Capitolo 1

2302 Words
Capitolo 1 EMMA «Potete fare di lei quel che volete. Io me ne lavo le mani.» Quelle furono le parole che compresi per prime quando mi svegliai, la mente insolitamente annebbiata. Tutto ciò che era venuto prima era confuso, come se avessi avuto del cotone nelle orecchie. Avevo la sensazione che i miei occhi avessero dei pesi di piombo che vi premevano sopra, troppo pesanti per aprirli, e un sapore amaro mi ricopriva la lingua. La testa mi pulsava a ritmo col mio cuore. Non volevo riaffiorare dal calore sicuro del mio sonno. «Di certo la si può dare in sposa facilmente. Un matrimonio affrettato. Il suo viso e il suo corpo sono più che attraenti per qualunque uomo.» Una donna rispose alle parole insistenti dell’uomo. «No.» Il suo tono fu enfatico e tagliente. «Non sarà sufficiente. I miei soldi, per favore.» La mente mi si stava schiarendo abbastanza da riconoscere quella voce. Era il mio fratellastro, Thomas. Con chi stava parlando, e perché? L’argomento era strano. Tutto era strano. Perché stavano parlando in camera mia mentre io dormivo? Era arrivato il momento di scoprire la risposta. Muovendomi, mi sollevai dal letto per mettermi a sedere, aprendo gli occhi per poi spalancarli sorpresa. Quella non era camera mia! Le pareti non erano blu carta da zucchero, ma di un rosso sgargiante. La stanza era pacchiana e scarsamente illuminata, alle finestre erano appese delle tende di velluto dello stesso rosso intenso. Tutto era permeato di decadenza e stravaganza. Atti osceni. Mi sfregai gli occhi assonnati, assicurandomi di non stare sognando, prendendomi un momento per schiarirmi la testa. Thomas era in piedi, a troneggiare nella sua posa eretta accanto alla porta, la mano aperta tesa in avanti, che parlava con una donna molto più bassa di lui. Lei indossava un abito di raso verde smeraldo che praticamente faceva strabordare il suo ampio decollete ed evidenziava la vita sottile. I suoi capelli neri come la pece erano raccolti in alto, in maniera creativa, all’ultimo grido con dei riccioli artistici che le scendevano sulla nuca. Era bellissima, aveva la pelle bianca come l’alabastro, le labbra tinte di rosso, gli occhi scuri grazie al kajal. Era tanto decadente quanto l’ambiente circostante. Si mosse con grazia fino ad un’ampia scrivania, situata di fronte ad un caminetto spento, e aprì con grazia il cassetto superiore. Il suo sguardo si spostò su di me e notò che fossi sveglia, ma non vi accennò. Prelevò una mazzetta di banconote e la porse a Thomas. Era un uomo grande, robusto e imponente e sarebbe riuscito facilmente a far agitare il più forte degli uomini. Ma non quella donna. Lei non indietreggiò. Non gli rivolse un sorriso falso. Si limitò a sollevare il mento con aria altezzosa di fronte a quel p*******o. «Thomas.» La voce mi uscì gracchiante e mi schiarii la gola. «Thomas,» ripetei. «Che sta succedendo?» Il suo sguardo scuro si assottigliò mentre lo fissava su di me. In quelle profondità buie si scorgeva solo odio. Di solito vi era stato solamente disinteresse, quella rabbia era nuova. Suo padre aveva sposato mia madre, quando io avevo cinque anni e Thomas quindici, entrambi i nostri genitori rimasti vedovi anni prima. Quell’unione era stata più per soldi che per affetto e quando erano morti – lui per via di una caduta da cavallo e lei un anno più tardi di malattia – io ero stata affidata dalla tutela di Thomas. Per quanto lui non si fosse mai mostrato affettuoso o troppo interessato a me, io non avevo preteso nulla. «Sei sveglia,» borbottò, la bocca contorta in una smorfia. «La dose di laudano non è stata consistente quanto mi fossi aspettato.» Spalancai la bocca. Laudano? Non c’era da meravigliarsi che stessi facendo fatica a comprendere. «Cosa – non capisco.» Mi passai una mano tra i capelli, il mio chignon stretto aveva perso diverse forcine e avevo delle ciocche ribelli che mi sfioravano il collo. Leccandomi le labbra secche, feci passare lo sguardo tra la donna estranea e il mio Thomas. Il mio fratellastro era un uomo attraente, in una maniera severa e conservativa. Era preciso, conciso ed esigente. Rigido sarebbe stato un termine adatto, così come severo. Il suo abito era nero, i suoi capelli scuri lisciati e luccicanti di pomata, i baffi folti, seppur rigorosamente regolati. Qualcuno diceva che ci assomigliavamo, sebbene non fossimo formalmente imparentati, i nostri occhi erano dello stesso azzurro chiaro, i capelli scuri come la notte, tuttavia i nostri volti erano molto diversi. Le emozioni di Thomas rispecchiavano il suo modo di vestire: austero e teso, un tratto che si ritrovava anche in suo padre. Io, tuttavia, ero considerata più mite, la pacificatrice della famiglia. Con i nostri genitori morti, io ero vissuta con Thomas e sua moglie, Mary, e i loro tre bambini. Come parte di una famiglia frenetica, ero sempre in grado di mantenere una qualche parvenza di spensieratezza in contrasto con la natura meno generosa di mio fratello. Thomas sospirò, come se fosse lì a sprecare il suo tempo con una bambina ostinata. «Lei è la signora Pratt. Sto cedendo a lei la tua custodia.» La signora Pratt non assomigliava a nessuna donna sposata che avessi mai conosciuto. Nessuna di quelle che conoscevo indossava un abito di quel colore, di un tessuto tanto lucente o con un taglio tanto ardito. La sua espressione riamase neutra, come se non avesse voluto essere coinvolta in quella conversazione. «Non mi serve un custode, Thomas.» Mi spostai per gettare le gambe oltre il bordo della poltroncina su cui avevo dormito. Non dormito, su cui ero stata drogata. Quel pezzo di arredamento era strano in quello che immaginai fosse l’ufficio della signora Pratt. Non era una conversazione da fare sdraiata ed io mi sentivo del tutto in svantaggio. Mi raddrizzai l’abito e cercai di rassettarmi, ma non c’era molto che potessi fare senza uno specchio ed una spazzola. «Se pensi che la casa sia troppo affollata, posso sicuramente trovarmene una per me. Non sono priva di fondi.» Nostro padre era stato il proprietario di una minera d’oro nella periferia di Virginia City e i soldi, per un po’, erano entrati a fiotti. Con dei buoni investimenti, la nostra famiglia non aveva bisogno di nulla. Ogni sfarzo veniva portato via treno, perfino in un paesino tanto remoto e piccolo nel Montana. Quella fortuna aveva perfino aiutato a finanziare la posizione di Thomas nel governo locale. Il suo interesse nella politica, e un futuro a Washington, richiedevano che tali fondi venissero ben spesi. «No. I tuoi soldi sono spariti.» Abbassò lo sguardo sulle unghie di una mano. A quelle parole mi alzai, sconvolta. La stanza girò per un attimo ed io afferrai la poltroncina per tenermi in piedi. I soldi erano spariti? Quel conto era abbastanza cospicuo da assicurarmi tutto ciò di cui avrei mai potuto avere bisogno. «Spariti? Come?» Lui fece spallucce con noncuranza, posando per un brevissimo istante lo sguardo su di me. «Li ho presi io.» «Non puoi prenderti i miei soldi.» Spalancai gli occhi, lo stomaco che si contorceva, tanto per l’amaro effetto della droga oppiacea quanto per le parole di mio fratello e il suo tono piatto. «Posso e l’ho fatto. In quanto tuo custode, è mio diritto gestire i tuoi fondi. La banca non può fermarmi.» «Perché?» domandai incredula. Sapeva che non gli stavo chiedendo della banca, ma del suo essersi preso la mia eredità. La signora Pratt se ne stava in piedi ad ascoltare, le mani strette davanti alla vita. Sembrava che non avessi nessuno a sostenermi. «Hai assistito a una cosa che non avresti dovuto vedere. Ho bisogno che tu sparisca.» «Assis-» Chiusi la bocca, quando mi resi conto della sua insinuazione. Avevo visto una cosa che non avrei dovuto. L’altra mattina, io e Mary avevamo portato i bambini a scuola prima di unirci alle altre donne per discutere dei piani per il picnic estivo del paese. Uno dei bambini si era dimenticato la sacca del pranzo ed io mi ero offerta volontaria di tornare a casa a prenderla, mentre Mary proseguiva la riunione. Visto quanto fossero noiosi quegli incontri, ero stata grata di avere una tregua da quelle donne sempre in cerca di combinare incontri. All’età di ventidue anni, il fatto che non fossi sposata era diventato il loro hobby. Il loro obiettivo era vedermi maritata prima del mio prossimo compleanno. Io, d’altro canto, non avevo poi tutta questa fretta, specialmente visti gli uomini altezzosi e per nulla attraenti che venivano presi in considerazione. Invece di trovare Cook in cucina, vi trovai Clara, la governante del piano di sopra, sdraiata sul tavolo. Aveva l’uniforme grigia arrotolata in vita, le mutande bianche di cotone che le pendevano da una caviglia mentre Allen, il segretario personale di Thomas, se ne stava in piedi tra le sue cosce aperte. Aveva i pantaloni slacciati a mostrare l’erezione, che spingeva con vigore dentro Clara. Io ero rimasta in silenzio e nascosta sulla porta, la coppia inconsapevole della mia presenza, e avevo guardato le loro azioni carnali. Sapevo che cosa succedeva tra un uomo e una donna in termini generali, ma non l’avevo mai visto in prima persona, e non avevo mai pensato a nulla del genere. Non su un tavolo da cucina! Da quanto mi aveva detto mia madre prima di morire, si faceva di notte, al buio, con solamente il minimo indispensabile di pelle esposta. A giudicare dall’intensità e dal vigore dei movimenti di Allen, pensavo che Clara si sarebbe lamentata o avrebbe provato dolore, ma l’espressione sul suo volto, il modo in cui gettava indietro la testa e si agitava sulla superficie di legno mi facevano pensare il contrario. Lui le stava dando piacere. Le piaceva! Mia madre aveva detto che era una cosa da sopportare, ma Clara dimostrava che aveva detto il falso. L’espressione di estasi sul suo volto non poteva essere finta. Avevo percepito un formicolio tra le gambe all’idea di un uomo che mi riempiva a quel modo, facendomi perdere del tutto in ciò che stavamo facendo. Quando Clara si era passata una mano sui seni coperti, mi si erano induriti i capezzoli, desiderosi di essere toccati. Non solo si stava godendo le attenzioni di Allen. A giudicare dal modo in cui inarcava la schiena e gridava, lo adorava. Volevo provare quello che sentiva lei. Volevo urlare di piacere. Ero eccitata all’idea di venire trattata a quel modo da un uomo. Mi ero bagnata tra le gambe in un modo che non conoscevo e avevo abbassato una mano per farmela scorrere sulla mia pelle gonfia, perfino attraverso il tessuto spesso dell’abito. Quando avevo provato una strana scossa di piacere a quel movimento, avevo ritratto la mano sorpresa e sconvolta. Se solamente il mio tocco era stato così paradisiaco, come sarebbe stato ricevere le attenzioni di un uomo virile? Allen si era spinto dentro un altro paio di volte, poi si era irrigidito, gemendo come se si fosse ferito. Quando aveva estratto il proprio membro violaceo, lucido e bagnato dal corpo di Clara, io avevo visto non solo le sue labbra femminili, ma anche un sacco di liquido denso e bianco. Lui le aveva fatto posare i piedi sul bordo del tavolo, in una posizione esposta e vulnerabile, tuttavia alla giovane donna non sembrava importare, o perchè era troppo appagata per preoccuparsi della modestia, o perchè non ne aveva alcuna. Mi ero leccata le labbra alla vista della sua lascivia, del suo corpo sazio e ben soddisfatto. Io volevo sentirmi a quel modo e volevo che un uomo mi riducesse in quello stato. Non Allen, ma un uomo che sarebbe stato mio. Il mio desiderio era stato rapidamente smorzato quando Thomas, precedentemente nascosto, era venuto a prendere il posto di Allen tra le cosce di Clara. Chinandosi in avanti, le aveva afferrato la parte frontale del corsetto e l’aveva strappato, i bottoni che si spargevano per la stanza. Aveva abbassato la testa sui suoi capezzoli nudi e ne aveva succhiato prima uno, poi l’altro. Non avevo idea che un uomo facesse una cosa del genere. Le sue mani si erano spostate sul bottone dei pantaloni e si era liberato il pene. Era più grande di quello di Allen, più lungo, e dalla punta fuoriusciva del liquido. Il segretario si era messo da parte, i pantaloni di nuovo al loro posto, e osservava, le braccia incrociate sul petto. Thomas si era allineato con l’apertura di Clara e aveva mosso i fianchi così da spingersi a fondo dentro il suo corpo. Lei aveva inarcato la schiena sollevandola dal tavolo quando Thomas l’aveva riempita, il suo gemito di piacere che riempiva la stanza. Dovevo aver emesso un suono, un sussulto, un qualche rumore diverso dalla donna con cui stava fornicando, perché lui voltò la testa e mi vide che sbirciavo dalla porta. Invece di fermarsi, si spinse dentro di lei con ancora più forza, la testa della donna che si dimenava sulla superficie rigida. «Guarda pure, non m’importa,» mi aveva detto Thomas, sogghignando, posando le mani sul tavolo per andare ancora più a fondo. «In effetti, potrebbe piacermi sapere che una verginella sta imparando qualcosa.» Alle sue parole io ero fuggita, la sacca del pranzo dimenticata. Era successo un paio di giorni prima e avevo a malapena visto Thomas da allora, poiché l’avevo appositamente evitato. Non sapevo cosa dirgli, né come avrei anche solo potuto guardarlo negli occhi sapendo che non solo si prendeva delle donne assieme al suo segretario, ma aveva infranto le sue promesse nuziali. Mary di certo sapeva delle sue indiscrezioni, poiché potevo solamente immaginare che non fosse stata la prima volta. Quel duo sembrava essere stato a proprio agio nell’impresa in un modo che indicava che ci fossero abituati da tempo. Io avevo subito preso le distanze anche da Clara e da Allen. «Vedo che sai di cosa sto parlando. Non posso permettermi che tu vada a spiattellare a tutta la città ciò che hai visto. E poi, le tue tendenze voyeuristiche non sono normali per una donna della tua posizione sociale. Non posso darti legittimamente in sposa ad un mio amico con tali inclinazioni indecenti.»
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