Improvvisamente la chiesa venne percorsa da una specie di follia, un rumore di gente in delirio, una bufera di singhiozzi e di grida strozzate. Fu come una di quelle ventate che piegano le foreste, e il sacerdote restò immobile, con l'ostia in mano, paralizzato dalla commozione, dicendo a se stesso: “È Dio, è Dio che è in mezzo a noi, che manifesta la sua presenza, che al mio appello discende sul suo popolo inginocchiato”. Balbettava preghiere sgomente, senza parole, preghiere dell'anima, in un furioso slancio verso il cielo.
Finì di distribuire la comunione in preda a una tale sovreccitazione religiosa che le gambe non lo reggevano più, e quando egli stesso ebbe bevuto il sangue del suo Signore, s'inabissò smarrito in un atto di ringraziamento.
Alle sue spalle il popolo a poco a poco si calmava. I cantori, rinfrancati dalla dignità della bianca cotta, ricominciarono a cantare con voci meno sicure, ancora umide; e anche il serpentone pareva affiochito, come se pure lui avesse pianto.
Allora il sacerdote, alzando le mani, fece cenno di tacere, e passando davanti alle due siepi di comunicanti sperduti in estasi di felicità, avanzò fino alla grata del coro.
I fedeli si erano messi a sedere con gran rumore di sedie, e ora tutti si soffiavano forte il naso. Quando videro il parroco fecero silenzio, ed egli cominciò a parlare piano, con tono esitante, velato.
«Miei cari fratelli, mie care sorelle, figli miei, vi ringrazio dal più profondo del cuore: mi avete dato la più grande gioia della mia vita. Ho sentito Dio discendere su di noi, al mio appello. È venuto, era qui, presente; riempiva le vostre anime, vi faceva traboccare gli occhi. Sono il più vecchio prete della diocesi, e oggi sono anche il più felice. Si è verificato un miracolo in mezzo a noi, un vero, grande, sublime miracolo. Mentre Gesù Cristo penetrava per la prima volta nel corpo di questi fanciulli, lo Spirito Santo, il celeste uccello, il soffio di Dio, si è posato su di voi, si è impadronito di voi, vi ha presi e piegati come canne al vento.»
Poi, con voce più chiara, volgendosi verso i due banchi dov'erano le invitate del falegname: «Grazie soprattutto a voi, mie care sorelle, che siete accorse da tanto lontano. La vostra presenza tra noi, la vostra fede manifesta, la vostra pietà così viva, sono state per tutti noi un esempio salutare. Voi siete il modello della mia parrocchia; la vostra commozione ha riscaldato i cuori; senza di voi, forse, questa grande giornata non avrebbe avuto un carattere veramente divino. Basta talvolta una sola eletta per decidere il Signore a scendere sul gregge.»
La voce gli veniva meno. Aggiunse: «Vi auguro la grazia. E così sia.» Risalì all'altare per terminare l'ufficio.
Adesso tutti avevano fretta di andarsene. Anche i fanciulli si agitavano, stanchi della lunga tensione spirituale. D'altronde avevano appetito, e i genitori a poco a poco cominciarono ad andarsene, senza aspettare l'ultimo Vangelo, per terminare i preparativi del pranzo.
All'uscita fu un pigia pigia, un parapiglia chiassoso, un baccano indiavolato di voci urlanti, marcate dalla cadenza normanna.
La popolazione s'era divisa in due ali, e, quando uscirono i fanciulli, ogni famiglia si precipitò sul suo.
Constance si trovò circondata, afferrata, abbracciata dallo stuolo delle donne. Rose soprattutto non si stancava di baciarla. Alla fine la prese per mano, la signora Tellier le prese l'altra mano, Raphaèlle e Fernande le rialzarono la lunga gonna di mussolina perché non strascicasse nella polvere; Louise e Flore con la signora Rivet chiudevano il corteo; e la bambina, compunta, penetrata dal Dio che portava dentro di sé, si incamminò in mezzo alla scorta d'onore.
Il banchetto era stato preparato nel laboratorio su lunghe tavole sorrette da cavalletti.
La porta, aperta, dava sulla strada e lasciava entrare tutta l'allegria del villaggio. Si banchettava ovunque. Da ogni finestra si potevano scorgere tavolate di gente vestita a festa, e allegre grida venivano dalle case festanti. I contadini, in maniche di camicia, tracannavano bicchieri colmi di sidro schietto, e in mezzo a ogni brigata c'erano due fanciulli, qui due bambine, là due maschietti, che pranzavano in una delle due famiglie.
Ogni tanto, sotto la pesante calma di mezzogiorno, passava attraverso il paese un barroccino tirato da un vecchio ronzino trotterellante, e il conducente in giubbotto aveva uno sguardo d'invidia per tutta quella baldoria in mostra.
Nella casa del falegname l'allegria manteneva un certo ritegno, un resto della commozione del mattino. Soltanto Rivet era brillo, e beveva a più non posso. La signora Tellier guardava continuamente l'orologio perché, per non saltare il lavoro due giorni di fila, aveva deciso di ripartire col treno delle 3 e 55, che arrivava a Fécamp verso sera.
Il falegname cercava di sviare l'attenzione delle sue ospiti per potersele tenere fino al giorno dopo; ma la signora Tellier non si lasciava distrarre: quando c'erano di mezzo gli affari non scherzava mai. Subito dopo aver bevuto il caffè ordinò alle sue pensionarie che andassero in fretta a prepararsi; poi, rivolta al fratello: «E tu vai subito ad attaccare;» ed ella stessa andò a finire di prepararsi.
Quando ridiscese, la cognata la stava aspettando per parlarle della bambina; ed ebbero una lunga conversazione, con nessun risultato. La contadina giocava d'astuzia, fingendosi commossa, ma la signora Tellier, che teneva la piccola sulle ginocchia, non prese nessun impegno, e fece vaghe promesse: si sarebbe interessata della bambina, c'era tempo, e d'altronde si sarebbero rivisti.
Il barroccio non veniva ancora, e le donne non scendevano. Anzi si sentivano grandi risate, di sopra, tramestìo, grida, batter di mani. Allora, mentre la moglie del falegname andava nella scuderia per vedere se il carro fosse pronto, Madama si decise a salire di sopra.
Rivet, completamente ubriaco e mezzo svestito, tentava invano di violentare Rose la quale sveniva dalle gran risate. Le Due Pompe lo tenevano per le braccia e cercavano di calmarlo, urtate da quella scena, dopo la cerimonia della mattina; ma Raphaèlle e Fernande lo aizzavano, torcendosi e tenendosi la pancia dal ridere, e strillavano ad ognuno degli inutili tentativi dell'ubriaco. L'uomo era furente: rosso in viso e con i vestiti scomposti, faceva sforzi violenti per liberarsi dalle due donne che gli si erano aggrappate, e tirando con tutte le sue forze le sottane di Rose bisbigliava: «Non vuoi?» Madama, indignata, si slanciò sul suo fratello, lo afferrò per le spalle, e gli diede uno spintone così violento che lo mandò a sbattere contro il muro.
Un minuto dopo lo si udì pomparsi l'acqua sulla testa, in cortile; e quando riapparve col carro era già tornato normale.
Si rimisero in viaggio come il giorno prima, e il cavalluccio bianco partì con la sua andatura rapida e ballonzolante.
Sotto il sole ardente rinacque l'allegria che si era smorzata durante il pasto. Ora le ragazze si divertivano ai sobbalzi del barroccio, anzi scrollavano le sedie delle vicine, ridevano per un nonnulla, eccitate dai vani tentativi di Rivet.
Una gran luce inondava i campi, una luce che abbagliava la vista; le ruote sollevavano dietro il carro due scie di polvere che volteggiavano a lungo sulla strada.
Improvvisamente Fernande, che era amante della musica, pregò Rose di cantare, e costei attaccò allegramente il Grosso Parroco di Meudon. Ma Madama la fece subito smettere, ritenendo che la canzonetta fosse poco adatta alla giornata: «Cantaci invece qualcosa di Béranger,» soggiunse. Allora Rose, dopo aver pensato per qualche istante, scelse La nonna, e cominciò con la sua voce un po' fioca:
La mia cara nonnina, il dì della sua festa
Bevette un po' di vino che le salì alla testa.
Col capo confermando, diceva che in passato
Aveva a tutti i canti più d'un innamorato.
Rimpiango il velluto
Del bel viso tondo
Il braccio rotondo
Il tempo perduto.
E le ragazze, in coro, dirette dalla stessa signora Tellier, ripeterono:
Rimpiango il velluto
Del bel viso tondo
Il braccio rotondo
Il tempo perduto.
«Proprio coi fiocchi!» dichiarò Rivet infiammato dal ritornello, e Rose continuò:
«Ma, come, nonnettina, pudor non avevate?»
«No, certo; ché le grazie, dal cielo a me donate,»
Appresi ad adoprare da sola, bravamente,
La notte, a quindici anni, dormendo poco o niente.
Urlarono il ritornello tutte insieme, e Rivet batteva il piede sulla stanga, batteva il tempo con le redini sulla groppa del cavallo, che si mise a galoppare, come se si sentisse anche lui trasportato dalla foga del ritmo; un galoppo burrascoso che buttò le donne in fondo al carro, una sull'altra, in mucchio.
Si rialzarono ridendo come pazze. E la canzone continuò strillata a squarciagola attraverso la campagna, sotto il cielo ardente, in mezzo ai raccolti biondeggianti, all'andatura indiavolata del cavallino che ora s'infiammava ad ogni ripresa del ritornello e ogni volta staccava i suoi cento metri di galoppo, fra l'esultanza dei viaggiatori.
Ogni tanto qualche spaccapietre alzava il capo e attraverso la sua mascherina di fil di ferro guardava quel barroccio indemoniato e urlante che correva in mezzo alla polvere.
Quando scesero davanti alla stazione, il falegname si commosse: «Peccato che ve ne andiate, ci saremmo divertiti.»
Madama gli rispose stancamente: «Ogni cosa al suo tempo, non ci si può sempre divertire.»
Allora un'idea illuminò la mente di Rivet:
«Va bene,» disse, «verrò a trovarvi a Fécamp quest'altro mese.» E guardò Rose furbescamente, con gli occhi lucidi e lascivi.
«Va bene,» disse la signora Tellier, «vieni pure se vuoi, ma non per fare sciocchezze.»
Rivet non rispose, e sentendo che il treno fischiava, abbracciò in fretta tutte le donne. Quando fu la volta di Rose, s'impuntò a volerla baciare sulla bocca, ma essa, ridendo a labbra strette, si scansava ogni volta con un rapido movimento di lato. La stringeva tra le braccia, ma non poteva raggiungere lo scopo, perché la frusta che aveva in mano lo impacciava nei suoi tentativi, e la scuoteva disperatamente dietro la schiena della donna.
«Per Rouen, in carrozza!» Gridò il capotreno. Le donne salirono. Si sentì un esile fischio, ripetuto immediatamente dal sibilo potente della locomotiva che sputò con fracasso un primo getto di vapore, mentre le ruote presero a girare adagio con visibile sforzo.
Rivet, lasciata la stazione, era corso al passaggio a livello per rivedere Rose ancora una volta, e quando la carrozza gremita di quella mercanzia umana gli passò davanti, fece schioccare la frusta, saltando e cantando a gran voce:
Rimpiango il velluto
Del bel viso tondo
Il braccio rotondo
Il tempo perduto.
Poi rimase a guardare allontanarsi un fazzoletto bianco sventolante.