05 | Maledizioni e tregue.

1044 Words
Oggi è il mio secondo giorno di lavoro, un lavoro assolutamente desiderato. Alla fine ieri sera, dopo il mio "incidente" con i tacchi, Carly e io siamo tornate a casa per via del temporale che è arrivato. Nulla di nuovo, solo la mia sfiga che mi ricorda chi gestisce la mia vita. È stato difficile convincerla a rimandare la nostra serata in cui ci ubriachiamo fino a scambiare i pali della luce in persone famose, con cui poi scattiamo un selfie da pubblicare su tutti i nostri social con la didascalia "Oh mio Dio ho finalmente incontrato una star, che gioia!" ed essere presa per il culo a vita. In pratica una serata fantastica. Abbiamo passato il resto della serata a guardare la serie Pretty Little Liars e ingrassando di almeno dieci chili a causa di tutte le schifezze ingurgitate insieme. Prendo uno dei miei album da disegno terminati e lo metto nella borsa. Non ho un soggetto o uno stile preferito, ci sono disegni di animali, paesaggi, ritratti di persone, soggetti astratti, piante. Acquarelli, carboncino e matite si alternano. Ogni cosa che mi ispira finisce su uno dei miei album. Da un lato sono felice di mostrare al mio "gentilissimo" capo alcuni dei miei disegni, perché sono fiera di ciò che ho racchiuso in ogni mio singolo album. Ma dall'altro ho paura di mettermi in gioco, di espormi così tanto e di essere giudicata. L'arte non è per tutti. Ho iniziato a disegnare principalmente per noia. Ero nel periodo da ragazza fangirl fissata con Harry Potter, convinta che presto avrei visto un gufo entrare dalla finestra della mia camera per consegnarmi la lettera per Hogwarts. Non sapevo come far passare il tempo, così avevo deciso di provare a disegnare Edvige, e così avevo pure scoperto di essere incredibilmente brava nel disegno. Metto l'album da disegno dentro uno zainetto e poi vado al lavoro. ⸻ Appena apro la porta si sente il rumore di un oggetto che cade a terra, nello specifico il telefono della ragazza che non ho ancora conosciuto. Paul mi guarda sconcertato. «Ma allora è una maledizione, la tua.» Ignoro ciò che ha detto e guardo negli occhi la ragazza. Supplicante le parlo. «Dimmi che non si è rotto e che non devo ripagartelo, anche se tecnicamente non sarebbe colpa mia. Come per il quadro» ci tengo particolarmente a sottolineare l'ultima frase, che la dico mentre guardo il mio capo. Lui non fa attendere molto prima di replicare. «Se non fosse stata colpa tua non saresti qui.» Alzo un sopracciglio. «Infatti non è colpa mia. Quel quadro sarebbe potuto cadere in qualsiasi momento e con una qualsiasi persona.» Anche se è capitato proprio a me. I Lester non sono conosciuti per essere persone fortunate. Paul sospira. «Hai portato dei disegni?» Annuisco impercettibilmente. Tiro fuori il mio album da disegno e glielo porgo con mani quasi tremanti. Ed ecco che il mio sarcasmo va in pausa caffè ed entra in gioco l'ansia, quella piccola bastarda. Mentre guarda attentamente ogni mio disegno e ogni suo dettaglio posso dire di sentire quasi quel ticchettio fastidioso delle lancette di un orologio. Ogni volta che gira pagina trattengo il fiato, quasi ad avere paura che possa esclamare "questo disegno fa schifo" e darmi come compito quello di pulire. E, per carità, non ho nulla contro chi fa questo lavoro, ma se mia madre non si fida a lasciarmi in mano un'aspirapolvere perché l'ultima volta sono riuscita a bruciare un impianto elettrico e non mi fa nemmeno lavare i pavimenti perché l'ultima volta, per pulire le scale, ho direttamente svuotato il secchio pieno d'acqua sugli scalini, e papà ci è scivolato sopra perché dopo un'ora erano ancora bagnate. Insomma, se non si fida mia madre a farmi pulire casa, come può fidarsi Paul di farmi pulire il negozio? Semplice, non può. Appena finisce di sfogliare l'album lo chiude e me lo restituisce, ed io lo rimetto nello zaino. Paul non ha ancora detto una parola, e non so se dovrei preoccuparmi o avere paura. Poi fa una cosa inaspettata. Sorride. Cioè, lui sa sorridere? E poi fa una cosa ancora più inaspettata. Mi fa un complimento. «Brianna, fattelo dire, almeno in questo hai talento.» Sbatto le palpebre, sorpresa e sconcertata. «Lei sa sorridere» dico, incredula. «E sa anche cosa sono i complimenti. E me ne ha appena fatto uno. Incredibile.» Lui ritorna improvvisamente serio. «Non ti ci abituare, non succederà più. E ora tutti a lavoro» e sparisce nel suo ufficio. La ragazza di prima mi si avvicina e mi porge una mano. «Ciao, sono Skyler, ma chiamami Sky.» Stringo la sua mano. «Brianna.» Nel negozio entra il primo cliente. Dopo un quarto d'ora in cui la signora ha fatto un giro di parole assurdo per dirmi che dovevo semplicemente disegnare due bambini stilizzati, un maschio e una femmina, con le iniziali dei loro nomi sotto di loro, ho già deciso che all'uscita mi butterò sotto un'auto. Non sono adatta a lavorare a contatto con il pubblico. ⸻ Parecchi clienti dopo posso dire di non sentire più il polso della mia mano destra. Paul e Skyler se ne sono andati alla pausa pranzo, e siamo rimasti solo James e io. Le parole che ci siamo rivolti sono state battute sulla mia presunta pazzia e sulla mia maledizione. Per vendicarmi ho pure aperto la porta d'ingresso mentre mi dava le spalle, così è inciampato nella sedia ed è finito a terra. Quando sono scoppiata a ridere si è girato a guardarmi, notandomi vicino alla porta. Spero che questo posto abbia delle telecamere e che io possa recuperare un fermo immagine della sua faccia. Mentre sistemiamo le ultime cose prima che James possa chiudere il negozio, lui si avvicina sospirando. «Senti, Brianna, mi dispiace per come mi sono comportato ieri. Era stata una giornata "no" e mi sono sfogato su di te. Scusa, non dovevo e non volevo. Ricominciamo?» propone. Lo guardo confusa. «Stai cercando di ingannarmi per non essere più vittima della mia maledizione?» gli chiedo. «Perché chiedermi una tregua senza del cibo non è il modo giusto.» James mi sorride. «Hai impegni adesso?» mi chiede. Lo guardo confusa. «No, perché?» «Andiamo, ti offro un gelato.» Cerco di reprimere un sorriso. «Vengo solo perché ho fame, sia chiaro.»
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