembiule. Usò un cucchiaio di legno per riempirla con cereali fumanti mischiati con pezzetti di carne. Un pentolino di argilla poggiato su una liscia pietra vicino al fuoco conteneva una densa salsa rossa. Spalmò una cucchiaiata di salsa nel piatto.
Presi la ciotola dalle sue mani e vi intinsi le dita. Il cibo era bollente, ma non riuscivo ad aspettare di più. Il delizioso sapore del grano duro e dei salati pezzi di carne di montone mi scaldò l’animo, e la salsa wuhasa aveva un retrogusto piccante. Inghiottii senza masticare e intinsi nuovamente le dita nella ciotola. Prima che potessi prenderne un secondo morso, il mio stomaco vuoto si ribellò contro il cibo. Mi sentivo stordita e mi si strinse lo stomaco. Tentai di appoggiare il piatto sul tavolo, ma Yzebel riuscì a prenderlo prima che lo facessi cadere.
Strinsi le braccia intorno allo stomaco e inciampai andando verso un lato della tenda dove vomitai il poco cibo che avevo ingerito. Continuava a farmi male la pancia.
Le dolci parole di conforto di Yzebel e lo straccio bagnato sulla nucami portarono sollievo. Poco dopo, lo stomaco si tranquillizzò.La donna mi girò per lavarmi la faccia.
“Quand’è stata l’ultima volta che hai mangiato?”
Provai a pensare. “Non oggi.”
“Vieni. Penso che dovresti provare a bere un po’ di vino prima di mettere altro cibo nel tuo stomaco vuoto. Un pochino di vino ha un effetto calmante, ma troppo ti farebbe ubriacare come un corvo che mangia l’uva fermentata.”
Sorrisi pensando al corvo ubriaco capitombolare nell’aria. Quando alzai lo sguardo, Yzebel mi fece l’occhiolino.
Mi sedetti accanto al fuoco, avvolta nel mantello di Tendao e sorseggiai il dolce vino annacquato.
“Bevine solo un po’,” mi disse. “Aspettiamo e vediamo se il tuo stomaco sgradirà il vino come ha fatto con il cibo.”
Annuii e misi giù la tazza. Un impetuoso caldo mi tranquillizzò lo stomaco, e sembrava che il vino potesse non tornare su. Mi allungai a prendere il coltello poggiato sulla pietra focolare e presi una delle rape da un cestino per pelarla, come avevo visto fare a Yzebel prima. Mi sorrise mentre tagliava le carote nella grande pentola. Lo stufato aveva un odore delizioso, ma non avevo alcuna intenzione di far arrabbiare una seconda volta lo stomaco.
“Non credo di aver mai incontrato qualcuno così silenzioso,” mi disse Yzebel. “Non hai niente da dire?”
Tagliai la rapa e la aggiunsi al contenuto della pentola, provando a pensare. Avevo ancora i pensieri tutti confusi e la testa mi faceva male più che mai. Yzebel probabilmente pensava che fossi una tonta oppure una sciocca.
Infine chiesi, “Cosa mangia un elefante?”
Le sopracciglia alzate di Yzebel erano l’unico segno del fatto che trovassebizzarra la domanda. “L’elefante?” ripeté. “Beh, mangia tutto quello che cresce. Se è abbastanza affamato, mangerà l’intera cima di un albero.” Prese un’altra carota. “Un grande elefante da guerra sarebbe capace di mangiare un intero caro di meloni oppure metà campo di grano duro. A volte anche un intero pagliaio.”
“Mangerebbe mai una bambina?”
Yzebel rise. “No, non mangia alcun tipo di carne, solo cose verdi e gialle che crescono dalla terra. Non mangerebbe mai un bambino. Bevi ancora un pochino di vino, ma non troppo in fretta.”
Feci come mi disse e presto la mia testa e il mio stomaco si sentirono meglio.
“Ora,” disse Yzebel, “prendi un po’ di contu luca ma questa volta mastica prima di inghiottire.”
Il cibo era ancora caldo e delizioso. Presi solo un piccolo boccone e rimisi giù la ciotola.
“Come ti chiami?”Mi chiese Yzebel mentre prendeva una grande cipolla gialla. Tagliò il fusto e mi guardò.
I miei ricordi si fermavano al punto in cui quegli uomini mi lanciavano nel fiume. Peròallo stesso modo in cui riuscivo a usare le parole per comunicare con Yzebel, conoscevo altre cose,come il vino: ne riconoscevo il sapore e sapevo come farlo.
Delle cose mi tornarono a mente, alcuni pezzettini alla volta. Sapevo che le ragazzine malaticce venivano abbandonate come la ceramica rotta e le ceneri del giorno prima, ma non mi ricordavo di aver mai avuto un nome.
Scossi la testa.
L’espressione di Yzebel si addolcì e abbassò lo sguardo. La cipolla che aveva tagliato era probabilmente più forte del solito. Guardò attorno al focolare come se cercasse qualcosa, e finì con il prendere un vecchio cucchiaio di legno. Esaminò una crepa nel manico per un po’ prima di parlare.
“Non hai un nome?”
Mi pulii la guancia con il dorso della mano. “No.”
“Beh,” rispose Yzebel, “troviamoti un nome allora. Penso sia un grande onore quando gli dei decidono che una ragazza dovrebbe scegliersi da sola il nome. Tu, no?”
Volevo esprimere il mio accordo e sapevo già che nome avrei voluto avere, ma frenai la lingua. Anche se non mi ricordavo di aver mai avuto un nome, ero a conoscenza del fatto che i bambini, e in particolare le ragazze, non dovrebbero parlare.
Come faccio a saperlo?
Ogni volta che cercavo di ricordare qualcosa la rimembranza mi sfuggiva come una colomba spaventata che sfrecciava dentro e fuori la nebbia.
Yzebel mi stava guardando, in attesa di una risposta, mantenendo la calma, come se capisse che avevo delle difficoltà con i miei stessi pensieri.
Non sapevo cosa dirle.
Forse dovrei raccontare a Yzebel del nome che vorrei avere.
Il mio stomaco stava meglio, ma la testa continuava a farmi male. Quando sbattevo le ciglia, puntini neri mi vorticavano davanti agli occhi: sparivano e apparivano accompagnati dal dolore. Scossi la testa nel tentativo di schiarirmi la vista.
“Ti va di sentire una storia mentre cucino?”Mi domandò.
“Sì.” Presi la mia ciotola di contu luca. “Per favore.”
“La storia parla della Dea Madre, Regina Elissa. Molte, molte estati fa, ancora prima della nascita del nonno di mio padre, la Regina Elissa, che i romani chiamano Dido, venne sulle sponde del Byrsa dalla sua antica terra dell’est. Chiese alle persone che abitavano qui un piccolo pezzo di terra dove potersi stabilire con i pochiche l’avevano seguita in mare. Il capo di quegli uomini furbi e disonesti le dissero,‘Potrai avere la quantità di terra che può essere circoscritta dalla pelle di un singolo bue, e il prezzo sarà un talento di argento.’”
“Talento?” Mi alzai per poggiare la ciotola vuota sul tavolo. “Cos’è un…?”
Tutto intorno a me sfocò e cominciò a girare. L’ultima cosa che vidi era Yzebel che voleva raggiungermi prima che cadessi.
* * * * *
Quando mi svegliai mi ritrovai distesa vicino al fuoco su delle pelli di animale, coperta con il mantello di Tendao. Il telone grigio sventolava a causa della brezza e una donna sedutami accanto mi stava guardando.
“Come ti senti?”Mi chiese la donna.
Mi misi a sedere lentamente, tentando di capire cosa fosse successo. Sentivo un ronzio nella testa, come uno sciame di api arrabbiate. Nel momento in cui mi diedi un’occhiata intorno, riuscii a schiarirmi i pensieri. Il tutto però mi pareva così strano: il fuoco scoppiettante, il pungente fumo che mi roteava intorno, e i tavoli che circondavano il fuoco della cucina come degli animali dalle gambe rigide che aspettavano di essere nutriti. La gialla luce del sole si intravedeva tra le cime degli alberi bagnava tutto di oro e ambra. Il viso della donna risplendeva nel bagliore del pomeriggio.
Mi ricordai che era Yzebel.
Tirai su il mantello per coprirmi le spalle, distesi le braccia e poi mi tocai la nuca. Il bernoccolo si era rimpicciolito e non faceva più così tanto male come prima.
“Bene,” risposi. “Sto bene.” Feci una pausa, provando a ricordare. “Mi stava raccontando una storia riguardo una regina e un bue, ma non mi ricordo la fine.”
“Ti ricordi la caduta?”
“No.”
“Hai dormito per tutto il giorno,” aggiunse Yzebel.
“Mi dispiace.”
“Non essere dispiaciuta, eri sfinita.”
“Potrebbe raccontarmi di nuovo la storia, per favore?”
“Lo farò.” Yzebel si alzò. “Ma prima, voglio che ti alzi così posso vedere se rischierai di inciampare e cadere nel fuoco come hai quasi fatto stamattina.”
Nel momento in cui mi alzai, Yzebel mi prese per spalle, guardandomi negli occhi.
“Stai per cadere?”
Scossi la testa, poi diedi un’occhiata alla ciotola vuota sul tavolo.
“Hai fame?”
“Sì.”
Yzebel riempì il piatto a metà con contu luca e me lo porse. Mi accomodai vicino al fuoco mentre la donna mescolava quello che stava cuocendo nella grande pentola e mi raccontò dall’inizio la storia della Regina Elissa.
Quando arrivò alla parte riguardo all’argento, domandai, “Talento? Cos’è un…?”
Yzebel mi guardò preoccupata, probabilmente pensando che sarei svenuta di nuovo, ma le sorrisi. Ricambiò il sorriso e continuò il racconto.
“Un talento è una grande tavoletta di argento.” Prese il coltello. “Due volte più lunga del mio coltello, e di peso pari a quello che un uomo riuscirebbe a portare in un giorno. Vale quanto sei, forse sette, elefanti da guerra.” Raccolse una carota e la tagliò. “La nostra Elissa era bellissima, aveva lunghi riccioli e un dolce sorriso, ma non era così stupida come appariva a quegli indigeni sempliciotti. Dopo un po’ accettò i loro termini. Poi, con l’aiuto delle sue domestiche, tagliò la pelle di un bue in numerose striscioline sottili e le sistemò formando un enorme arco che si estendeva dalla costa del mare, intorno alla collina e poi di nuovo verso la costa.
“‘Avrò questa terra, circoscritta dalla pelle di un solo bue,’ disse Elissa al capo di quella gente.
“Avendo capito di essere stati battuti in furbizia, i nativi, stringendo i denti, le diedero la terra augurandole buona fortuna nel costruirsi il suo piccolo villaggio. Andarono via con il talento di argento a rimuginare sulla loro perdita.
“Elissa aveva scelto una porzione della battigia che conteneva uno dei migliori porti naturali della costa sud del Mara Thalassa, chiamato anche Mare Internum dai romani. Ciò si rivelò un beneficio per la Regina Elissa e il suo villaggio che chiamò Città Nuova, la nostra Cartagine.”
Il ragazzo che mi aveva minacciato nella foresta con il suo bastone si avvicinò a Yzebel. Fui sorpresa nel vederlo e mi domandai perché fosse venuto al suo focolare.
Volle prendere un pezzo di carne dalla pentola, ma Yzebel gli afferrò la mano e la spinse via.
“Guarda come sono sporche le tue mani. Sai comportarti meglio.”
“Ho fame.”
“Puoi aspettare come il resto di noi. Hai portato la legna da fuoco a Bostar come ti avevo detto di fare?”
Annuì, ma i suoi occhi erano fissi su di me e sul mio piatto di contu luca. “Ha rubato il mantello di Tendao.”
“No, non l’ha fatto.”
Presi un grande pezzo di carne dal mio piatto e lo morsi. Osservai il ragazzo che appariva più grande di me, probabilmente di un anno. A differenza degli occhi marroni di Yzebel, i suoi erano di un banale grigio.
Qual è il colore dei miei occhi? Spero di averli marroni come i suoi.
“Allora perché lo indossa?” piagnucolò il ragazzo. Era scontroso con Yzebel e sogghignava come se lo disgustassi.
Yzebel sbatté il suo cucchiaio di legno contro il margine della pietra così forte, che pensai si sarebbe rotto. Lo guardò severamente finché egli non abbassò lo sguardo.
“Se non imparerai a frenare quella linguaccia, qualcuno ti taglierà quel velenoso pugnale dalla bocca. Mi hai capito?”
“Sì,” disse, guardandomi male.
Pensa sia per colpa mia che è stato rimproverato? Ha una bocca cattiva e si merita quello che ha ricevuto. Presi un’altra rapa dal cestino. Forse non avrà imparato nulla dalle parole di Yzebel, però io sì. E dal modo in cui lo tratta penso possa essere suo figlio, forse il fratello di Tendao. Peccato non sia per niente come il giovane uomo.
Volevo sentire di più riguardo la Regina Elissa e i suoi ondeggianti riccioli, il suo dolce sorriso e i suoi modi intelligenti, però non volevo che continuasse la storia in presenza del ragazzo. Volevo che la raccontasse solo a me, così che la possa conservare e tramandarla a un’altra ingenua ragazza ignorante delle belle cose.
Finii di pelare la rapa e dopo averla tagliata, guardai Yzebel e indicai il cestino. Mi annuì e io ne presi un’altra per continuare il lavoro.
Il ragazzo si lavò le mani, se le asciugò sulla tunica, e si sedette a terra. Prese una rapa e la pelò con un coltello che tirò fuori da una fodera alla sua cintura.
“Jabnet,” parlò Yzebel, “Sai dove si trova il sole?”
Quindi Jabnet è il suo nome. Uno stupido nome per uno stupido ragazzino. Il nome che mi sono scelta è molto meglio, e anche nobile, forse addirittura regale.
Jabnet guardò a ovest, dove il sole stava tramontando oltre le cime degli alberi dall’altro lato del campo. “Sì, Madre.”
Era alto quasi come sua madre. Se sorridesse occasionalmente potrebbe anche essere bello, peròla sua espressione inacidita rovinava completamente la sua intera immagine.
“Cos’è che devi fare ogni giorno quando il sole tramonta?”
“Pulire i tavoli.” Si ingobbì e si mise a fissare il pavimento. “E preparare le tazze, il vino e le torce.” Lasciò cadere nel cestino la rapa mezza pelata e si pulì il coltello con la manica.
“Devo ripeterti ogni giorno cosa fare a quest’ora?”
“No, Madre.”
Jabnet mi guardò male e rimise il coltello nella sua fodera. Quando fece per andare mi pestò di proposito il piede nudo con il suo sandalo. Il bordo della sua scarpa mi tagliò, ma mi rifiutai di dargli la soddisfazione di sentirmi piangere o lamentarmi con sua madre.
“Dopo l’arrivo dei soldati,” mi disse Yzebel, “ti prepareremo un posto dove dormire. Ti andrebbe di stare nella mia tenda stanotte?”
“Soldati?”
Non mi piacevano. Erano maleducati e brutti. Sapevo che avrebbero deriso me e il povero elefante Obolus. Potevo subire che tutti deridessero me, ma Obolus non poteva più difendersi. Lo stavano probabilmente facendo a pezzettini e stavano cucinando la sua carne sui loro fuochi, ridendo del suo rendersi sciocco. Mi sentivo triste per il povero animale e mi dispiaceva essere stata la causa della sua morte.
“Sì,” mi rispose Yzebel. “Alla sera, gli uomini vengono al campo per cercare… uhm… il piacere, poi alcuni cercano qualcosa da mangiare qui. Preparo sempre del cibo per loro, e se lo gradiscono, mi danno del rame o dei gingilli dalle loro conquiste sul campo di battaglia.”
“E se non gradiscono il suo cibo?”
“Beh, in tal caso lanciano cose e rompono le mie stoviglie.” Mi guardò e deve aver notato la mia espressione assorta. “Sto solo scherzando,” aggiunse. “Sanno di meglio che creare seccature alle Tavole di Yzebel.”
Non ero sicura di che cosa intendesse, ma sicuramente non volevo che si arrabbiasse mai più con me, come lo aveva fatto quando mi vide indossare per la prima volta il mantello di Tendao.
“Ora,” mi parlò, “mostrami tutte le tue dita.”
Misi giù la rapa e alzai le mani, estendendo le dita. Yzebel fece lo stesso, e poi abbassò le dita sulla sua mano destra lasciando alzato solo il pollice. La imitai. Ora avevo tutte le dita di una mano estese, più il pollice dell’altra.
“Questo è il numero di pagnotte di cui ho bisogno.” Mi spiegò.
“Sei.”
Alzò un sopracciglio. “Molto bene. Sono contenta tu sappia i numeri.” Mi indicò una grande brocca di terracotta vicino all’entrata della tenda. “Puoi portare quella caraffa di vino a Bostar e dirgli che è da parte della sua buona amica Yzebel in cambio delle sei pagnotte più fresche che ha?”
“Sì.” Ero ansiosa di aiutare in ogni modo possibile. “Dove trovo Bostar?”
“La tenda del fornaio è a due passi da qui.” Indicò a est. “In quella direzione. Sentirai l’odore del cibo quando ti ci avvicinerai.” Esitò prima di continuare. “Sii attenta con la caraffa. Non voglio che tu faccia cadere neanche una goccia. Quel vino è molto prezioso. Hai capito…?” Apparentemente si era dimenticata non avessi un nome.
“Obolus,” finii.
Yzebel spalancò gli occhi. Forse non capiva la parola. “Hai detto Obolus? È il grande elefante.”
“È il nome che voglio scegliermi.”
Jabnet risse da dietro di me, e realizzai che aveva sentito tutto.
“È in parte elefante,” disse. “Sapevo che c’era qualcosa che non andava in lei. Forse suo padre era un elefante e sua madre–”
Lo sguardo fulminante di Yzebel lo silenziò. Tornò a riempire le torce con olio d’oliva e coprirle di stoppini di cottone.
“Puoi sceglierti il nome che preferisci,” mi rispose. “Ma sei sicura che il nome dell’elefante sia quello giusto per te?”
“Sì.”
Presi la pesante caraffa e andai a cercare Bostar.