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La signora delle camelie

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“Guardavo tutti quegli oggetti, ognuno dei quali significava ai miei occhi un passo avanti della poverina sulla strada della prostituzione, e mi andavo dicendo che Dio era stato misericordioso verso di lei poiché non aveva permesso che giungesse al solito castigo, consentendole di morire nel pieno del suo lusso e della sua bellezza, prima di conoscere la vecchiaia, che è la prima morte delle cortigiane.”Margherita Gautier è la cortigiana più bella di Parigi, protetta da un Duca che le manda denaro per soddisfare ogni suo capriccio. È conosciuta come “La signora delle camelie” perché tutti i giorni ha in mano un mazzo di camelie bianche, tranne cinque giorni al mese che le porta rosse. È la storia di un amore profondo e puro tra lei e Armando, contrastato dalle 'buone regole piccolo-borghesi' pure quando la "peccatrice" si redime, ma è oramai segnata dal suo passato e dal perbenismo di una società ipocrita. Tanto sarà il dispiacere che si ammalerà e morirà, mentre Armando impazzirà dal dolore.

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Chapter 1
CAPITOLO 1 Penso che non si possano creare dei personaggi senza aver studiato a fondo gli uomini, come non si può parlare una lingua che a patto di averla imparata seriamente. Non avendo ancora raggiunto l’età nella quale s’inventa, mi accontento di riferire. Invito pertanto il lettore a convincersi della realtà di questa storia, di cui tutti i personaggi, tranne la protagonista, sono ancora vivi. Del resto, a Parigi molti potrebbero testimoniare la maggior parte dei fatti che qui descriverò, e potrebbero confermarli, se la mia sola testimonianza non fosse sufficiente, ma, per una particolare circostanza, soltanto io posso narrarli, perché solo a me furono confidati gli ultimi particolari, senza i quali sarebbe stato impossibile fornire un racconto interessante e compiuto. Ecco in che modo mi furono resi noti quei fatti. Il 12 marzo 1847, in rue Laffitte, potei leggere un grande manifesto giallo che annunciava una vendita all’asta di mobili e di rare curiosità. La vendita avveniva in seguito alla morte del proprietario, sull’avviso non era scritto il nome del defunto, ma si diceva che la vendita si sarebbe tenuta il giorno 16, da mezzogiorno alle cinque, al numero 9 di rue d’Antin. Il manifesto annunciava inoltre che il 13 e il 14 si sarebbe potuto visitare l’appartamento con i mobili. Sono sempre stato un amatore di oggetti rari, e mi riproposi perciò di non perdere l’occasione di vedere questi, e forse anche di acquistarli. L’indomani, mi recai al numero 9 di rue d’Antin. Nonostante fosse ancora mattina presto, l’appartamento era già invaso dai visitatori e anche da visitatrici che per quanto vestite di velluto, avvolte in cachemire e attese alla porta dalle loro eleganti carrozze, contemplavano con stupore, e anche con ammirazione, quel lusso che si offriva ai loro occhi. Quell’ammirazione e quello stupore mi furono chiari più tardi, quando, guardandomi intorno, potei accorgermi di essere nell’abitazione di una mantenuta. Ora, se c’è una cosa che le signore della buona società desiderano conoscere – e infatti quelle visitatrici appartenevano appunto alla buona società – è proprio la casa di quelle donne il cui guardaroba quotidiano supera per fasto il loro, e che hanno, come loro e accanto a loro, palchi riservati all’Opéra e al Théâtre des Italiens, e che sfoggiano, per le strade di Parigi, l’insolente abbondanza della loro bellezza, dei loro gioielli, dei loro scandali. Colei che viveva nell’appartamento in cui mi trovavo era morta: e dunque le signore più virtuose potevano finalmente entrare fino nella sua stanza da letto. La morte aveva purificato l’aria di quella splendida fogna; e d’altronde le visitatrici avevano come scusa, qualora ce ne fosse stato bisogno, il fatto di essere venute per una vendita all’asta senza conoscere il nome della padrona di casa. Avevano letto un manifesto, e ora volevano vedere e scegliere gli oggetti che quel manifesto prometteva: nulla di più semplice, il che tuttavia, non impediva loro di cercare, in mezzo a tutte quelle meraviglie, le tracce di quella vita dissoluta sulla quale, certo, avevano udito tanti strani racconti. Ma purtroppo i misteri erano morti con la loro dea; e malgrado la loro buona volontà, quelle dame riuscirono a scoprire solo ciò che era in vendita dopo la morte, e non ciò che si vedeva quando la padrona di casa era ancora viva. Del resto, c’era davvero di che acquistare. L’arredamento era splendido. Mobili di Boule e in legno di rosa, vasi cinesi e di Sèvres, statuette di Sassonia, stoffe di raso, velluti, merletti, non mancava niente. Io mi aggiravo nell’appartamento, seguendo le nobili curiose che mi avevano preceduto. Esse entrarono in una stanza tappezzata di stoffe persiane, e anch’io stavo per entrarvi, quando ne uscirono quasi a precipizio, sorridendo come vergognose di quella nuova intrusione. Il mio desiderio di entrare in quella stanza ne fu aumentato. Era lo spogliatoio, fornito di ogni specie di strumenti nei quali pareva essersi espressa al massimo la prodigalità della defunta. Su un grande tavolo accostato al muro, grande tre piedi per sei, splendevano tutti i tesori di Ancoe e di Odiot. Era proprio una magnifica collezione, e fra tutti quegli oggetti, così indispensabili a una donna come quella presso la quale ci trovavamo, non ce n’era uno che non fosse d’oro o d’argento. Tuttavia quella raccolta non poteva essere stata fatta che poco alla volta, e non era certo stato un solo amore a completarla. Io, che non mi scandalizzavo certo alla vista dello spogliatoio di una mantenuta, mi divertivo a osservarne i particolari, di qualsiasi tipo, e mi accorsi che tutti quegli utensili mirabilmente cesellati portavano monogrammi vari e corone diverse. Guardavo tutti quegli oggetti, ognuno dei quali significava ai miei occhi un passo avanti della poverina sulla strada della prostituzione, e mi andavo dicendo che Dio era stato misericordioso verso di lei poiché non aveva permesso che giungesse al solito castigo, consentendole di morire nel pieno del suo lusso e della sua bellezza, prima di conoscere la vecchiaia, che è la prima morte delle cortigiane. Che c’è infatti di più triste della vecchiaia del vizio, specialmente nella donna? Essa non ha in sé nessuna dignità e non ispira interesse. Quel continuo pentirsi, non di avere percorso una cattiva strada, ma di avere sbagliato i propri calcoli e di avere mal impiegato il proprio denaro, è una delle cose più tristi che si possano immaginare. Ho conosciuto un’antica prostituta alla quale non restava del passato che una figlia bella quasi quanto lo era stata lei, a detta dei contemporanei. Quella povera fanciulla, alla quale la madre non aveva mai detto: “Sei mia figlia” se non per ordinarle di sfamare la sua vecchiaia come lei aveva sfamato la sua infanzia, quella povera creatura si chiamava Louise, e, obbedendo a sua madre, si concedeva senza volontà, senza passione, senza piacere, come avrebbe fatto qualsiasi mestiere che avessero pensato di insegnarle. Il continuo spettacolo della corruzione, della corruzione precoce, alimentata dalla salute sempre precaria della ragazza, aveva soffocato in lei quella conoscenza del bene e del male che forse Dio le aveva dato ma che nessuno aveva pensato a sviluppare. Ricorderò sempre quella ragazza, che passava sui viali quasi tutti i giorni alla stessa ora. Sua madre l’accompagnava sempre, con un’assiduità di una vera madre che accompagnasse la propria vera figlia. Ero molto giovane, a quel tempo, e pronto ad accettare per me stesso la facile morale del mio secolo; mi ricordo però che la vista di quella scandalosa sorveglianza mi ispirava disprezzo e disgusto. Si aggiunga che nessun viso di vergine avrebbe potuto riflettere lo stesso sentimento di innocenza, una simile espressione di malinconica sofferenza. La si sarebbe detta un’immagine della Rassegnazione. Un giorno, il volto di quella fanciulla si rischiarò. In mezzo alla corruzione di cui sua madre reggeva le fila, sembrò alla peccatrice che Dio volesse concederle la felicità. E perché, dopo tutto, Dio che l’aveva creata senza forza avrebbe dovuto lasciarla senza conforto, sotto il peso doloroso della sua vita? Un giorno, dunque, si accorse di essere incinta, e quella parte di lei che era rimasta incontaminata trasalì di gioia. L’anima umana ha una strana capacità di evasione. Louise corse ad annunciare alla madre quella notizia che la rendeva così felice. E’ vergognoso dirlo, ma, d’altra parte, noi non facciamo qui sfoggio di immoralità, raccontiamo un fatto vero che sarebbe forse meglio tacere, se non fossimo convinti che è necessario, a volte, rendere noto il martirio di quegli esseri che vengono condannati senza ascoltarli, disprezzati senza giudicarli; è vergognoso, ripetiamo, ma la madre rispose a sua figlia che quello che avevano era appena sufficiente per due e che non sarebbe certo bastato per tre; che certi bambini sono inutili e che una gravidanza è tempo perso. Il giorno dopo, una levatrice, che indichiamo qui solamente come amica della madre, visitò Louise, che rimase qualche giorno a letto, per rialzarsene più pallida e debole che mai. Tre mesi dopo, un uomo ebbe pietà di lei e tentò di guarirla moralmente e fisicamente; ma l’ultimo colpo era stato troppo grave, e Louise morì per le conseguenze dell’aborto. La madre è ancora viva: come? Solo Dio lo sa. Questa storia mi era tornata in mente mentre guardavo i servizi da toletta in argento, e avevo passato un po’ di tempo in queste riflessioni, a quanto pareva, perché nell’appartamento non eravamo rimasti che io e un custode che, sulla porta, vigilava con attenzione che non rubassi niente. Mi avvicinai allora al brav’uomo a cui ispiravo timori così gravi. “Signore”, gli chiesi, “potreste dirmi il nome della persona che abitava qui?”. “Era mademoiselle Marguerite Gautier”. Conoscevo quella ragazza di nome e di vista. “Come!”, esclamai, “Marguerite Gautier è morta?”. “Sì, signore”. “Quando?”. “Da tre settimane, credo”. “E come mai permettono che si visiti l’appartamento?”. “I creditori pensano che sia un modo per far salire il prezzo di vendita. La gente può vedere in anticipo quale effetto fanno le stoffe e i mobili; voi capite, questo incoraggia all’acquisto”. “Aveva dunque debiti?”. “Oh, signore, una quantità!”. “Ma la vendita riuscirà a coprirli?”. “Ce ne sarà d’avanzo”. “A chi andrà il di più, dunque?”. “Alla famiglia”. “Aveva dunque una famiglia?”. “Sì”. “Grazie, signore”. Il custode, rassicurato circa le mie intenzioni, mi salutò e io me ne andai. “Poverina” dicevo tra me e me rincasando, “dev’essere morta molto tristemente, perché nel suo ambiente si hanno amici solo a patto di star bene in salute”, e mio malgrado mi impietosivo sulla sorte di Marguerite Gautier. Questo sembrerà ridicolo a molti, ma io ho una immensa compassione per le cortigiane, e non mi sogno neppure di metterla in discussione. Un giorno, mentre andavo alla prefettura per ritirare il mio passaporto, vidi in una delle strade adiacenti una ragazza trascinata da due gendarmi. Non conosco la colpa di quella ragazza, ma posso dire soltanto che piangeva a calde lacrime stringendo a sé un bambino di qualche mese dal quale l’arresto la separava. Da quel giorno, non ho mai più disprezzato una donna alla prima impressione.

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