CAPITOLO DUE

1891 Words
CAPITOLO DUE Nonostante avesse puntato la sveglia alle otto, Mackenzie fu destata dalla vibrazione del suo cellulare alle 6:45. Si svegliò lamentandosi. Se questo è Harry che si scusa per qualcosa che non ha nemmeno fatto, lo uccido, pensò. Ancora mezza addormentata, afferrò il cellulare e lesse il display con gli occhi annebbiati. Fu sollevata nel vedere che non si trattava di Harry, bensì di Colby. Perplessa, rispose. Colby non era tradizionalmente una tipa mattiniera ed era da più di una settimana che non si sentivano. Rompipalle fino al midollo, Colby probabilmente stava dando di matto per il diploma e per l’incertezza del futuro. Colby era l’unica amicizia femminile che Mackenzie aveva lì a Quantico, perciò aveva fatto tutto quello che poteva per accertarsi che l’amicizia reggesse – anche se questo significava rispondere a una telefonata all’alba il giorno del diploma, dopo che Mackenzie era riuscita a farsi soltanto quattro ore e mezza di sonno la notte prima. “Ehi, Colby” disse. “Che succede?” “Stavi dormendo?” chiese Colby. “Già.” “Oddio, scusa. Credevo che fossi in piedi all’alba stamattina, con tutto quello che sta succedendo.” “È solo il diploma” disse Mackenzie. “Ah! Magari fosse solo quello” disse Colby con voce leggermente isterica. “È tutto a posto?” chiese Mackenzie, mettendosi lentamente a sedere sul letto. “Lo sarà” disse Colby. “Senti... credi che ci potremmo incontrare allo Starbucks in Fifth Street?” “Quando?” “Prima che puoi. Io sto uscendo in questo momento.” Mackenzie non voleva andarci – in realtà non voleva nemmeno scendere dal letto. Però non aveva mai sentito Colby in quello stato. E in una giornata importante come quella, pensò che avrebbe dovuto sforzarsi per la sua amica. “Dammi una ventina di minuti” disse Mackenzie. Con un sospiro, scese dal letto e si preparò facendo solo le cose essenziali. Si lavò i denti, infilò una felpa con cappuccio e pantaloni da tuta, legò i capelli in una coda e uscì di casa. Mentre percorreva a piedi i sei isolati che la separavano da Fifth Street, iniziò a percepire il peso di quella giornata. Quel giorno si sarebbe diplomata dall’accademia dell’FBI, appena prima di mezzogiorno, piazzandosi nel cinque percento dei migliori della sua classe. Al contrario della maggior parte dei compagni che aveva conosciuto nelle ultime venti settimane, per lei non ci sarebbe stato nessun famigliare ad attenderla per celebrare insieme quel traguardo. Sarebbe stata sola, come lo era stata per quasi tutta la sua vita, da quando aveva sedici anni. Cercava disperatamente di convincersi che non le importasse, invece le importava eccome. Non le provocava tristezza, ma una strana sorta di angoscia, così antica che aveva gli angoli smussati. Mentre raggiungeva lo Starbucks, notò che anche il traffico era più intenso del solito – probabilmente a causa di famigliari e amici dei diplomati. Cercò di lasciarsi scivolare tutto addosso. Aveva passato gli ultimi dieci anni della sua vita cercando di fregarsene di quello che sua madre e sua sorella pensavano di lei, quindi perché iniziare ora? Quando entrò da Starbucks, vide che Colby era già arrivata. Stava sorseggiando da una tazza, osservando pensierosa fuori dalla vetrina. Davanti a lei c’era un’altra tazza; Mackenzie immaginò che fosse per lei. Prese posto di fronte a lei e non nascose quanto fosse stanca, stringendo gli occhi in un’espressione scontrosa mentre si accomodava. “Questa è mia?” chiese Mackenzie, afferrando la seconda tazza. “Sì” disse Colby. Aveva l’aria stanca, triste e scontrosa. “Allora, che c’è che non va?” chiese Mackenzie, troncando ogni possibile tentativo di Colby di girare intorno alla questione. “Io non mi diplomo” disse Colby. “Che?” chiese Mackenzie, sinceramente sorpresa. “Credevo che avessi superato tutti i test a pieni voti.” “È così. Solo che... non so. Stare in accademia mi ha consumato.” “Colby... non puoi dire sul serio.” Il tono di voce le era uscito un po’ forte, ma non ci badò. Quella non era la solita Colby. Quella decisione era arrivata dopo una profonda introspezione. Non era una farsa, non era la messinscena melodrammatica di una donna sull’orlo di una crisi di nervi. Come può lasciar perdere? “Sono seria, invece” disse Colby. “Sono almeno tre settimane che non ci metto più passione. Certi giorni me ne andavo a casa a piangere da sola perché mi sentivo in trappola. Non ne posso più.” Mackenzie era attonita; non sapeva proprio cosa dire. “Be’, prendere una decisione del genere il giorno del diploma è da pazzi.” Colby si strinse nelle spalle e guardò fuori dalla vetrina. Sembrava abbattuta. Sconfitta. “Colby... non puoi ritirarti. Non farlo.” Quello che era sulla punta della lingua ma che non disse era: Se ti ritiri adesso, le ultime venti settimane non avranno alcun significato. Diventerai una perdente. “In realtà non mi ritirerò” disse Colby. “Oggi verrò alla cerimonia di diploma. Devo farlo. I miei genitori arrivano dalla Florida, quindi sono obbligata, in un certo senso. Ma dopo oggi, basta.” Quando Mackenzie aveva iniziato l’accademia, gli istruttori li avevano avvisati che la percentuale di abbandono tra i potenziali agenti durante la sessione dell’accademia di venti settimane era circa del venti percento – e in passato era arrivata anche al trenta. Ma pensare che Colby facesse parte di quella percentuale non aveva senso. Colby era troppo forte – troppo determinata. Come accidenti poteva prendere una decisione del genere così alla leggera?” “E cosa farai?” chiese Mackenzie. “Se ti lasci tutto questo alle spalle, che lavoro pensi di fare?” “Non lo so” disse. “Forse lavorerò nella sezione per la prevenzione della tratta di esseri umani. Ricerca e sviluppo, o altro. Insomma, non devo diventare un’agente, no? Ho tante altre opzioni. Non voglio essere un’agente.” “Quindi sei seria” disse Mackenzie asciutta. “Sì. Volevo solo fartelo sapere adesso perché dopo il diploma i miei mi saranno sempre appiccicati.” Oh, poverina, pensò Mackenzie sarcastica. Dev’essere terribile. “Io non capisco” disse Mackenzie. “Non mi aspetto che tu capisca. Tu sei bravissima. A te piace questo mestiere. Secondo me sei nata per questo, sai? Io invece... non lo so. Sono un disastro.” “Dio, Colby... mi dispiace.” “Non devi” disse. “Una volta che avrò rispedito mamma e papà in Florida, tutta questa pressione svanirà. Dirò loro che non ero tagliata per gli incarichi che mi volevano affibbiare. Poi potrò fare quello che voglio, immagino.” “Be’... buona fortuna, allora” disse Mackenzie. “Oh, ti prego” disse Colby. “Ti stai per diplomare tra i migliori oggi. Non azzardarti a sentirti giù di morale a causa mia. Sei stata una buona amica, Mac. Volevo che lo imparassi da me, piuttosto che notare la mia assenza tra qualche settimana.” Mackenzie non fece nulla per nascondere la propria delusione. Detestava ricorrere ad espedienti infantili, ma rimase comunque in silenzio, sorseggiando il suo caffè. “E tu?” chiese Colby. “Ci sarà qualcuno della tua famiglia o degli amici?” “Nessuno” disse Mackenzie. “Oh” disse Colby, un po’ in imbarazzo. “Scusa, non sapevo...” “Non c’è bisogno che ti scusi” disse Mackenzie. Adesso era il suo turno di guardare fuori dalla vetrina con sguardo perso. Poi aggiunse: “Credo di preferire così.” *** La cerimonia non fece né caldo né freddo a Mackenzie. Non era altro che una versione più formale del diploma delle superiori, ma non elegante e formale quanto lo era stata quella della sua laurea. Mentre attendeva di essere chiamata, ebbe parecchio tempo per ripensare a quelle cerimonie e a come la sua famiglia era sembrata svanire sempre più dopo ognuna. Si ricordò di come fosse stata sul punto di piangere mentre saliva sul palco per il diploma di scuola superiore, rattristata per il fatto che suo padre non l’avrebbe mai vista crescere. Lo aveva saputo durante tutta l’adolescenza, ma quel fatto la colpì come una pietra in mezzo agli occhi mentre saliva a ritirare il diploma. Durante l’università invece non ne era più così turbata. Quando era salita sul palco per ritirare la laurea, non c’era nessun membro della sua famiglia tra il pubblico. Adesso si rese conto che era stato quello il momento della svolta, quello in cui aveva deciso una volta per tutte che preferiva affrontare i vari aspetti della vita da sola. Se la sua famiglia non mostrava alcun interesse per lei, allora anche a lei non sarebbe importato di loro. La cerimonia giunse al termine senza tanto clamore e, quando fu finita, vide Colby che si scattava fotografie in compagnia della madre e del padre, dall’altro lato dell’ampio atrio dove i diplomati e gli ospiti si erano riversati. Da quello che poteva vedere Mackenzie, Colby stava facendo un ottimo lavoro a celare il proprio malcontento ai genitori, i quali erano raggianti d’orgoglio. Sentendosi impacciata e senza niente da fare, Mackenzie iniziò a chiedersi quanto ci avrebbe messo a uscire dalla riunione, andare a casa, sfilarsi l’abito da cerimonia e aprire la prima di una serie di birre per quel pomeriggio. Appena si avviò verso le porte, sentì una voce familiare alle spalle, che la chiamava. “Ehi, Mackenzie” disse la voce maschile. Seppe all’istante di chi si trattava – non soltanto dalla voce, ma dal fatto che in quell’ambiente erano poche le persone che la chiamavano Mackenzie, invece che solamente White. Era Ellington. Indossava un completo e pareva a disagio almeno quanto Mackenzie. Ciononostante, il sorriso che le rivolgeva era fin troppo sicuro. Eppure in quel momento non le dispiacque. “Salve, Agente Ellington.” “Credo che in una situazione del genere tu possa chiamarmi Jared.” “Preferisco Ellington” disse rivolgendogli a sua volta un sorriso. “Come ti senti?” le chiese. Lei si strinse nelle spalle, accorgendosi di quanto desiderasse andarsene. Poteva raccontare a se stessa tutte le bugie che voleva, ma il fatto che lì con lei non ci fossero né famigliari né amici iniziava a pesarle. “Tutto qui? Una scrollata di spalle?” fece Ellington. “Be’, come mi dovrei sentire?” “Realizzata. Orgogliosa. Emozionata. Tanto per fare qualche esempio.” “Mi sento tutte quelle cose” disse lei. “È solo che... Non lo so. La cerimonia è troppo per me.” “Ti capisco” disse Ellington. “Dio, quanto odio indossare un completo.” Mackenzie stava per replicare che l’abito gli stava proprio bene, quando vide McGrath arrivare alle spalle di Ellington. Anche lui le rivolse un sorriso, ma al contrario di Ellington, il suo pareva quasi forzato. Le tese la mano e lei la strinse, stupendosi di quanto fosse fiacca la sua stretta. “Mi fa piacere che ce l’abbia fatta” disse McGrath. “So che ha una carriera brillante e promettente davanti.” “Non per fare pressioni, eh?” commentò Ellington. “Nella fascia dei migliori” disse McGrath, senza lasciare a Mackenzie l’occasione di spiccicare parola. “Davvero un ottimo lavoro, White.” “Grazie, signore” disse lei, sorpresa di quell’insolita manifestazione di supporto. Lui sorrise, le strinse ancora una volta la mano, quindi si dileguò rapidamente tra la folla. Una volta che McGrath se ne fu andato, Ellington le rivolse uno sguardo perplesso e un gran sorriso. “Era di buon umore. Credimi, non accade molto spesso.” “Sai com’è, oggi immagino che sia un gran giorno per lui” disse Mackenzie. “Adesso ha un bel gruppo di nuovi talenti dal quale attingere.” “È vero” convenne Ellington. “Comunque, a parte gli scherzi, quell’uomo sa come impiegare al meglio i nuovi agenti. Tienilo a mente quando andrai a parlare con lui lunedì.” Tra loro scese un silenzio impacciato; era un silenzio al quale si erano abituati e che era alla base della loro amicizia – o comunque si potesse definire il rapporto che li legava. “Allora” disse Ellington. “Volevo solo congratularmi con te. E dirti che puoi chiamarmi in ogni momento se le cose si fanno troppo reali. So che sembra una cosa stupida da dire, ma arriverà un momento in cui persino Mackenzie White avrà bisogno di qualcuno con cui sfogarsi. Le cose ti possono travolgere in un attimo.” “Grazie” disse lei. Poi, all’improvviso, voleva chiedergli di restare lì con lei. Non in senso romantico, ma solo per avere un volto familiare al suo fianco. Lo conosceva relativamente bene e, anche se i sentimenti che provava per lui erano contrastanti, voleva che le stesse accanto. Detestava ammetterlo, ma iniziava a sentire di dover fare qualcosa per festeggiare quel giorno e quel momento della sua vita. Anche se si fosse trattato di passare qualche ora di imbarazzo con Ellington, sarebbe sempre stato meglio (e forse più produttivo) che starsene a bere da sola autocommiserandosi. Invece non disse niente. E anche se avesse trovato il coraggio, non sarebbe servito; Ellington la salutò rapidamente con un cenno del capo, poi, come McGrath, tornò a disperdersi nella folla. Mackenzie rimase lì ferma un momento, facendo del proprio meglio per scacciare la sensazione di essere completamente sola.
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