Capitolo II
Il fatto era che Madama aveva un fratello, padrone di una bottega di falegname al loro paese natale, Virville, nell'Eure.
Quando ella era ancora locandiera a Yvetot, aveva tenuto a battesimo la figliola di questo fratello, dandole il nome di Constance: Constance Rivet, ed ella stessa da ragazza era una Rivet. Il falegname che sapeva della buona posizione della sorella, non la perdeva di vista, anche se non si vedevano spesso, legati com'erano alle loro occupazioni, e abitando lontani l'uno dall'altra. Ma poiché la ragazzina stava per compiere i dodici anni e faceva quell'anno la prima comunione, egli approfittò dell'occasione per un incontro, e scrisse alla sorella che contava sulla sua presenza alla cerimonia. I loro vecchi genitori erano morti, ella non poteva opporre un rifiuto alla figlioccia, e allora accettò. Il fratello, che si chiamava Joseph, sperava che a furia di cortesie forse sarebbe giunto ad ottenere il testamento in favore della bambina, dato che Madama non aveva figli.
La professione della sorella non turbava in nessun modo la sua coscienza, e, d'altronde, nessuno al paese lo sapeva. Parlando di lei dicevano soltanto: “La signora Tellier è una borghese di Fécamp” e questo poteva far credere che ella vivesse di rendita. Da Fécamp a Virville ci sono almeno quaranta chilometri; e per i contadini quaranta chilometri sono una distanza più difficilmente superabile che l'Oceano per una persona civile. La gente di Virville non era mai andata oltre Rouen; e nulla poteva attirare la gente di Fécamp in un villaggio di cinquecento focolari, sperduto in mezzo alla pianura e per di più appartenente a un altro dipartimento. Insomma non sapevano nulla.
Ma avvicinandosi la data della comunione, Madama si trovò in imbarazzo. Non aveva una sostituta, e non avrebbe mai pensato di abbandonare la casa neanche per un giorno solo. Le rivalità fra le signorine di sopra e quelle di sotto sarebbero esplose senz'altro; non c'è dubbio che Frédéric si sarebbe ubriacato, e quello quando era ubriaco era capace di accoppare chiunque per un sì o per un no. Perciò decise di portare con sé tutto il personale, fuorché il cameriere al quale diede due giorni di permesso.
Si consultò con suo fratello il quale non ebbe nulla da obiettare, anzi si incaricò di alloggiare per una notte tutta la compagnia. Perciò il sabato mattina il diretto delle otto trasportò Madama e le sue compagne in una carrozza di seconda classe.
Fino a Beuzeville restarono sole e gracchiarono come gazze.
Però a quella stazione salì una coppia. L'uomo, un vecchio contadino, indossava un camiciotto turchino con il collo pieghettato e larghe maniche, chiuse ai polsi, adorne di un ricamino bianco; portava un vecchio cappello a cilindro d'antica forma, col pelo divenuto rossiccio, quasi irto, aveva in una mano un enorme ombrello verde, e nell'altra un capace paniere dal quale spuntavano le teste spaventate di tre anatre. La donna, irrigidita nel rustico vestito della festa, pareva una gallina col naso a punta come un becco. Si sedette di fronte al suo uomo e restò immobile, sbalordita di ritrovarsi in mezzo a una così bella compagnia.
Infatti nello scompartimento c'era un barbaglio di colori strepitosi. Madama, vestita di seta turchina da capo a piedi, si drappeggiava inoltre in uno scialle di falso casimir francese, d'un rosso accecante, sfolgorante. Fernande ansimava dentro un vestito scozzese col busto stretto a tutta forza dalle sue compagne di modo che il suo petto cascante s'innalzava in una doppia cupola sempre in movimento, che sembrava liquida sotto la stoffa.
Raphaèlle aveva un cappello piumato che simulava un nido pieno d'uccelli, e indossava un vestito lilla coi lustrini d'oro, qualcosa di orientale, che si addiceva al suo aspetto di ebrea. Rose la Cavalla, in una gonna rosa a larghe balze, pareva una bambina troppo grassa, o una nana obesa; e le Due Pompe si sarebbe detto che avessero cucito i loro ridicoli vestiti con delle vecchie tende da finestra, le antiquate tende a fogliami che risalgono alla Restaurazione.
Appena non furono più sole nello scompartimento le signore presero un'aria grave e si misero a parlare di cose elevate per fare buona impressione. Ma a Bolbec entrò un signore con le fedine bionde, le dita inanellate e una catena d'oro, il quale posò sulla reticella diversi pacchetti involtati con la tela cerata. Aveva un aspetto faceto e bonario. Salutò, sorrise e chiese con naturalezza: «Le signore cambiano di guarnigione?» La domanda mise in confusione il gruppo. Madama si riprese e volle vendicare l'onore del corpo: «Potreste anche essere più educato!» rispose seccamente. Egli si scusò: «Domando scusa, volevo dire monastero.» Madama, non trovando nulla da ridire, o forse ritenendo bastante la rettifica, strinse le labbra facendo un dignitoso cenno col capo.
Quindi il signore, il quale era seduto tra Rose la Cavalla e il vecchio contadino, strizzò l'occhio alle tre anatre che sporgevano con la testa dal paniere; poi, quando sentì che stava conquistando il pubblico, si mise a solleticare gli animali sotto il becco, mentre faceva buffi discorsetti per tenere allegri i presenti: «E così abbiamo lasciato il nostro stagnettino! Cuen! Cuen! Cuen! per far la conoscenza con lo spiedino, cuen! Cuen! Cuen!» Le disgraziate bestie torcevano il collo per sfuggire alle carezze, facevano sforzi spaventosi per evadere dalla loro prigione di vimini, e all'improvviso tutte e tre insieme strillarono sgomente: “Cuen! Cuen! Cuen! Cuen!”. Le donne scoppiarono a ridere. Si piegavano, si davano spinte per vedere; mostravano uno straordinario interesse per le anatre; e quel signore era sempre più grazioso, più spiritoso, più lezioso.
Poi Rose volle baciare sul becco le tre bestiole, piegandosi sopra le gambe del suo vicino. Allora tutte le ragazze vollero fare altrettanto, e il signore le prendeva sulle ginocchia, le faceva saltellare, le pizzicava; a un tratto cominciò a dare del tu a tutte.
I due contadini, ancora più impauriti delle loro bestie, rigiravano gli occhi come ossessi, senza osare un gesto, e sulle loro vecchie facce rugose non appariva un sorriso, né un sussulto.
Il signore, che era un commesso viaggiatore, per scherzo volle offrire alle signore delle bretelle e aprì uno dei pacchetti che aveva tirato giù dalla rete. Ma scherzava, perché il pacchetto conteneva giarrettiere.
Ce n'erano di seta azzurra, di seta rosa, rossa, violetta, malva, fiamma, con le fibbie di metallo formate da due cuoricini intrecciati e dorati. Le ragazze gridavano dalla gioia; ma per esaminare i campioni si fecero serie, come ogni donna che abbia tra le mani un oggetto per adornarsi. Si consultavano con un'occhiata o una parola sottovoce, rispondendosi allo stesso modo, e Madama maneggiava vogliosa un paio di giarrettiere arancione, più larghe, più imponenti delle altre: vere giarrettiere da padrona.
Il signore aspettava, accarezzando un'idea: «Andiamo, gattine, bisogna provarle,» disse. Ci fu un uragano di proteste fra le ragazze. Stringevano le gonne fra le gambe come se temessero di dover subire violenza. Il giovanotto, tranquillo, aspettava il momento propizio.
«Non vi interessano?» Esclamò. «Allora le ripongo.» E soggiunse astutamente: «Ne offrirò un paio a scelta, a chi le prova.» Le donne si irrigidirono piene di dignità e non ne volevano sapere. Tuttavia le Due Pompe avevano un'aria tanto infelice che egli rinnovò la proposta. Era evidente che Flore Altalena era più indecisa delle altre, tormentata dal desiderio. «Dài, figliola, un po' di coraggio, guarda queste lilla, vanno benissimo con il tuo abito.» Si decise, finalmente, e rialzando la gonna mostrò una gambona di vaccara, mal coperta da una calza grossolana. Il signore, chinandosi, allacciò la giarrettiera prima sotto il ginocchio, poi sopra, e solleticava pian piano la ragazza, perché gridasse e si scuotesse. Finita la prova le regalò le giarrettiere lilla, e chiese: «A chi tocca?»
«A me; a me!» Risposero tutte insieme. Cominciò con Rose la Cavalla, la quale scoprì una cosa informe, tonda tonda, senza caviglia, un vero “zampone” come diceva Raphaèlle. Fernande fu complimentata dal commesso viaggiatore, entusiasmato nel vedere le sue possenti colonne. Le tibie scarne della bella ebrea ottennero minor successo. Louise Tegame, per divertirsi, calò la gonna sul capo del commesso e Madama fu costretta ad intervenire per far smettere lo scherzo troppo spinto. Per ultima, anche Madama tese la gamba, una bella gamba normanna, grassoccia e muscolosa; e l'uomo, sorpreso e rapito, cavandosi il cappello salutò con perfetta galanteria francese quel signor polpaccio.
I due contadini, impietriti dallo stupore, guardavano di traverso con un occhio solo, e somigliavano così perfettamente a dei polli che l'uomo coi favoriti biondi si alzò e fece sul naso dei due un “chicchirichì” che scatenò un nuovo uragano di allegria.
I vecchi discesero a Motteville, con il paniere, le anatre e l'ombrello, e mentre s'allontanavano s'udì la donna dire al suo uomo: «Sono sgualdrine che vanno in quell'indemoniata Parigi.»
L'ameno commesso viaggiatore scese a Rouen, dopo essere stato tanto grossolano che Madama fu costretta a trattarlo male. «Ci servirà di lezione, parlare con il primo venuto,» aggiunse come morale.
Cambiarono treno a Oissel, e alla stazione seguente trovarono il signor Joseph Rivet che le aspettava con un grosso barroccio pieno di sedie, tirato da un cavallo bianco.
Il falegname baciò cortesemente tutte le signore e le aiutò a salire. Tre si sedettero sulle tre sedie in fondo; Raphaèlle, Madama e il fratello su quelle tre davanti; e Rose, rimasta senza, si sistemò alla meglio sulle ginocchia della grossa Fernande; quindi il carro si avviò. Ma il trotto sussultante del ronzino scuoteva tanto fortemente il barroccio che le sedie presero a ballonzolare, sbattendo le viaggiatrici a destra e a sinistra tra mosse burattinesche, smorfie impaurite, grida di terrore interrotte da uno scossone più forte degli altri. Le donne si aggrappavano alle fiancate del veicolo; i cappelli scivolavano sulle schiene, sui nasi, o sulle spalle; e il cavallo continuava a trottare allungando la testa, tenendo la coda ritta, una codina da topo, senza peli, con la quale di tanto in tanto si batteva le natiche. Joseph Rivet, con un piede puntato su una stanga, l'altra gamba ripiegata sotto il corpo, i gomiti in alto, teneva le redini. Gli usciva di gola come un chiocciolio che faceva rizzare le orecchie al cavallo, e ne accelerava l'andatura.
Ai due lati della strada si stendeva la campagna verde. I colza in fiore dispiegavano di tanto in tanto una grande tovaglia gialla ondeggiante che emanava un odore sano e possente, dolce e penetrante, che il vento portava lontano. Fra la segale già alta i fiordalisi mostravano le loro testine inazzurrate: le donne avrebbero voluto coglierli, ma Rivet rifiutò di fermarsi. Talvolta poi, un campo intero pareva annaffiato di sangue, da tanti papaveri che c'erano. In mezzo alla pianura colorata dai fiori della terra, il barroccio, quasi recasse un mazzo di fiori di tinte più sgargianti, passava al trotto del cavallo bianco, scompariva dietro i grandi alberi di una fattoria, e riappariva al principio delle fronde, portando a spasso fra le messi gialle e verdi, punteggiate di rosso o di turchino, quella strepitosa barrocciata di donne, che correva veloce sotto il sole.
Era l'una quando giunsero davanti alla casa del falegname.
Le donne erano stremate dalla fatica e pallide per la fame, non avendo mangiato nulla dacché erano in viaggio. La signora Rivet accorse e le aiutò a smontare una dopo l'altra, abbracciandole appena toccavano terra; e non si stancava di sbaciucchiare la cognata nella speranza di ingraziarsela. Mangiarono nella bottega che era stata sgombrata dei banconi per il pranzo dell'indomani.
Una buona frittata e un cotechino in graticola annaffiato da un buon sidro frizzante rimisero tutti in allegria. Rivet aveva preso un bicchiere per trincare, e la moglie serviva, cucinava, portava i piatti, li toglieva, sussurrando all'orecchio di ciascuna: «Vi è bastato?» Le tavole allineate contro i muri, i trucioli ammonticchiati negli angoli, diffondevano un profumo di legno piallato, un odore di falegnameria, quell'effluvio resinoso che penetra in fondo ai polmoni.
Chiesero della bambina; ma era in chiesa e sarebbe tornata soltanto a sera.
Allora la compagnia uscì per fare un giretto in paese.
Era un villaggetto traversato da una larga strada. Una diecina di case allineate lungo quell'unica via ospitavano i commercianti del luogo, il macellaio, il droghiere, il falegname, l'oste, il ciabattino e il fornaio. La chiesa, a un'estremità di quella specie di strada, era circondata da un piccolo cimitero; e quattro tigli smisurati piantati dinanzi al portale la ricoprivano tutta con la loro ombra. Era costruita con blocchi di silice squadrati senza stile, e un campanile di ardesia la sovrastava. Dopo ricominciava la campagna, chiazzata, di tanto in tanto, da gruppetti d'alberi che nascondevano i cascinali.